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[b]ISRAELE, IL COMPROMESSO DEL NUOVO ESECUTIVO
Il «governone » nasce stanco
Oggi alla Knesset il premier incaricato Netaniayahu presenta la sua squadra di 30 ministri[/b]

Un “governone” forte nei numeri, ma stanco, privo di vere iniziative, ripiegato su se stesso. E una coalizione che sarà inevitabilmente di transizione, destinata a gestire in modo mediocre una congiuntura politica grigia, dove non ci saranno forti slanci al dialogo con i palestinesi soprattutto perché non ci sono le condizioni reali per un negoziato di sostanza.
E’ questo il giudizio di due importanti commentatori e intellettuali israeliani al momento della formazione del nuovo governo di Benjamin Netanyahu. Amnon Dankner, ex direttore del quotidiano “Ma’ariv”, scrittore, ultimamente romanziere di successo, e Asher Arian, politologo alle università di Haifa e Gerusalemme, autore sin dalla fine degli anni Settanta di una fortunata serie di libri-analisi di tutte le tornate elettorali israeliane, sostanzialmente sono d’accordo.

“Queste elezioni sono state vuote, non hanno visto un vero dibattito, propongono personaggi quasi tutti vecchi. Inevitabilmente il governo che ne è il prodotto sarà vuoto, povero”, sostengono all’unisono con parole molto simili.

Il più iconoclasta è Dankner: “Spesso i media locali, e soprattutto quelli internazionali, si sono dilungati a descrivere la battaglia politica come se fossimo negli anni Ottante e Novanta, come se la discriminante centrale tra destra e sinistra fosse il futuro del processo di pace con i palestinesi. Ma è stata tutta una finzione. Poiché in verità gli israeliani sanno bene che in questo momento qualsiasi eventualità di accordo con i palestinesi è lontano anni luce. Siamo ben distanti dal tempo degli accordi di Oslo del 1993. Oggi non si può fare la pace anche perché i palestinesi sono divisi tra di loro. Trionfa lo scontro Hamas-Olp. Nessuno in Israele crede davvero nell’avvio di un qualsiasi dialogo di sostanza con Abu Mazen. La situazione in questo campo è totalmente bloccata”. E le conclusioni sono ancora più grame: “In questo periodo del nulla non ti puoi attendere nulla”. Aggiunge Arian: “Titolerò il mio prossimo libro-analisi sul voto del 2009 sul fatto che non c’è stato un vero dibattito sulle grandi questioni di principio che dal 1967 dividono destra e sinistra sul futuro dei territori occupati. Mi soffermerò invece su temi molto meno eccitanti, come la necessità di cambiare il nostro sistema elettorale e sul relativo rafforzamento delle destre”. E c’è un elemento in più che a suo dire caratterizza l’Israele che si affaccia alla seconda decade del millennio compiendo il suo sessantesimo anno d’età. “Ci manca un Obama israeliano. Non abbiamo un vero leader. Ehud Baraq, l’ultimo dei grandi generali, è al tramonto, incapace di tenere uniti i laburisti, pronto ai compromessi più bassi con Netanyahu pur di rimanere in sella e a spese dell’unità del partito”.

Pure ci saranno questioni importanti che ben presto Netanyahu sarà chiamato ad affrontare, prima tra tutte quella delle aperture di Barack Obama all’Iran, con la prospettiva addirittura di un atteggiamento americano più disponibile nei confronti di Hamas ed Hezbollah. “Ecco perché Netanyahu avrebbe voluto avere Tzipi Livni al suo fianco, una figura che senz’altro l’avrebbe aiutato nel dialogo con Hillary Clinton e lo stesso Obama”. Ma qui il fallimento è stato totale. La Livni assurge a nuovo leader dell’opposizione. E Netanyahu vede addensarsi nubi nere su ormai circa quarant’anni di “rapporti speciali” con gli Stati Uniti. Potrebbe uscirne rilanciando il dialogo con la Siria. Ma sarà in grado di farlo? Rispondono Dankner e Arian: “Forse, per ora non se ne vedono le premesse. Questo governo potrebbe cercare di barcamenarsi, un po’ come fecero negli anni Ottanta Shimon Peres e Ytzhak Shamir nel periodo della paralisi dell’unità nazionale. Il problema è che allora proprio quella politica di piccolo cabotaggio da parte israeliana precedette la prima intifada palestinese. Se Netanyahu fosse spinto a scelte importanti dall’amministrazione Obama non sarebbero da escludere nuove elezioni anticipate”.

Lorenzo Cremonesi
31 marzo 2009

 

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