L’ Iran e Mogherini, una storia se non proprio di amore, di amorevole concordanza esemplata dal suo one woman show al parlamento iraniano quando, unica donna, veniva immortalata in foto e selfies da parte dei parlamentari presenti. In soccorso della Mogherini è arrivato il Vice Cancelliere e Ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel, lo stesso che nel 2012, dopo avere visitato Hebron, definiva Israele uno stato in cui si pratica l’apartheid, ovviamente israeliano nei confronti dei palestinesi, mentre se apartheid ha da esserci a Hebron è esattamente quello opposto visto che gli ebrei ivi residenti non hanno accesso al 97% del territorio. L’aprile di quest’anno, durante una sua visita in Israele, Benjamin Netanyahu si rifiutava di riceverlo, a seguito del suo incontro precedente con la ONG Breaking The Silence, la più perseverante nel criminalizzare i soldati israeliani.

L’afflato amoroso della Germania con l’ Iran è di ben più lunga durata di quello dell’Italia, dovuto unicamente a motivazioni economiche. Gabriel si inserisce in una proficua linea di continuità che risale addirittura al 1871 quando la Germania emerse come stato-nazione. L’asse tedesco-iraniano fu solido durante la Prima Guerra Mondiale quando l’ Iran si rifiutò di aggregarsi alla coalizione anti-tedesca e proseguì nel corso della Seconda nel nome della condivisione della mitologia di una comune discendenza ariana. Ma basterebbe semplicemente ricordarsi quanto disse l’ex Primo Ministro tedesco Joshcka Fisher, quando definì la Germania come “uno scudo per l’ Iran contro gli Stati Uniti“.

Tra chi si oppone a una revisione dell’accordo non poteva mancare la Russia, la quale ha parlato per bocca del suo Ministro degli Esteri, Sergey Lavrov che ha definito l’accordo sul nucleare iraniano voluto da Barack Obama “uno dei più importanti fattori per la sicurezza regionale e internazionale”. E deve essere sicuramente così se lo dice il principale alleato dell’ Iran in Siria, ormai di fatto una provincia di Teheran grazie all’aiuto russo. L’ Iran ha soprattutto mostrato di essere un agente di stabilità e sicurezza regionali estendendosi in Libano, Siria, Iraq e Yemen. Con le testate nucleari lo sarebbe ancora di più, dobbiamo credere a Lavrov.

Le opinioni del terzetto non sono però condivise dagli Stati Uniti, e non solo da Donald Trump ma dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale, il Generale McMaster. In una intervista alla CBS, McMaster ha dichiarato, “Il nostro approccio nei confronti dell’Iran deve cambiare fondamentalmente. Negli anni più recenti abbiamo lasciato libero uno spazio competitivo molto importante riguardo all’Iran a vantaggio della sua sofisticata campagna di sovversione in base alla quale stanno praticamente creando un modello Hezbollah lungo tutto il Medioriente“.

La dichiarazione di McMaster è di grande rilevanza geopolitica poiché, per la prima volta, gli Stati Uniti ammettono di essere stati carenti in Medioriente nel contrastare l’avanzamento iraniano. Ciò fa presagire una ristrutturazione della strategia americana nella regione che per altro si è già manifestata nell’appoggio palese dato dagli Usa all’Arabia Saudita in funzione anti-iraniana con la grande commessa di armamenti siglata a maggio a Riad.

Israele non può non guardare con soddisfazione a questo nuovo assetto in cui il suo principale e più pericoloso antagonista regionale è visto dall’Amministrazione Trump per quello che effettivamente è, la maggiore minaccia per la propria sicurezza e per la stabilità dell’intero Medioriente.

Il 15 ottobre, quando Donald Trump si rivolgerà al Congresso per certificare se l’Iran sta ottemperando ai termini dell’accordo, la probabilità più alta è che dichiari che l’accordo non è più a tutela degli interessi di sicurezza nazionali, cosa che non è mai stato fin dal principio. A quel punto, se questo è quello che accadrà, l’accordo cadrà fortunatamente in pezzi con buona pace di Italia, Germania e Russia e a tutto vantaggio di Usa e Israele.

Niram Ferretti, L’Informale, 23/09/2017

 

 

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