Commento di Giovanni Quer

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Israele, mentre deve fronteggiare attentati e attacchi con il coltello dei terroristi palestinesi è colpita alle spalle dall’Europa, che apre al boicottaggio dei prodotti dei territori contesi

Mentre in Africa continuano conflitti di cui non si parla, come in Congo, o di cui non ci si interessa più, come in Sudan, Somalia e Nigeria, e mentre il terrorismo jihadista imperversa in Medio Oriente e in Europa, l’Assemblea Generale dell’ONU adotterà entro fine dicembre 23 risoluzioni sui diritti umani: 1 sulla Corea del Nord, 1 sull’Iran, 1 sulla Siria e 20 contro Israele. Si condanna il regime oppressivo di Pyongyang, la limitazione alle libertà di espressione, religione e coscienze imposte dal regime degli ayatollah, e le efferatezze del regime di Damasco sulla popolazione. Nessuna condanna del terrorismo jihadista, ma molto da ridire su Israele, con l’approvazione degli Stati europei, del blocco dei Paesi arabi e islamici, e i soli voti contrari di Stati Uniti, Canada e qualche Stato minore. Israele è sotto accusa per l’armamento nucleare, per l’occupazione, per il trattamento dei palestinesi, per la situazione dei “rifugiati” palestinesi, e per gli insediamenti.

Le risoluzioni che saranno adottate servono a reiterare la retorica dell’occupazione e degli insediamenti come il maggiore ostacolo per una pace giusta nella regione. In ben due risoluzioni si condanna l’annessione del Golan e le pratiche di imposizione israeliana sulla “Città Santa di Gerusalemme”. Dimenticata l’annessione del Golan e di Gerusalemme con la conseguente estensione della sovranità israeliana, si continua a coltivare il sogno che in un qualche momento quei territori possano ritornare sotto amministrazione siriana, senza tener conto della fattibilità attuale di un simile piano: a chi ritornare il Golan? Quali garanzie di pace avrebbe Israele una volta restituito l’Altopiano alla Siria? E’ però più interessante la questione di Gerusalemme: nelle risoluzioni ONU che vengono citate in condanna a Israele, Gerusalemme avrebbe dovuto avere uno status internazionale, mentre ora si è consolidata la convinzione che l’amministrazione israeliana sia un’usurpazione del territorio palestinese.

Sulla stessa linea, la retorica politica e giuridica palestinese parla di “giudeizzazione” di Gerusalemme, per avanzare false accuse di “pulizia etnica” o “costante oppressione dei palestinesi”. Mentre la dirigenza araba rifiuta la sovranità israeliana, aumentano i residenti arabi che richiedono cittadinanza israeliana, in particolare tra i cristiani, sempre però rifiutando di collaborare con la dirigenza municipale. In quattro risoluzioni si condanna Israele per le “violazioni dei diritti umani dei palestinesi e della popolazione araba nei territori occupati”. Quest’altra formula è un costante appello contro Israele, che non guarda né alla realtà né alla natura dei diritti presumibilmente violati. In particolare, una risoluzione si concentra sullo sfruttamento delle risorse nei territori occupati, che è alla base delle varie forme di boicottaggio. La ripetizione astratta e convulsa di queste condanne nulla dice delle pratiche dell’Autorità Palestinese proprio sulla popolazione araba, né degli accordi tra Israele, Giordania e Autorità Palestinese sull’uso delle risorse naturali e in particolare di quelle idriche.

Una delle quattro risoluzioni dà mandato alla IV Commissione Politica e sulla Decolonizzazione di investigare le violazioni dei diritti umani dei palestinesi da parte del regime occupante: in questa unica occasione il blocco europeo (cioè gli Stati dell’Unione Europea) si è astenuto. Il mero fatto che la Commissione sulla Decolonizzazione abbia un simile incarico dà l’idea di come sia considerata la presenza israeliana nei territori, frutto cioè di una visione anti-sionista che dipinge Israele come un estraneo imperialista che domina gli indigeni palestinesi. Altre 4 risoluzioni si concentrano sui rifugiati palestinesi, condannando Israele per la situazione precaria in cui versano. Ancora con voto favorevole del blocco europeo, è stata approvata una risoluzione che richiede il ritorno dei profughi della Guerra dei Sei Giorni, e la restituzione dei beni dei profughi palestinesi in generale.

L’insistenza sui profughi palestinesi è un altro mantra che nutre il sentimento anti-israeliano, facendo delle richieste palestinesi una questione di giustizia e consolidando la vittimizzazione palestinese, frutto di una distorsione storica. Le pretese palestinesi diventano diritto e giustizia, mentre Israele è il solo accusato per la situazione attuale. La questione dei profughi ebrei che negli stessi anni della Guerra di Indipendenza 1948-49 sono stati espulsi dai Paesi arabi non rientra nella visione di giustizia che è promossa dall’ONU.

Nessuna parola sull’amministrazione dell’UNRWA, l’agenzia ONU per i i rifugiati palestinesi, nelle cui scuole si continua a insegnare l’odio contro Israele e gli ebrei. Secondo un recente rapporto di UN Watch, nelle scuole dell’UNRWA si continua a incitare alla violenza contro gli israeliani, glorificando gli attentatori che accoltellano gli israeliani, e contro gli infedeli, invitando a uccidere “scimmie e maiali”. Infine, altre risoluzioni condannano gli insediamenti. Benché la loro posizione giuridica sia discutibile, la convinzione che siano il maggiore ostacolo alla pace è divenuto ormai un atto di fede.

Le argomentazioni che sono ripetute nelle varie risoluzioni sono le medesime che ispirano i movimenti di boicottaggio e il generale sentimento anti-israeliano che impera in Europa. Non a caso, gli Stati europei hanno votato costantemente a favore delle risoluzioni di condanna di Israele, pur mantenendo a parole una politica di amicizia verso Israele, e nei fatti una politica di aperta ostilità, come la recente decisione di marchiare i prodotti originati nei territori post-1967. L’ossessione anti-israeliana all’ONU e in Europa rispecchia quella particolare visione anti-sionista secondo cui l’esistenza di Israele è il problema principale della pace nella regione. La prolificazione delle risoluzioni ONU consolida le posizioni anti-israeliane nel diritto, che diviene il principale strumento di distorsione della storia e di lotta diplomatica contro Israele. E’ la stessa visione politica che è alla base del movimento di boicottaggio contro Israele, che negli ultimi due anni è promosso dalla Commissione Europea nella forma di disinvestimento dalla cooperazione con le istituzioni israeliane nei territori post-1967. E’ legittimo dunque chiedersi se l’Europa sia veramente ignara della storia e della politica mediorientale o se persegua un’agenda politica ispirata alla visione anti-sionista, promossa all’ONU dal blocco arabo-islamico.


Giovanni Quer

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