Testata: Informazione Corretta
Data: 31 gennaio 2013
Autore: Annalisa Robinson


Annalisa Robinson
a sinistra, la vignetta di Gerald Scarfe sul Sunday Times

Prima di Natale avevamo pubblicato un articolo su una piuttosto ignobile vignetta firmata da Steve Bell e pubblicata dal Guardian. Vi troneggiava un bieco e minaccioso Netanyahu, intento a manovrare le marionette Tony Blair e William Hague (attuale Ministro degli Esteri britannico) da un podio decorato dalla menorah e circondato da missili avvolti nelle bandiere israeliane. Una vignetta goebbelsiana nello stile di Der Stürmer, il settimanale di propaganda nazista diretto da Julius Streicher.

Nonostante le molte proteste dei lettori, scuse non ce n’erano state, anche se lo stesso Guardian, nella persona del Reader’s Editor Chris Elliott, aveva ammesso, pur con molti ma, se e distinguo, che l’immagine di un politico ebreo nelle vesti del burattinaio “inevitabilmente evocava l’uso fatto in passato di immagini simili in chiave antisemita, a prescindere dalle intenzioni dell’autore”.  E dopo aver ribadito che i vignettisti “dovrebbero essere liberi di esprimere l’opinione che Netanyahu sia opportunista e manipolatore”, aveva affermato, a titolo personale, che “non dovrebbero usare il linguaggio – compreso il linguaggio visivo – degli stereotipi antisemiti”. E per dare spessore alle sue parole aveva aggiunto che “l’Olocausto e le sue cause sono ancora vivi nella nostra memoria”. Appunto.

Naturalmente il vignettista non si sognava nemmeno di scusarsi, ribadendo che la vignetta riguardava “la cinica manipolazione di una situazione da parte di un politico ben preciso” piuttosto che “da parte degli ebrei”. Respingeva anche, in modo piuttosto arrogante, l’accusa di avere usato lo stereotipo antisemita del burattinaio: “La manipolazione intenzionale è di Netanyahu, non mia. Non sono responsabile dei precetti culturali e delle interpretazioni errate con cui la gente sceglie di guardare le mie vignette”. Come no. Questo è il classico atteggiamento di superiorità morale che da sempre caratterizza il Guardian: il nostro modo di pensare è il solo possibile, se non siete d’accordo siete voi ad essere in errore: per ignoranza, standard morali inferiori, stupidità, ostainazione, malafede, loschi e inaccettabili motivi. E infatti la vignetta non è stata rimossa dal sito del quotidiano.

Molte sono le proteste inoltrate in proposito alla Public Complaints Commission, un ente indipendente di autoregolamentazione che si occupa di reclami riguardo ai contenuti editoriali di gionali, riviste e relativi siti web. Ebbene, la Commissione ha deciso che non si puo’ parlare di violazione dei codici di comportamento editoriali, in quanto, sebbene molti abbiano trovato la vignetta offensiva, la Commissione non ha funzioni di “arbitro morale”, quindi non è competente per “questioni di buon gusto e offese morali”. Inoltre il codice non prende in considerazione “gruppi o categorie di persone, come gli ebrei in generale”, quindi, pur riconoscendo che molti hanno trovato la vignetta “antisemita e rivelatrice di un pregiudizio contro gli ebrei come gruppo”, la Commissione non ha rilevato infrazioni al codice: “La vignetta mirava a criticare il signor Netanyahu e la sua influenza come leader di Israele. Nell’assenza di un reclamo da parte del signor Netanyahu, o di un rappresentante qualificato che agisca a nome suo, la Commissione non puo’ pronunciarsi oltre”. Anche sull’accuratezza della vignetta niente da dire, perchè i lettori “avrebbero recepito la vignetta come una critica al governo israeliano, che il quotidiano era legittimato a pubblicare”.

Alla faccia: questo significa che anche gran parte dei numeri di Der Stürmer sarebbero stati in regola secondo i criteri della commissione. E che a meno che il (verosimilmente in altre faccende affaccendato) signor Netanyahu in persona reclami, l’uso di stereotipi antisemiti è praticamente libero.

E infatti domenica 27 gennaio è apparsa nel Sunday Times la vignetta di Gerald Scarfe, con il sottotitolo: “Israel Elections: Will Cementing Peace Continue?” (“Elezioni israeliane: Si continuerà a cementare la pace?”). Stavolta il signor Netanyahu è in veste di muratore: sempre bieco, nasuto e muscoloso, brandisce una cazzuola insanguinata ed è intento a costruire un muro in cui i mattoni sono tenuti insieme dal sangue dei palestinesi, dei quali spuntano, tra mattone e mattone, membra emaciate e volti sofferenti sotto il turbante o l’hijab. La mente vola immediatamente agli infami libelli di sangue, in cui gli ebrei venivano accusati utilizzare sangue umano per i loro riti – cosa che va molto, molto oltre il burattinaio di Bell. E infatti la condanna è stata unanime. Come unanime è stata, in questo caso, la contrizione (non proprio immediata) dei responsabili, che a differenza di quelli del Guardian hanno riconosciuto l’enormità delle implicazioni; rese ancora più pesanti dalla data della pubblicazione, il Giorno della Memoria. E secondo me anche dal fatto che immagini del genere abbondano nella propaganda antisemita araba. (Un libro utile in proposito, per chi ha lo stomaco di leggerlo, è “Cartoons and Extremism: Israel and the Jews in Arab and Western media”, di Joel Kotek, pubblicato con il sostegno dello European Jewish Congress e della Anti-Defamation League; un assaggio dell’ignobile e sanguinolento contenuto si puo’ vedere qui, http://www.guardian.co.uk/global/gallery/2008/dec/19/middleeast-israelandthepalestinians).

In un primo momento, a dire la verità, il Sunday Times ha respinto le critiche che immediatamente gli sono piovute addosso.  L’editore, la News International fondata da Rupert Murdoch, ha difeso la vignetta come caratteristica dello stile “tipicamente robusto” di Scarfe, precisando che “si riferiva direttamente al signor Netanyahu e alle sue politiche, non a Israele, e tanto meno agli ebrei. E’ apparsa ieri perchè il signor Netanyahu ha vinto le elezioni israeliane la settimana scorsa.” Segue l’immancabile riferimento all’Olocausto: “Il Sunday Times condanna l’antisemitismo, come emerge chiaramente dall’eccellente articolo nel magazine allegato ieri al giornale, che smaschera le visite guidate negazioniste ai campi di concentramento organizzate dallo storico David Irving”. Da cui sembra, ancora una volta, che il rifiuto dell’antisemitismo sia applicabile solo ai defunti.

Il nuovo direttore Martin Ivens ha ricordato che “Il giornale si è espresso con forza in difesa di Israele e delle sue preoccupazioni in materia di sicurezza, e lo stesso ho fatto personalmente come opinionista. Tuttavia le reazioni alla pubblicazione della vignetta ci hanno reso consapevoli del rischio di urtare sensibilità nella trattazione di questo argomento, e naturalmente ne terrò molto scrupolosamente conto in futuro.”  Bontà sua.

Il vignettista Scarfe ha negato alla Jewish Chronicle l’uso della vignetta, e si è detto profondamente dispiaciuto per l’intempestività dell’immagine, sostenendo di non essersi reso conto che dovesse uscire nel giorno in cui si ricordano le vittime dell’Olocausto. Be’, se ci si occupa di un soggetto si potrebbe anche fare lo sforzo di informarsi bene, credo. E comunque la redazione avrebbe dovuto esserne al corrente.

Qualche distinguo bisogna riconoscerlo: le vignette di Scarfe mostrano spesso figure della politica internazionale grondanti di sangue – l’ultimo, la settimana scorsa, il presidente siriano Assad. Tuttavia per Assad e il gruppo a cui appartiene, gli Alawiti, non sussistono associazioni con libelli di sangue. Fonti anonime al Sunday Times ammettono che, anche se Scarfe ha collborato con il giornale per 44 anni ed è noto per il fatto di “colpire duro”, questa volta si ha la sensazione che si sia oltrepassata una linea invisibile.

Infatti, la sera stessa Rupert Murdoch, fondatore dell’impero editoriale di cui il Sunday Times è uno dei fiori all’occhiello, si è fatto vivo su Twitter: “Gerald Scarfe non ha mai riflettuto le opinioni del Sunday Times. Tuttavia, dobbiamo esprimere le nostre più profonde scuse per una vignetta grottesca e offensiva”. Un portavoce di News International ha comunicato che Martin Ivens avrebbe ammesso che la vignetta “era di cattivo gusto ed era stata pubblicata al momento sbagliato”, e che avrebbe incontrato personalmente i leader delle comunità ebraiche inglesi per scusarsi e ribadire l’estraneità del giornale a qualsiasi forma di antisemitismo. Lo stesso portavoce ha rifiutato di dire se vi sarebbero state azioni disciplinari nei confronti del vignettista, o se quest’ultimo avrebbe continuato a disegnare per il giornale.

A essere cinici, si potrebbe parlare di una manovra di limitazione dei danni, considerando il notevole danno d’immagine recato al prestigioso giornale della domenica. Tony Blair ha espresso “forti riserve” sulla pubblicazione della vignetta. Oltre alla condanna espressa, come ci si poteva aspettare, dalle comunità ed associazioni ebraiche e sioniste, nonchè dall’ambasciatore israeliano Taub, 25 deputati conservatori inglesi hanno inviato una lettera a Martin Ivens, chiedendogli di scusarsi sulle pagine del giornale.  Anche deputati di altri partiti, come Louise Ellman, vicepresidente degli Amici Laburisti di Israele, hanno chiesto a Ivens scuse pubbliche e complete, centrando in pieno il punto: “In un momento in cui la popolazione civile viene attaccata e uccisa dai propri regimi in tutta la regione, non riesco a vedere come le immagini scelte da Scarfe per commentare le democratiche elezioni israeliane sia in linea con il dovere del giornale di dare ai lettori informazioni accurate. Sicuramente la complessa situazione mediorientale puó essere oggetto di dibattito, ma rappresentare il conflitto attraverso immagini offensive e di impatto emotivo non aiuta a trovare una soluzione”.

Per quello che vale la mia opinione, la vignetta non doveva essere pubblicata. Non per censura, o per ragioni di buon gusto, e nemmeno per salvaguardare la sensibilità di “gruppi specifici”, come li chiama la Public Complaints Commission. Mi dispiace che questo increscioso espisodio riguardi il primo numero del Sunday Times sotto la direzione di Martin Ivens, che rispetto e del quale ho sempre letto gli articoli con piacere; ma se fossi Martin Ivens non vorrei che il mio giornale fosse associato a immagini del genere. Il diritto alla libera espressione della propria opinione è sacrosanto, ma è diritto della redazione del Sunday Times selezionare la propria offerta informativa secondo la linea editoriale del giornale. Pubblicare liberamente è un diritto; ma avere il diritto di pubblicare non rende né giusto né rispettabile quel che si pubblica.

 

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