[b]Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli[/b]

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Ci sono alcuni principi politici generali della politica palestinese. Il primo è questo: mai perdere l'occasione di perdere un'occasione. Se si profila all'orizzonte una possibilità di ottenere finalmente lo Stato che dicono di volere, hanno cura di evitarlo a tutti i costi. Fu così nel '48, quando Ben Gurion accettò la divisione in due stati del territorio decisa dall'Onu, dichiarando l'indipendenza, ma gli arabi scatenarono una guerra di sterminio che persero e neanche dopo fecero alcuno stato palestinese. Fu così quando Sadat portò l'Egitto alla pace e Arafat rispose scatenando una campagna terrorista. Fu così alla fine della presidenza Clinton, quando Barak gli offerse sostanzialmente la totalità dei territori e lui fece partire l'ondata terrorista della "seconda intifada". Fu così col ritiro da Gaza, con le offerte di Olmert ancora più larghe di quelle di Barak respinte da Abu Mazen, sia pure, bisogna ammetterlo, senza un'ondata terrorista sua, dato che ci pensava Hamas.
Ed è così oggi.

Hanno alla Casa Bianca un presidente che tiene assolutamente fede al suo secondo nome (come direbbe l'agente 007 "My name is Obama, Barak 'Hussein' Obama") e sta dunque esercitando "terribili pressioni" su Israele per ottenere concessioni? Hanno dalla loro parte Eurabia e anche la Russia? C'è chi (per la cronaca Solana, ministro degli esteri di Eurabia) propone che l'Onu "imponga" (evidentemente a Israele) una "soluzione giusta" (cioè favorevole ai palestinesi, è chiaro)? In Israele siede un governo diffamato in tutti i modi dalla stampa internazionale, che in tanti cercano di isolare? E loro cercano il modo di perdere anche questa occasione.
Il nome in codice per questo ennesimo atto masochista è "precondizioni". Al congresso di Fatah, il primo da vent'anni, un congresso così democratico che tre quarti dei delegati sono stati nominati e non eletti e il capo è stato rieletto d'ufficio senza neanche passare per l'acclamazione di rito, per mancanza di concorrenti, l'assemblea unanime ne ha stabilito 14. Precondizioni, naturalmente, per avere il piacere di sedere allo stesso tavolo con l'ineffabile Erkat, capo dei non-negoziatori palestinesi. La prima ve l'ho detta un paio di giorni fa, consiste nella liberazione di tutti i terroristi catturati da Israele: dieci volte di più di quel che Hamas pretende per liberare Shalit, solo per avere un appuntamento con Erkat, che sarà pure un bell'uomo, ma proprio simpaticissimo non è, vi assicuro.
La seconda è uscita ieri. Il prezzo per prendere un the con Erkat comprende la consegna preventiva di tutta Gerusalemme, vecchia e nuova, Est e Ovest, centro e periferia. I palestinesi siederanno al tavolo delle trattative solo dopo che Israele avrà ceduto loro non solo il quartiere ebraico della città murata, col Kotel, non solo tutti i quartieri costruiti intorno alla capitale in quarant'anni, ma anche la Kenesset, Yad Vashem, la sede della presidenza della Repubblica nel quartiere di Rehavia, il King George Hotel, il Museo d'Israele, la zona di Ben Jehuda, insomma tutto tutto tutto, anche quel che appartiene a Israele dalla fondazione. Inutile dire che si tratta di una condizione che ha moltissime possibilità di realizzarsi. Ho saputo che Peres ha già immediatamente chiamato una ditta di traslochi per un preventivo. Il problema è che loro vogliono sapere dove dovranno portare la mobilia.
E qui, purtroppo per Abu Mazen, o forse per sua fortuna, c'è una difficoltà. Indiscrezioni non confermate, infatti, che sono in grado di rivelarvi grazie a un'intensa attività di spionaggio telepatico, assicurano che la clausola 3 riguarda Tel Aviv ("datecela tutta, inclusa la spiaggia, o proprio non parliamo"), la 4 Haifa ("restituitecela integralmente, incluso il campus dell'università, se no tenetevi pure i pasticcini della conferenza, che noi non veniamo"), la 5 tutto il Galil, la 6 la navi per portare in salvo qualche israeliano prima della conferenza ("devono assolutamente naufragare entro 30 miglia, fateci dei buchi se volete che accendiamo i microfoni"). Le altre otto clausole, a quanto si dice, riguardano la gestione dei lager da costruire nel Negev, ma questo è ancora segreto. Si sa solo che l'ultima, la numero 14, prevede che non ci sia una delegazione israeliana alle trattative. Solo i palestinesi avranno diritto di parteciparvi, tanto si tratterà di decidere che cosa fare di quel che avranno già ricevuto, cioè tutto.
Comunque o le precondizioni saranno tutte rispettate o gli onorevoli rappresentanti palestinesi non appoggeranno il loro onorevole deretano su alcuna sedia da conferenza, tanto si sa che le sedie sono perverse invenzioni occidentali e che gli arabi perbene si siedono solo a gambe accavallate su un tappeto sotto una tenda, come il buon Gheddafi.
Che dire? Deus amentat quos perdere vult, dicevano i latini, la divinità fa impazzire quelli che desidera siano sconfitti. Forse per merito della demagogia palestinese, riusciremo a sopravvivere anche a Obama, se il Cielo vuole.

Ugo Volli

PS: avete letto qualcosa dei risultati della conferenza di Al Fatah sui giornali italiani? Sì, un pezzo della brava Fiamma Nirenstein, come sempre informata e attenta; e poi qualche trafiletto più o meno incompleto qua e là. Per il resto, la stampa di Eurabia rispetta rigorosamente il motto del Conte zio di Manzoni: «Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire». Ignorare la realtà che non ci piace, far prevalere l'ideologia sui fatti. E non è un caso. Perché la stampa italiana, con le debite eccezioni, è così vicina ai palestinesi che cerca in tutti i modi di imitarli: mai perdere l'occasione di perdere un'occasione – di informare.

PPS: La condizione che riguarda Gerusalemme è scritta nella mozione del congresso con una formulazione molto allarmante: «Fatah continuerà a sacrificare vittime fino a quando Gerusalemme non ritornerà [ai palestinesi], libera dagli insediamenti e dai coloni». Non si promette semplicemente di "lottare", di "protestare" ecc., e neppure ci si limita a rifiutare la trattativa. Si promette di "sacrificare vittime". Sacrifici animali? Un agnello scannato ogni mattina, come gli islamici usano fare per la festa della fine del Ramadan? Non sembra proprio. Che siano sacrifici umani? "Martiri"? O le vittime sacrificate sono piuttosto quelle dell'altra parte? In un caso o nell'altro si tratta della minaccia di attentati suicidi, visto che i palestinesi non hanno mai usato i metodi di Jan Palach o dei monaci vietnamiti. Forse, prima di sedere a prendere il the con Erkat, anche gli americani dovrebbero chiedere qualche chiarimento su questo punto.

 

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