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[b]Dal CORRIERE della SERA del 29 giugno 2007:[/b]

In questa storia, il nuovo non è un ritorno. «L'antisemitismo è sempre stato presente». Piuttosto, «il problema » è capire «quale sia il nuovo discorso che consente di rivolgersi a intere folle sostenendo che c'è un diritto

all'antisemitismo». Quali siano le nuove «ragioni deliranti». I motivi dell'odio. Questi sì, nuovi, rispetto al passato. Bernard-Henri Lévy li passa in rassegna. Quattro falsi pilastri a sostegno di un altro Olocausto. Uno: gli ebrei sarebbero dei «truffatori», avrebbero creato «l'illusione gigantesca di un martirio che non c'è mai stato». Due: così facendo, «gli ebrei impedirebbero al mondo di piangere martiri reali», dai palestinesi alle vittime della fame nel mondo.
Tre: questa «menzogna planetaria» sarebbe frutto di una perfetta «organizzazione della cospirazione». E quattro: il segreto di questo «complotto mondiale» si chiamerebbe Israele, «il peggiore degli Stati», una nazione «nazista ». Commenta Elie Wiesel, «c'è qualcuno che non mi ha mai incontrato, eppure mi odia e lo farà anche dopo la mia morte». Ecco, allora, la domanda essenziale: «Se Auschwitz non ha curato il mondo dall'antisemitismo, che cosa mai potrà farlo?».
In questa storia, le vite s'intrecciano alle opinioni. Strutturano le idee.
Le fortificano. Riempiono la Sala Buzzati all'«Aperitivo con gli autori» organizzato ieri dalla Fondazione Corriere della Sera per la rassegna «Milanesiana». Il giornalista Dino Messina modera l'incontro tra Elie Wiesel, premio Nobel per la Pace nel 1986, il filosofo francese Bernard-Henri Lévy, lo scrittore Alain Elkann e l'assessore alla Cultura della Provincia di Milano, Daniela Benelli. In platea, Piergaetano Marchetti, presidente della Fondazione Corriere e di Rcs MediaGroup, ed Elisabetta Sgarbi, ideatrice e curatrice del festival.
Si parla di «Antisemitismo oggi». Ne parla Wiesel, ebreo di origini romene, sopravvissuto ai campi di concentramento di Auschwitz e Buchenwald che da quell'orrore ha tratto La notte, una delle più grandi testimonianze sulla Shoah: «Il silenzio no è mai un'opzione, non aiuta le vittime ma gli oppressori». E non tace, Wiesel. Non se lo permette. Anzi. Sottolinea che il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad «è il primo negazionista della Shoah nel mondo». Un negazionista ricevuto all'Onu, nonostante disconosca l'Olocausto e minacci la distruzione d'Israele. Possibile? «Dovrebbe essere dichiarato persona non grata a livello internazionale. Cosa sta succedendo al mondo?».
È allarme. Il rischio è che suoni a vuoto. Alain Elkann punta il dito contro «l'indifferenza », contro la «negligenza». E contro un'altra parola di gran moda, «tolleranza », che però «è una forma di disprezzo e andrebbe sostituita con rispetto ». Valore che sta alla base del riconoscimento di «una pluralità di culture e religioni». E della difesa di Israele: «Non ci devono essere ambiguità — sostiene Elkann —. Chi tocca Israele tocca tutti gli ebrei».
E allora si torna alla riflessione iniziale. Per dirla con Bernard-Henri Lévy: ci sono sempre, resistono e «cambiano forma» nel tempo le argomentazioni capaci di accendere «una macchina d'odio infernale». Nei Paesi arabi, certo. Ma «anche in Europa» (e lo dimostrano gli ultimi sondaggi). E persino gli Stati Uniti «non sono al riparo» dall'antisemitismo. Dunque, «che fare?», ha chiesto Piergaetano Marchetti. «Abbiamo l'autorità di far sentire la nostra voce, quando occorre. Di dire la verità quando riteniamo che alcuni abbiano veramente torto», insiste Wiesel. Obiettivo: «Isolare, mettere ai margini quanti non amano la verità», aggiunge Bernard-Henri Lévy. Gli strumenti ci sono: «Gli ebrei hanno un radar terribile e sofisticato. Il radar dell'orrore, del peggio». Sentono prima degli altri «il profumo della bestia».

http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=2&sez=120&id=21072
www.corriere.it

 

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