http://www.focusonisrael.org/2007/12/04/onu-israele-risoluzioni/

FOCUS ON ISRAEL  incoraggia ciascuno di voi a partecipare alla controinformazione personalmente:  dì la tua, commenta sul nostro blog, inviaci materiale e testimonianze, diffondi  i nostri articoli. Non pensare che “ci sarà qualcuno che lo sta facendo per te”  o che “in questo momento hai altro da fare”. Ti bastano 5 minuti. Vogliamo  sapere cosa hai da dire.]

[Hai un account  FACEBOOK? Usalo anche per cose utili: AGGIUNGI AL TUO PROFILO FOCUS ON ISRAEL e  invita tutti i tuoi amici http://www.facebook.com/group.php?gid=42062148987]

 

Come  manipolare le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu

 

Di Emanuel Baroz, in Antisemitismo, Antisionismo, Disinformazione, Internet, ONU (UN), Per non  dimenticare, Terrorismo.

 

 

  Dal  momento che il documento in questione ha ripreso ultimamente a girare via  Internet…

 

Come manipolare le risoluzioni del Consiglio di  Sicurezza dell’Onu

 

un vs israel focus on israelCircola in  internet un documento che presenta una visione fuorviante delle prese di  posizione del Consiglio di Sicurezza rispetto a  Israele

 

Si immagini  di assistere a una partita a scacchi e di cercare di capire le mosse dei pezzi  neri senza poter vedere i pezzi bianchi. O di assistere alla differita di una  partita di calcio dalla quale siano stati tagliati i fischi dell’arbitro verso  una squadra per dare l’impressione che il gioco dell’altra sia inutilmente  aggressivo e scorretto. Questa piu’ o meno e’ l’operazione che hanno fatto gli  autori (anonimi) di un documento che ultimamente va per la maggiore su  internet.

 

Titolo: “Settantatre’ risoluzioni dell’Onu di condanna a Israele”. Sottotitolo  (insinuante): “Nessun ispettore, nessuna guerra per farle rispettare”. Segue un  nudo elenco di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che “esprimono condanna  all’operato di Israele”, citate per numero e data e accompagnate da brevi “estratti che ne illustrano il contenuto”. Insomma: un documento che parla da  se’, che non ha bisogno di commenti tanto e’ evidente il torto di  Israele.

 

E invece di  commenti ha bisogno eccome. Per questo ci sentiamo costretti a tornare, con  maggiore dettaglio, su un tema gia’ affrontato su queste pagine (Vedi NES ott.  2002: Il  falso parallelo).

 

Innanzitutto le  risoluzioni del Consiglio di Sicurezza non sono tutte  uguali. Vi sono  quelle approvate sulla base del Capitolo 6 della Carta delle Nazioni Unite e  quelle sulla base del Capitolo  7.

 

Il Capitolo 6 si intitola “Composizione pacifica dei conflitti” e afferma (art. 33) che “le parti in causa  in un conflitto […] dovranno innanzitutto cercare una soluzione […] con mezzi  pacifici”. Quando il Consiglio vota sulla base del Capitolo 6 e’ come se dicesse  agli Stati in guerra fra loro: “Dovete negoziare per comporre il conflitto e  dovete farlo sulla base delle linee che vi indico”. Il Capitolo 7, invece, si  intitola “Azioni in caso di minacce alla pace, violazioni della pace e atti di  aggressione”. Gli articoli di questo Capitolo conferiscono al Consiglio la  responsabilita’ di individuare le minacce alla pace mondiale e gli danno  facolta’ di varare risoluzioni con valore esecutivo e vincolante, autorizzando  la comunita’ internazionale a ricorrere a varie forme di coercizione per  ottenere la loro applicazione, dalle sanzioni fino all’uso della forza militare.  Quando il Consiglio vota sulla base del Capitolo 7 e’ come se dicesse a uno  Stato: “Il tuo comportamento mette in pericolo la pace del mondo: o ti adegui a  quanto di dico di fare o interveniamo con la  forza”.

 

Ora, come  ricordava qualche mese fa anche l’Economist (10.10.02), “nessuna delle  risoluzioni a proposito del conflitto arabo-israeliano e’ stata emanata ai sensi  del Capitolo 7. Imponendo sanzioni anche militari contro l’Iraq, ma non contro  Israele, l’Onu non fa che rispettare le sue stesse regole interne”. E  aggiungeva: “Che le risoluzioni ai sensi del Capitolo 7 siano diverse, e che  nessuna di esse sia stata approvata contro Israele, e’ un fatto riconosciuto  dagli stessi diplomatici palestinesi”, che infatti se ne lamentano. Quella  irresponsabile minaccia nel titolo del documento (“nessuna guerra per farle  rispettare”) puo’ essere stata scritta solo da una persona molto ignorante o in  mala fede.

 

Vale la  pena sottolineare che la distinzione fra  Capitolo 6 e Capitolo 7 non e’ puramente formale. Essa  riflette due situazioni politiche completamente diverse. In un caso, infatti, il  Consiglio di Sicurezza individua nel regime iracheno e nei suoi comportamenti  una minaccia alla stabilia’à e alla pace regionale e mondiale. Pertanto il  Consiglio esige da quel regime comportamenti diversi, pena il ricorso alla  forza. Nell’altro caso, invece, il Consiglio di Sicurezza deve promuovere la  composizione di un conflitto arabo-israeliano pluri-decennale che vede coinvolte  piu’ parti, ognuna con le proprie responsabilita’. Ma gli autori del documento  vogliono che le responsabilita’ siano solo di Israele e dunque riportano, di  molte risoluzione, solo la parte che si rivolge a Israele, convenientemente  scordando l’altra parte, quella che si rivolge agli arabi. Appunto, come una  partita truccata.

 

Cosi’ ad  esempio, e’ vero – come dice il documento – che le risoluzioni 1402 e 1403  (2002) chiedevano “alle truppe israeliane di ritirarsi dalle citta’ palestinesi”. Ma chiedevano anche e contemporaneamente “l’immediata cessazione  di tutti gli atti di violenza, compresi tutti gli atti di terrore, provocazione,  istigazione”. In sostanza il Consiglio di Sicurezza ribadiva che solo un cessate  il fuoco “significativo” (meaningful, nel testo originale), cioe’ non a parole,  unito a un ritiro israeliano dalle ultime posizioni rioccupate, avrebbe permesso  la ripresa del negoziato di pace. Tacendo mezza risoluzione, gli autori del  documento fanno dire al Consiglio che Israele doveva ritirarsi senza se e senza  ma, mentre i palestinesi potevano continuare con spari e attentati. Giudichi il  lettore se e’ la stessa cosa.

 

Allo stesso  modo, e’ vero – come dice il documento – che la risoluzione 1435 (2002) chiedeva  a Israele “la fine immediatamente delle misure prese a Ramallah e dintorni” e “il rapido ritiro delle forze di occupazione israeliane dalle citta’ palestinesi”. Ma e’ vero anche che essa ribadiva “la richiesta di una completa  cessazione di tutti gli atti di violenza, terrorismo, provocazione istigazione”, e faceva “appello all’Autorita’ Palestinese affinche’ adempia al suo esplicito  impegno di garantire che i responsabili di atti terroristici vengano da essa  assicurati alla giustizia”. Ma di nuovo, questa parte della risoluzione e’ scomparsa.

 

Il piu’ delle volte il Consiglio di Sicurezza, quando chiama in causa Israele, formula  anche contemporaneamente precise richieste alle controparti arabe, e cio’ per la  ovvia considerazione che la pace in Medio Oriente non puo’ essere fatta da una  parte soltanto. Ma questo e’ appunto cio’ che gli autori del documento non  vogliono capire (o farci capire).

 

Non basta.  Gli autori non omettono solo pezzi di risoluzione. Omettono anche intere  risoluzioni. Ad esempio, per restare nel 2002, non viene citata la 1397. Come mai? Forse  perche’ esprimeva “grave preoccupazione […] per i recenti attentati”, chiedeva “l’immediata cessazione di tutti gli atti di violenza, terrorismo, provocazione,  istigazione” ed esortava “le parti israeliana e palestinese e i loro dirigenti a  cooperare nella realizzazione del piano Tenet e del Rapporto Mitchell, allo  scopo di riavviare i negoziati per una composizione politica”: tutte cose che la  parte palestinese, non quella israeliana, si e’ rifiutata di  fare.

 

Vistosa,  poi, l’assenza di una delle piu’ importanti risoluzioni del Consiglio di  Sicurezza di tutta la storia del conflitto: la 242 del 1967. Di nuovo, come mai?  Forse perche’ chiedeva (agli arabi, ovviamente) la “fine di ogni stato di  belligeranza” e il “riconoscimento del diritto [di Israele] di vivere in pace  entro confini sicuri e riconosciuti, libero da minacce o atti di  forza”?

 

Della 425  (1978) si dice che “ingiungeva a Israele di ritirare le sue forze dal Libano”. Ma non si ricorda che chiedeva anche il ripristino della pace al confine  israelo-libanese e un “rigoroso rispetto della integrita’ territoriale,  sovranita’ e indipendenza politica del Libano”, tutte cose che truppe siriane,  milizie palestinesi, agenti iraniani e terroristi Hezbollah non si sognano  minimamente di fare. Ne’ viene riportata la Dichiarazione del 18 giugno 2000 con  cui il Consiglio di Sicurezza certificava che “Israele ha ritirato le sue forze  dal Libano in conformita’ con la risoluzione 425″.

Ancora piu’ curioso il fatto che l’elenco delle risoluzioni viene fatto iniziare con la n.  93 del 18 maggio 1951. Eppure il conflitto arabo-israeliano scoppia almeno tre  anni e mezzo prima, con il rifiuto arabo della risoluzione di spartizione 181  dell’Assemblea Generale dell’Onu (29.11.47) e l’attacco degli eserciti arabi a  Israele. Prima della 93 (1951) a noi risultano non meno di 21 risoluzioni del  Consiglio di Sicurezza, tra cui quelle – ufficialmente respinte dai governi  arabi – che chiedevano il cessate il fuoco e il rispetto della  181.

Non manca,  invece, la risoluzione 487 del 19 giugno 1981: quella che condannava “con forza” la distruzione del reattore nucleare iracheno di Osirak da parte dell’aviazione  israeliana. Una risoluzione che, riletta oggi, basta da sola a screditare l’Onu  agli occhi degli israeliani e di chiunque abbia a cuore la pace e la stabilita’ internazionali.

Resta da  fare un’ultima considerazione, di carattere storico-politico. Tutti sanno che i  paesi arabi, ripetutamente sconfitti in campo aperto, hanno fatto costantemente  ricorso al terrorismo (dai feddayin degli anni ’50 fino agli Hezbollah degli  anni ’80 e ’90) per esercitare una continua pressione militare ai confini e  all’interno dello Stato di Israele. L’hanno fatto organizzando, finanziando,  addestrando, capeggiando varie formazioni “guerrigliere” palestinesi, nella  consapevolezza che l’Onu avrebbe dovuto per forza condannare le “violazioni” delle linee d’armistizio fatte da uno Stato (Israele), ma non avrebbe mai potuto  condannare allo stesso modo le “violazioni” (infiltrazioni, attentati, stragi di  civili) fatte da formazioni irregolari (i terroristi) che provocavano la  reazione d’Israele. Un trucco palese, persino dichiarato, che non inganna piu’ nessuno. Salvo i “volonterosi” autori del documento e i loro sfortunati  lettori.

Israele.net

(Fonte: NES n.3,  anno 15)

 

3 Commenti  Scritto da Emanuel Baroz

Termini legati all’articolo: A-N.P., ANP  (Autorità Nazionale Palestinese), Antisemitismo, Antisionismo, Carta delle  Nazioni Unite, Consiglio  di Sicurezza dell’ONU, Disinformazione, Hezbollah, Libano, manipolazione  risoluzioni ONU, ONU  (UN), piano  Tenet, pregiudizio  antisraeliano, Rapporto  Mitchell, risoluzione 1397  ONU, risoluzione 1402  ONU, risoluzione 1403  ONU, risoluzione 1435  ONU, Risoluzione 181  Onu, Risoluzione 193  ONU, Risoluzione 242  ONU, Risoluzione 425  ONU, risoluzione 487  ONU, risoluzione  di spartizione 181 dell’Assemblea Generale dell’Onu, risoluzioni ONU, risoluzioni Onu  Israele, Terrorismo, terrorismo  antisraeliano, terrorismo  islamico, terrorismo  palestinese, UN resolution  Israel.

Altri  articoli:

Articoli correlati a “Come manipolare le risoluzioni del  Consiglio di Sicurezza dell’Onu”

Assemblea  Generale dell’ONU: 10 novembre 1975

” Per noi, popolo ebraico, questa risoluzione è fondata  sull’odio, sulla falsità e sull’arroganza ed è priva di qualunque valore morale  o legale. Per noi, popolo ebraico, questo […]

Commenti:

Sono  stati scritti 3 commenti su “Come manipolare le risoluzioni del Consiglio di  Sicurezza dell’Onu”

  1. ponte

da brividi….

28  dicembre 2009 alle 12:35

  1. Abu   Mazen: “Noi ci rifiutiamo di riconoscere uno stato ebraico!” | Focus On   Israel

[…] riconoscere uno stato ebraico. Cercate di  strapparlo all’Onu o a qualcun altro [Nota: già nella risoluzione 181 del 1947,  l’Onu parlava di “Jewish State”, cioè “stato ebraico”]. Perché Israele  […]

21  giugno 2011 alle 16:42

  1. Emanuel Baroz

Il minimo comune  denominatore per la pace

Da un articolo di Yoav J.  Tenembaum

Il 22 novembre 1967, all’indomani della guerra dei sei  giorni, il Consiglio di Sicurezza della Nazioni Unite adottò la risoluzione 242.  Da allora, per i successivi quarant’anni, la 242 ha rappresentato la cornice legale  per una soluzione di pace del conflitto arabo-israeliano. La 242 è infatti la  sola risoluzione del Consiglio di Sicurezza che sia stata accettata da tutte le  parti del contenzioso come base per la ricerca della  pace.

Originariamente proposta dalla delegazione britannica  all’Onu come una soluzione di compromesso, la 242 è stata successivamente  incorporata come fonte legale in tutti gli accordi firmati tra Israele e  interlocutori arabi: sia i due accordi di pace rispettivamente con Egitto e  Giordania, sia gli accordi ad interim di Oslo con l’Olp si fondano tutti sulla  242.

Sebbene accettata da entrambe le parti del conflitto,  l’interpretazione della risoluzione è diversa per gli uni e per gli altri. In  effetti, raramente nella storia delle relazioni internazionali una risoluzione è  stata sottoscritta da entrambe le parti in conflitto sulla base di due  interpretazioni così diverse.

Ad esempio, la risoluzione chiede il “ritiro delle forze  armate israeliane da territori occupati nel recente conflitto”. L’articolo  determinativi “i” (“dai territori”) o il termine “tutti” davanti alla parola  territori non vennero inseriti nella risoluzione. E non si trattò certo di un  errore di battitura. Lo scopo degli estensori del testo della risoluzione,  infatti, era chiedere che Israele si ritirasse senza indicare l’estensione  esatta del ritiro: la cosa veniva lasciata al negoziato fra le parti. È quanto  sostiene Israele, e senza dubbio i diplomatici che stesero la bozza della  risoluzione misero bene in chiaro, successivamente, che questa era esattamente  la loro intenzione.

Ma la parte araba ha sempre sostenuto che la risoluzione  chiede a Israele di ritirarsi completamente dai territori conquistati durante la  guerra dei sei giorni. A riprova, viene esibita la versione della risoluzione in  lingua francese nella quale l’articolo determinativo compare (“dai  territori”).

La risoluzione inoltre non fa alcuna menzione degli  arabi palestinesi, a parte un riferimento implicito là dove parla del “problema  dei profughi”. Ciò condusse in passato a un lungo dibattito fra Olp, Stati Uniti  e Israele sul fatto se la risoluzione dovesse essere emendata per includervi un  riferimento specifico al problema palestinese. Tuttavia la risoluzione non è mai  stata modificata e nondimeno la parte araba, Olp compresa, ha finito per  accettarla come base per la pace.

È ben vero che successivamente vennero adottate altre  risoluzioni dell’Onu (per lo più dell’Assemblea Generale, le cui risoluzioni non  sono vincolanti) maggiormente rispondenti alle richieste degli arabi palestinesi  e degli stati arabi. Ma nessuna di queste è stata sottoscritta da  Israele.

In molti ambienti è invalsa l’abitudine di sostenere che  Israele non rispetta le risoluzioni dell’Onu facendo riferimento in particolare,  esplicitamente o implicitamente, alla 242 del Consiglio di Sicurezza, sostenendo  che Israele la violerebbe dal momento che non si è ritirato da tutti i territori  conquistati nel 1967. La verità è che la risoluzione 242 non chiede affatto a  Israele di ritirarsi unilateralmente e senza condizioni. La 242 in realtà è composta da  due parti: i paesi coinvolti nel conflitto devono negoziare la pace e  riconoscersi a vicenda, e Israele deve operare un ritiro. La risoluzione non  chiede affatto a Israele di ritirarsi prima che si arrivi a una composizione  negoziata e definitiva, bensì di ritirarsi nel quadro della soluzione negoziata  e definitiva.

Questa fu per l’appunto la differenza sostanziale fra i  postumi della campagna del Suez del 1956 e la guerra dei sei giorni del 1967.  Dopo la Campagna di Suez, a Israele fu chiesto di ritirarsi dalla penisola dei  Sinai e dalla striscia di Gaza unilateralmente. Il ritiro di Israele avvenne  senza condizioni. Viceversa, dopo la guerra dei sei giorni si è chiesto un  ritiro israeliano solo nel quadro di una soluzione più ampia del  conflitto.

Israele può ben sostenere d’aver attuato la risoluzione,  almeno là dove possibile. Ad esempio, nel quadro dell’accordo di pace negoziato  con l’Egitto, Israele si è completamente ritirato dal Sinai. Ed anche dopo gli  accordi di Oslo, le forze armate israeliane si ritirarono in larga misura da  Cisgiordania e striscia di Gaza. Inoltre, due anni fa, nell’estate 2005, benché  non vi fosse legalmente obbligato, Israele si è completamente ritirato (militari  e civili) da tutta la striscia di Gaza, unilateralmente e senza  condizioni.

È chiaro che la storia di questi ultimi quarant’anni  dalla risoluzione 242 del Consiglio di Sicurezza in poi è stata segnata dalle  diverse interpretazioni avanzate da israeliani e arabi. La cosa meriterebbe uno  studio approfondito. Ciò che è fuor di dubbio è che non è stato delineato nessun  altro strumento legale per la composizione del conflitto  israelo-arabo-palestinese che sia sottoscritto da tutte le parti in  causa.

(Da: Jerusalem Post,  22.11.07)

RISOLUZIONE 242 DEL  CONSIGLIO DI SICUREZZA ONU (22 novembre  1967) Testo integrale

Il Consiglio di Sicurezza esprimendo la sua  perdurante preoccupazione per la grave situazione in Medio  Oriente; sottolineando l’inammissibilità dell’acquisizione di territori con  la guerra e la necessità di operare per una pace giusta e duratura in cui ogni  Stato della regione possa vivere nella sicurezza; sottolineando inoltre che  tutti gli stati membri, accettando la Carta delle Nazioni Unite, si sono  impegnati ad agire in conformità all’art. 2 della  Carta;

1. Afferma che l’adempimento dei principi della Carta  richiede l’instaurazione di una pace giusta e duratura in Medio Oriente, che  comprenda l’applicazione di entrambi i seguenti principi: (i) ritiro delle  forze armate israeliane da territori occupati nel recente conflitto; (ii)  fine di ogni pretesa o stato di belligeranza e riconoscimento e rispetto della  sovranità, integrità territoriale e indipendenza politica di tutti gli stati  della regione e del loro diritto di vivere in pace entro confini sicuri e  riconosciuti, al riparo da minacce o atti di forza;

2. Afferma inoltre la necessità: (a) di garantire la  libertà di navigazione attraverso le vie d’acqua internazionali della  regione; (b) di raggiungere una soluzione equa del problema dei  profughi; (c) di garantire l’inviolabilità territoriale e l’indipendenza  politica di ogni stato della regione, attraverso misure che comprendano la  creazione di zone smilitarizzate.

3. Richiede al Segretario Generale di designare un  Rappresentante speciale da inviare in Medio Oriente per stabilire e mantenere  contatti con gli stati interessati, al fine di promuovere un accordo e assistere  gli sforzi volti al conseguimento di una composizione pacifica e accettata,  conformemente alle disposizioni e ai principi della presente  risoluzione;

4. Chiede al Segretario Generale di riferire al più  presto possibile al Consiglio di Sicurezza circa i progressi nell’operato del  Rappresentante speciale.

PER UNA CORRETTA LETTURA  DELLA RISOLUZIONE ONU 242 (Jerusalem Post, 26.12.00)

La risoluzione Onu numero  242 approvata il 22 novembre 1967 è internazionalmente riconosciuta come la base  giuridica dei negoziati tra Israele e i vicini arabi. Essa fu il risultato di  cinque mesi di intense trattative. Ogni sua parola fu attentamente  soppesata.

Alcuni propagandisti, tuttavia, diffondono  quotidianamente una interpretazione errata della 242, sostenendo che essa  prescriverebbe il ritiro di Israele sulle linee del 4 giugno 1967. Quelle linee  erano le linee di cessate il fuoco fissate dagli accordi armistiziali del 1949,  i quali dicevano espressamente che esse venivano accettate dalle parti senza  alcun pregiudizio per la futura sistemazione territoriale. In un’intervista a  Israel Radio del febbraio 1973 Lord Caradon, colui che presentò la risoluzione  242 per conto della Gran Bretagna, mise in chiaro che essa non prevedeva affatto  l’obbligo per Israele di ritirarsi sulle linee del 1967. “La frase essenziale e  mai abbastanza ricordata – spiegò Lord Caradon – è che il ritiro deve avvenire  su confini sicuri e riconosciuti. Non stava a noi decidere quali fossero  esattamente questi confini. Conosco le linee del 1967 molto bene e so che non  sono un confine soddisfacente”.

I sovietici, gli arabi e i loro alleati fecero di tutto  per inserire nella bozza di testo della risoluzione la parola “tutti” davanti ai “territori” da cui Israele doveva ritirarsi. Ma la loro richiesta fu respinta.  Alla fine, lo stesso primo ministro sovietico Kossygin contattò direttamente il  presidente americano Lyndon Johnson per chiedere l’inserimento della parola “tutti” davanti a “territori”. Anche questo tentativo fu respinto. Kossygin  chiese allora, come formula di compromesso, di inserire l’articolo determinativo  davanti a “territori” (“dai territori” anziché “da territori”). Johnson rifiutò.  Successivamente il presidente americano spiegò la sua posizione: “Non siamo noi  che dobbiamo dire dove le nazioni debbano tracciare tra di loro linee di confine  tali da garantire a ciascuna la massima sicurezza possibile. È chiaro, comunque,  che il ritorno alla situazione del 4 giugno 1967 non porterebbe alla pace.  Devono esservi confini sicuri e riconosciuti. E questi confini devono essere  concordati tra i paesi confinanti interessati”.

Nel dibattito, il ministro degli esteri israeliano Abba  Eban chiarì la posizione di Israele: “Rispetteremo e manterremo la situazione  prevista dagli accordi di cessate il fuoco finché non verrà sostituita da un  trattato di pace tra Israele e i paesi arabi che ponga fine allo stato di guerra  e stabilisca confini territoriali concordati, riconosciuti e sicuri. Questa  soluzione di pace, negoziata in modo diretto e ratificata ufficialmente, creerà  le condizioni nelle quali sarà possibile risolvere i problemi dei profughi in  modo giusto ed efficace attraverso la cooperazione regionale e  internazionale”.

http://www.israele.net/articolo,1914.htm

16  luglio 2012 alle 15:29

 

Comments are closed.

Set your Twitter account name in your settings to use the TwitterBar Section.