[b]Pezzo in lingua originale inglese: Obama vs. McCain on the Middle East

di Daniel Pipes
Jerusalem Post
5 giugno 2008
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Con la fine delle primarie del Partito democratico, l'elettorato americano può focalizzare l'attenzione su delle questioni politiche veramente importanti. Ad esempio: in cosa si differenzia l'approccio dei due candidati alle presidenziali statunitensi riguardo a Israele e agli argomenti ad esso correlati? Le interviste parallele, rilasciate all'inizio di maggio dal democratico Barack Obama e qualche settimana più tardi dal repubblicano John McCain al giornalista Jeffrey Goldberg del magazine The Atlantic , offrono degli spunti interessanti.

Nel rispondere più o meno alle stesse domande, i due sono andati in direzione opposta. Obama si è servito dell'intervista per convincere i lettori della sua buona fede nei confronti di Israele e del mondo ebraico. Egli ha reiterato per ben tre volte il suo appoggio allo Stato di Israele: "l'idea di uno Stato ebraico sicuro è fondamentalmente giusta e necessaria"; "la necessità di preservare uno Stato ebraico che sia sicuro è un'idea fondata e dovrebbe essere caldeggiata qui negli Stati Uniti e altrove nel mondo"; e infine: "sotto la mia presidenza, non vi sarà alcun cedimento nell'impegno volto a preservare la sicurezza di Israele".

Obama ha circostanziato il suo appoggio in quattro contesti tipicamente ebraici:

Sviluppo personale. "Quando rifletto sull'idea sionista, penso a come i miei sentimenti verso Israele siano stati forgiati da ragazzo – in realtà, da bambino. Quando frequentavo la sesta classe avevo un consulente scolastico che era un ebreo-americano e che aveva vissuto in Israele".
Carriera politica. "Quando misi in moto la macchina organizzativa, i due organizzatori di Chicago erano ebrei, ed io fui attaccato per essermi legato a loro. Così, mi trovo nella stessa trincea con i miei amici ebrei".
Idee. "Scherzo sempre sul fatto che devo la mia formazione intellettuale ad accademici e scrittori ebrei, anche se all'epoca non ne ero consapevole. Che siano stati teologi o Philip Roth oppure qualcuno degli scrittori più famosi come Leon Uris, tutti hanno contribuito a formare la mia sensibilità".
Filosofia. "Talvolta il mio staff mi prende in giro per le mie afflizioni riguardo alle questioni di carattere etico. Credo di aver imparato qualcosa dal pensiero ebraico: che le azioni hanno delle conseguenze e che abbiamo degli imperativi morali".
Di contro, McCain non ha sentito alcuna esigenza di comprovare il suo sionismo né di ostentare le sue credenziali filo-ebraiche. Assumendo ciò come un dato di fatto, egli ha utilizzato la sua intervista per sollevare delle questioni di politica spicciola, e in particolar modo ha affrontato il nodo della minaccia iraniana. Ad esempio, alla domanda sulla fondatezza del sionismo, McCain ha replicato col dire "è degno di nota che il sionismo campeggi nel bel mezzo delle guerre e delle grandi prove e che esso si aggrappi agli ideali della democrazia, della giustizia sociale e dei diritti umani", per poi aggiungere "penso che lo Stato di Israele continui ad essere sotto la significativa minaccia di organizzazioni terroristiche, come pure della reiterata difesa iraniana dell'idea di cancellare Israele dalla carta geografica". E ancora, parlando di Iran, McCain si è impegnato a "non permettere mai un altro Olocausto". Nel far riferimento alla minacciata distruzione di Israele, egli ha chiosato che ciò avrebbe "importantissime conseguenze per la sicurezza nazionale" ed ha sottolineato che Teheran promuove gli intenti di organizzazioni terroristiche "in merito alla distruzione degli Stati Uniti d'America".

Una seconda differenza concerne l'importanza rivestita dal conflitto arabo-israeliano. Obama l'ha presentato come una "ferita aperta" e come una "piaga sanguinante" che infetta "tutta la nostra politica estera". In particolare, egli ha detto che la sua mancanza di risoluzione "fornisce una scusa ai jihadisti militanti anti-americani per perpetrare imperdonabili azioni". Chiestogli un parere sulle affermazioni di Obama, McCain ha duramente criticato l'idea che l'Islam radicale sia una conseguenza del conflitto arabo-israeliano: "Non penso che il conflitto sia una piaga. Esso rappresenta piuttosto una sfida alla sicurezza nazionale". Il candidato repubblicano ha volutamente continuato "se la questione israelo-palestinese fosse risolta domani, dovremmo ancora affrontare l'ingente minaccia dell'estremismo islamico radicale".

E per finire, i due non sono d'accordo sul numero degli israeliani che continuano a vivere in Cisgiordania. Obama pone grande enfasi sull'argomento, spiegando che se le loro cifre continueranno a crescere "ci impantaneremo nello stesso status quo in cui ci siamo impaludati da decenni". MacCain ha ammesso che si tratta di una questione importante, ma ha poi cambiato discorso, parlando della campagna missilistica lanciata da Hamas contro Sderot, la città israeliana sotto assedio, dove si è recato in visita nel marzo scorso, e la cui situazione difficile egli ha esplicitamente paragonato al territorio continentale statunitense che subisce un attacco da uno dei propri confini.

Le interviste gemelle di Goldberg sottolineano due fatti. Innanzitutto, i due candidati alle presidenziali americane devono ancora rendere omaggio ai cordiali rapporti che intercorrono tra gli Stati Uniti e Israele, e comunque lo facciano, come nel caso di Obama, ciò potrebbe clamorosamente contraddire le opinioni nutrite in precedenza. In secondo luogo, se McCain è tranquillo sull'argomento, Obama si preoccupa di guadagnarsi i voti dell'elettorato filo-israeliano.

 

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