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[b]Testata: La Repubblica
Data: 03 ottobre 2008
Autore: Paolo Mauri – David Grossman
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[b]Da La REPUBBLICA del 3 ottobre 2008, una recensione del nuovo romanzo di David Grossman, "Un cerbiatto somiglia il mio amore", in uscita a giorni da Mondadori (pagg. 782, euro 22)
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Teoricamente questo romanzo di David Grossman poteva continuare all´infinito, tanto è giocato sulla evocazione di particolari, sulle vite raccontate, sull´incastro dei ricordi. Muove dal reparto di isolamento di un ospedale dove due ragazzi e una ragazza sono i soli ricoverati, rinchiusi come in un utero buio, straniante e insieme protettivo. In primo piano balzano subito le voci: le voci e gli urli nel delirio della febbre, le voci prima ancora dei nomi, Orah e Avram cui poi si aggiungerà Ilan.

Siamo a Gerusalemme e naturalmente, inevitabilmente, Israele è in guerra. A un cerbiatto somiglia il mio amore, il titolo viene dal Cantico dei Cantici, (Mondadori, pagg. 782, euro 22, traduzione di Alessandra Shomroni) è dunque un romanzo sulla guerra e sull´amore, o per meglio dire sull´amore che cerca di contrastare la guerra. Detto così può sembrare una contrapposizione persino banale. La verità è che l´amore e soprattutto l´amore materno non vuole (non può) contemplare la possibilità della morte, della morte di un figlio, e dunque cerca di esorcizzarla attraverso accorgimenti scaramantici persino ingenui, come una fuga dal presente immediato che può essere gravido di cattive notizie.
L´amicizia tra i tre ragazzi instaurata nell´ospedale all´epoca della Guerra dei Sei Giorni non si romperà più. Avram e Ilan erano compagni di liceo, ma prima quasi si ignoravano. Avram è un ragazzo vulcanico, con la testa piena di idee: vuole scrivere radiodrammi. Ilan, dagli occhi bellissimi, è più ritroso e solo in seguitò si scioglierà e maturerà. Tra loro due, o meglio con loro due, c´è Orah. Orah, capelli rossi, ha perduto l´amica del cuore Ada, morta in un incidente stradale, e non è riuscita a trovare la forza di andare a trovare i genitori di lei.
Dopo averli conosciuti ragazzi, dopo averne ascoltato le voci, li ritroviamo vent´anni dopo in una situazione di cui pian piano Grossman ci svela il garbuglio. Avram è stato colpito da una tragedia ed è fuori gioco e volutamente fuori dal mondo. Ilan e Orah sono stati sposati e hanno due figli, Adam e Ofer. Ora Ilan ha lasciato Orah ed è in viaggio in America latina con Adam, il figlio maggiore. Ofer ha finito i tre anni di servizio militare, ma si offre volontario per una missione in Cisgiordania, nonostante avesse programmato una lunga gita in Galilea con la madre. Tutto era pronto: zaini, tende, abbigliamento, ma Ofer non sente ragioni, deve tornare sotto le armi. Orah si dispera: teme che si presentino alla sua porta gli ufficiali dell´esercito per annunciarle che Ofer è morto. Ecco allora la fuga: decide di andare lo stesso in Galilea e recupera, come compagno di viaggio, Avram. A questo punto sappiamo cosa è accaduto ad Avram (non rivelo nulla che disturbi la lettura e del resto questo romanzo ha una trama solo per modo di dire). Durante la guerra con gli egiziani Avram è stato catturato e torturato. Col corpo pieno di cicatrici ha tagliato i ponti con tutti e vive di lavoretti saltuari: ora fa il cameriere in un ristorante indiano.
Ma Avram è il vero padre di Ofer: un padre che non ha mai visto suo figlio, del resto accettato e cresciuto da Ilan come figlio proprio. Ancora una volta sarà la voce di Orah la protagonista della parte centrale e più cospicua del romanzo: Orah racconterà ad Avram, durante il loro lungo cammino in Galilea, tutto ciò che le viene in mente della propria famiglia. Racconterà di Ilan, di Adam, di Ofer e un po´ anche di se stessa. Le sue parole risaneranno in qualche modo Avram che uscirà dal proprio guscio finalmente voglioso di sapere tutto del figlio che non ha mai voluto vedere e che ora sbircia in una fotografia.
Grossman è molto abile nel mettere in primo piano l´intreccio dei sentimenti e delle banalità della vita quotidiana: sa scendere nell´intimo dei personaggi e farli vivere. In Che tu sia per me il coltello, uno dei suoi romanzi più fascinosi, sfidò addirittura il senso comune costruendo un innamoramento per un personaggio che dichiaratamente non esisteva e che viveva solo sulla pagina. Era un modo per dire che la letteratura può essere più vera del vero, ma anche un modo per mettere in forse la convenzione tra chi scrive e chi legge e rendere il rapporto inquietante.
Scrivevo all´inizio che questo romanzo poteva essere teoricamente infinito: non può la vita dilatarsi appunto all´infinito se viene raccontata nei suoi moltissimi episodi, nei suoi innumerevoli istanti? Talvolta il lettore cui Grossman non si rivolge mai, salvo che in una nota finale fuori testo, può anche essere portato a pensare: ma non sarò indiscreto ad assistere non visto, non invitato, a tutta questa vicenda? Orah recupera storie remote che raccontano Adam e Oref perché Avram possa finalmente sapere. Adam, ad un certo punto, è stato preso da una sorta di sindrome ossessiva che lo costringeva a tutta una serie di gesti coatti. Portato da uno psicologo, era rimasto immobile e silenzioso e si era rifiutato di parlare. Sarà Oref a guarirlo, diventando per lui un alter ego, chiedendogli di dividere con lui quei gesti rituali di cui non poteva fare a meno. L´aveva guarito per amore. Non so se clinicamente sia previsto un esito del genere, ma certo il lettore ne apprezza il valore simbolico. Di episodi come questo, in cui trionfa l´amore per l´altro, il libro è ricco. Ilan, per esempio, va a cercare Avram quando è disperso in battaglia. È un suo amico, lo vuole salvare ad ogni costo. Riuscirà a localizzarlo e a sentirne la voce (ancora una volta una voce protagonista) attraverso una ricetrasmittente, ma non potrà soccorrerlo.
Il tema della guerra (delle guerre) è dunque largamente dominante. Quando Ofer è ancora bambino scopre con terrore che Israele è circondato da paesi nemici. Ne resta atterrito, mentre li enumera uno per uno. A nulla vale il tentativo dei genitori di placarlo ricordandogli che Israele ha anche degli alleati potenti. Sì, ribatte lui, ma sono lontani. Ci uccideranno tutti, conclude. Il bambino Ofer riesce a superare il proprio terrore grazie ad un escamotage infantile: dirò che sono inglese! Ma il cuore in pace nessuno dei personaggi riesce realmente a metterselo: Israele vive una guerra perenne e conflitti perenni al suo interno.
Nella prima parte del libro Orah riesce a indispettire Sami, un arabo che le fa da autista quando serve e che lei reputa un grande amico. Con Sami conoscerà anche un ospedale clandestino palestinese, dove i feriti e i malati vengono curati durante la notte per poi sparire durante il giorno. Insomma tutta la realtà israeliana compreso il terrore per gli attentati sugli autobus e nei bar è presente in moltissime pagine e se qualcuno fa un torto al nemico viene sottolineato. Orah, per esempio, si arrabbia con Ofer perché ha chiuso un vecchio palestinese in una cella frigorifera insieme ad altri commilitoni e poi non si è ricordato di liberarlo andando incontro ad un provvedimento disciplinare. Orah è disperata: come è possibile dimenticarsi una cosa del genere? Ma la guerra non è mai umanitaria, anzi scorgere atteggiamenti umanitari magari nel nemico suscita persino sorpresa, come quando un gruppo di soldati israeliani vedono i nemici egiziani rallegrarsi perché uno dei loro si è salvato e corrono in suo soccorso.
A un cerbiatto somiglia il mio amore è un romanzo complesso: Orah ammette di aver avuto per un certo periodo rapporti sia con Avram che con Ilan. Comunque sia tra i tre c´è un´intesa strana, dominata dal caso cui si affidano un giorno con una estrazione a sorte di cui spesso si riparla. Chi ha scelto che cosa?
Mentre Orah e Avram percorrono a piedi la Galilea e Orah parla e parla, vengono descritte, incidentalmente, le bellezze naturali della regione: i boschi, i torrenti, i fiori, i campi coltivati, le mucche al pascolo. Si fanno anche curiosi incontri per la strada: per esempio un vedovo che fa domande e le annota su un quaderno. Anche Orah ha voglia di scrivere. Il cammino per la Galilea ha, ancora una volta, un forte valore simbolico: la terra e gli uomini non vogliono cattive notizie. Senza cellulare, senza comprare giornali Orah e Avram avanzano aspettando che spiri il ventottesimo giorno della missione militare: Oref tornerà a casa. Nessun ufficiale busserà alla porta con la ferale notizia. Il non poter ricevere la notizia serve dunque a neutralizzarla.
Anche Grossman scrivendo questo libro pensava di esorcizzare la cattiva notizia. In una nota fuori testo ricorda che suo figlio Uri, cui il romanzo è dedicato, era militare e quando tornava a casa gli chiedeva come stava andando e che cosa aveva fatto fare ai suoi personaggi. La sua morte, nelle ultime ore della guerra del Libano, è stata il suggello più straziante per un libro di straripante ricchezza di per sé pieno di angoscia e di tristi presagi, ma anche di una forza vitale ancestrale: quella forza che è nelle cose e nella terra. Un libro infinito, come sono gli intrecci delle vite degli uomini.

[b]Un'anticipazione, sempre da REPUBBLICA[/b]

Probabilmente Orah si addormentò, perché sul far del mattino fu svegliata da tre persone in uniforme che davanti alla sua casa si spostarono per lasciare il passo all´ufficiale di grado superiore e permettergli di bussare alla porta. Il medico tastò la siringa con il calmante nella borsa e la giovane donna ufficiale tese le braccia per prepararsi a sostenere Orah nel caso svenisse. Vide i tre drizzare le spalle, tossire per schiarirsi la gola. L´ufficiale di grado superiore sollevò la mano ed ebbe un attimo di indecisione.
Orah fissò ipnotizzata quella mano chiusa a pugno e pensò che quell´istante sarebbe durato tutta una vita. L´uomo bussò forte alla porta, tre volte, fissandosi la punta delle scarpe e ripetendo tra sé la frase di rito in attesa che l´uscio si aprisse: all´ora ics, in località ipsilon, suo figlio Ofer, impegnato in un´operazione militare…
Al di là della strada, sull´altro lato della via, la gente chiudeva le finestre, le sbatteva, tirava le tende e poi ne sollevava i lembi, per sbirciare. Ma la porta di Orah rimaneva chiusa. Riuscì finalmente a smuovere i piedi, tentò di mettersi seduta nel sacco a pelo. Era coperta di sudore freddo, aveva gli occhi chiusi e le mani intorpidite. Le sembrava di non riuscire a muoverle.
L´ufficiale di grado superiore bussò ancora tre volte ma era tanto restio a farlo che lo fece troppo forte. Sembrò che volesse sfondare l´uscio, irrompere all´interno con quella brutta notizia. Ma la porta rimaneva chiusa, nessuno la apriva. Lui guardò imbarazzato il documento che aveva in mano e su cui era scritto esplicitamente che all´ora ics, in località ipsilon, suo figlio Ofer, impegnato in un´operazione militare… La donna ufficiale fece un passo indietro per controllare il civico della casa. Era quello giusto. Il medico cercò di sbirciare dalla finestra per controllare se ci fosse qualche luce accesa. Era tutto buio. Altri due colpi, più deboli. La porta rimaneva chiusa. L´ufficiale di grado superiore vi si appoggiò per un attimo con tutto il suo peso, quasi stesse prendendo seriamente in considerazione l´idea di sfondarla e di consegnare il messaggio a ogni costo. Guardò perplesso i suoi colleghi perché gli era chiaro che qualcosa stava andando storto nelle procedure di rito e che la loro volontà, effettiva, logica e professionale, di comunicare la notizia, di liberarsene, di vomitarla, di trasfonderla rapidamente a chiunque essa appartenesse in base alla legge e al destino – e cioè all´ora ics, in località ipsilon, suo figlio Ofer, impegnato in un´operazione militare – quella loro volontà, insomma, si scontrava contro un´altra del tutto inattesa e parimenti determinata, ovvero il rifiuto deciso di Orah di ricevere quella notizia, di assimilarla in qualsiasi modo o di ammettere minimamente che appartenesse a lei.
Anche i colleghi, gli altri due membri del gruppo, si unirono nell´intento di sfondare la porta con colpi ritmati, incoraggiandosi a vicenda. Vi si lanciavano contro e la colpivano con il corpo, e Orah, distesa lì, da qualche parte ai margini del sogno, scuoteva disperatamente la testa a destra e a sinistra, voleva gridare ma la voce le mancava. Sapeva che quelle persone non avrebbero osato comportarsi in modo tanto insolito se non avessero percepito la sua resistenza al di là della porta. Era questa la cosa che li faceva diventare matti. Il povero uscio vacillava, cigolava tra quelle due volontà: una adulta, razionale, militare, l´altra ostinata e infantile.
Orah si rigirò, si raggomitolò nel sacco a pelo fino a che all´improvviso non si sentì gelare. Aprì gli occhi, dalla finestrella della tenda vide il cielo che si schiariva. Si passò una mano tra i capelli. Erano bagnati, come se li avesse lavati con il suo sudore. Rimase coricata dicendo a se stessa che entro un attimo il cuore avrebbe smesso di battere all´impazzata e che doveva uscire di lì.
Ma per quanto lo volesse, non ce la faceva ad alzarsi. Il sacco a pelo le si era attorcigliato intorno fasciandola come una benda gigantesca troppo stretta e umida. Il suo corpo era talmente svigorito da non avere la forza di opporsi a quel lenzuolo funebre e pieno di vita che l´avvolgeva. Magari rimanendo distesa un altro po´ si sarebbe calmata e avrebbe raccolto le energie, avrebbe chiuso gli occhi e cercato di pensare a qualcosa di più allegro.

 

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