[b]Fondazione Giorgio Perlasca[/b]

[b]Il FOGLIO[/b] del 22 aprile 2008 pubblica un articolo di [b]Giulio Meotti[/b], a coloquio con [b]Marek Edelman[/b], l' ultimo rimasto in vita tra i quattro che guidarono la ricvolta del ghetto di Varsavia.
E' il primo di una serie di articoli dedicati ai sessant'anni di Israele.

Edelman, l’ultimo leader ancora in vita dei quattro che guidarono la rivolta ebraica del ghetto di Varsavia, riceve un mazzo di fiori gialli. Soltanto una volta, nel 1983, i fiori non sono stati recapitati. La scorsa settimana Edelman ha ricevuto la visita del ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner. Insieme hanno acceso candele nella ex Umschlagplatz, la piazza dove gli ebrei venivano caricati sui treni che li portavano a Treblinka. Fu vedendo quella massa avviata alla morte che Edelman e altri duecento ragazzi ebrei senza alcuna esperienza militare decisero di lanciare la rivolta contro i nazisti. Gli tennero testa per giorni, lasciando senza parole Joseph Goebbels. Edelman rifiuta il ruolo di eroe, sa che ci voleva più coraggio a morire restando uniti che con le armi in pugno. Ciò che faceva paura ai tedeschi, ricorda questo gigante del Novecento, era che “su quei carri regnava il silenzio, un silenzio di morte. E questa era la dignità. Per i tedeschi era incomprensibile che nessuna abbia mai chiesto pietà”. “La maggior parte degli insorti fu assassinata a sangue freddo, persero” ha detto il presidente israeliano Shimon Peres. “Ma dal punto di vista della storia, non c’è mai stata vittoria più grande, una vittoria dell’uomo sulla bestialità umana. Vediamo nei combattenti del ghetto un eroismo storico che supera ogni leggenda, i nostri figli lo porteranno con fierezza nei loro cuori”. Kouchner ha insignito con la Legione d’onore Edelman, l’unico leader dell’Organizzazione combattente ebraica ancora in vita. “Ciò che accadde a Varsavia può difficilmente essere definita insurrezione” ha detto Edelman. “Non eravamo più di duecentoventi, per noi erano una questione di come scegliere di morire. Volevamo dimostrare che non eravamo insetti”. Tre anni fa ha detto che la loro era “una ribellione contro l’uomo che non era più umano. Noi volevamo cancellare la vergogna non degli ebrei, ma la vergogna degli uomini”. E’ passato tanto tempo, ma Edelman li ricorda tutti i compagni, “non erano poi così tanti per dimenticare le loro facce, i loro nomi”. A differenza di altri capi, come Itzhak Zuckermann, che si trasferì in Israele, Edelman non ha mai voluto lasciare la Polonia, il suo posto è lì dove il suo popolo fu sterminato. A Edelman anni fa la Sellerio dedicò uno splendido libretto, “Il Guardiano”. “Quando si è accompagnato un popolo ai vagoni che lo portano nelle camere a gas, bisogna avere il dovere di ricordare. Sotto le macerie del ghetto e sotto i quartieri e le case dove oggi la gente abita e vive, ci sono le ossa del popolo ebreo e queste ossa vivono finché c’è qualcuno che ricorda quello che è avvenuto. Il mio impegno è di essere con loro”. Al Foglio Edelman, che vive a Lodz, spiega che “la vita è la cosa più importante in linea di principio. E fin quando c’è vita, la libertà è la cosa più importante. Ma allora se la vita è sacrificata per la libertà, alla fine non sai cosa sia più importante”. Partigiano di Solidarnosc incarcerato dalla giunta militare, Edelman parla di moralità della guerra. La rivolta degli iloti ebrei fu “conseguenza di anni di resistenza in nome della dignità umana”. “La moralità della guerra è differente dalla moralità in tempo di pace” ci spiega. “Tu uccidi in guerra e sei considerato un eroe, se non lo fai sei un debole e giudicato indegno. In tempo di pace al contrario se uccidi, sei giudicato e considerato un criminale. Ero giovane, avevo un mitra in pugno, difendevo il ghetto dalle SS. O noi o loro, non c’era tempo per sentimenti. C’era solo la certezza che contro una dittatura si può sempre e solo lottare”. E l’ingiustizia lo ha spinto ad appoggiare Iraqi Freedom, per la giustizia del popolo curdo e degli sciiti. “Io penso che sempre, quando la vittima è oppressa, bisogna stare dalla sua parte. Bisogna darle riparo, nasconderla, senza paura e sempre opponendosi a coloro che vogliono opprimere”.
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