Fonte:

[b]Tratto da National Review

Mark Steyn.
Traduzione di Jacopo Mogicato[/b]

Nel Giorno della Memoria 2008, un gruppo di poco meno di 100 persone di Londra, ha fatto una visita guidata all’interno del vecchio ghetto ebraico nell’East End. Hanno visitato, tra gli altri siti di interesse, il luogo di nascita del mio vecchio compagno Lionel Bart, l'autore di Oliver! . Tre generazioni di scolari sono cresciuti cantando la canzone di Bart: “Considerati a casa, Considerati uno di famiglia!”. Quegli ebrei londinesi hanno provato a sentirsi come se fossero a casa. Ma, in realtà, non lo erano. Non più. Infatti il tour è stato improvvisamente interrotto, quando giovani di origine mediorientale gli hanno iniziato a scagliare pietre contro. "Se proseguite, morirete" gridavano mentre continuavano a gettare sassi.

Un newyorkese, appena trasferitosi in Gran Bretagna per iniziare un lavoro presso la Metropolitan University, è stato ferito alla testa e ha dovuto essere trasportata al Royal London Hospital a Whitechapel, perdendo anche la funzione interconfessionale alla Sinagoga dell'East London per la Giornata in memoria delle vittime dell’Olocausto. Anche il suo amico Eric Litwack dal Canada è stato colpito ma la ferita non era grave e non necessitava di punti. Non è stato un grosso caso per la stampa: d’altronde nessuno è stato ucciso o sfigurato in modo permanente. Forse la polizia di Sua Maestà aveva ragione a dire che il tour avrebbe dovuto essere accompagnato da una scorta.

Ebrei lapidati durante la giornata europea della memoria. Sembra quasi una parodia di una vecchia battuta:“i tedeschi non potranno mai perdonare gli ebrei per Auschwitz”. Secondo un sondaggio del 2005 dell'Università di Bielefeld, il 62 per cento dei tedeschi "sono stanchi di ricevere tutte queste critiche riguardo ai crimini nazisti contro gli ebrei”. Tuttavia, quando si tratta di criticare, in questi giorni sono proprio gli ebrei che subiscono la maggior parte delle critiche. Un paio di anni fa, durante la “sproporzionata" incursione di Israele in Libano, ecco cosa mi ha ricordato un lettore: “Un giorno il Segretario generale dell'Onu propose che, nell'interesse della pace e l'armonia mondiale, i giocatori di calcio di tutto il mondo si riunissero e formassero una squadra di calcio delle Nazioni Unite. "Grande idea", rispose il suo vice. "Ma contro chi giocherà?". Replicò: "Israele, naturalmente". Ci fu una grande risata.

"Israele è fuori moda", ecco cosa mi disse uno ministro degli esteri europei circa un decennio fa. "Quando Israele cambierà, anche la moda cambierà." Le mode infatti cambiano. Ma anche se Israele cambierà, non diverrà mai “di moda”. Infatti l’opinione della maggior parte degli europei dal 1970 in poi è contro Israele. Questo perché Israele non è più vista come perdente, ma come vincente. Perché allora rispolverare le colpe dell’Olocausto? Va bene. Le mode cambiano. Ma il nuovo antisemitismo non è una moda, è semplicemente una cruda realtà che diverrà una metastasi nei prossimi anni e lascerà Israele isolato a livello internazionale.

Pochi mesi dopo il tour che vi ho appena raccontato, mi trovavo a Tower Hamlets, per la prima volta dopo anni. A Cable Street mi sovvenne la scena di un famoso scontro nel 1936, quando Sir Oswald Mosley dell’Unione britannica dei fascisti, in un esercizio di politica repressiva, voleva marciare all’interno del ghetto ebraico di Londra. Vennero respinti da una folla di ebrei, di cattolici irlandesi e di comunisti, che intonavano lo slogan della guerra civile spagnola: "No pasarán".

Da "No pasarán" a "Se proseguite, morirete". Non è solo antisemitismo ma è la storia di una trasformazione demografica senza precedenti. Oltre la moda "anti-sionista" della sinistra europea c’è una dura realtà: l’energia demografica non solo nell’East End, ma in ogni paese dell'Europa occidentale pende verso i musulmani. Una recente indagine statistica del governo inglese riporta che nel Regno Unito la popolazione musulmana aumenta dieci volte più velocemente rispetto alla popolazione generale. Amsterdam, Rotterdam, Anversa, e molte altre città europee, dalla Scandinavia alla Costa Azzurra, raggiungeranno la maggioranza islamica nel corso dei prossimi anni.

Bruxelles ha un sindaco socialista, ma il suo elettorato è a maggioranza islamica, il che potrebbe sorprendere chi ancora pensa che sia un fenomeno che procede lentamente. Brutte notizie per la cristianità, all'alba del Terzo millennio: il partito al governo della capitale dell'Unione europea è a maggioranza islamica.

Ci sono generalmente due risposte a questa tendenza: la prima è che cambiano gli attori ma lo spettacolo rimane invariato. La Francia rimane la Francia, la Germania rimane la Germania, il Belgio rimane il Belgio. La seconda risposta è che l’islamizzazione dell’ Europa comporta determinate conseguenze e, forse, vale la pena esaminare quali possono essere. Ci sono già molti punti di attrito culturale: dall'abolizione nelle banche britanniche dei salvadanai dati ai bambini a forma di maiale, al divieto di consumare ciambelle per la polizia di Bruxelles durante il Ramadan.

Oltre a ciò, un famoso sondaggio di un paio di anni fa, rivela che il 59 per cento dei cittadini europei guardano ad Israele come la più grande minaccia alla pace nel mondo. Cinquantanove per cento? E gli altri? Nessun problema: in Germania, erano il 65 per cento, in Austria il 69 per cento e nei Paesi Bassi il 74 per cento. Col puro scopo di confrontare i dati statistici, in un recente sondaggio in Egitto, Giordania, Marocco, Libano, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (vale a dire, il mondo arabo moderato) il 79 per cento degli intervistati guarda ad Israele come la più grande minaccia per la pace nel mondo. Per quanto ne so in Europa il sondaggio non è stato ripetuto: magari ora la percentuale e è più alta in Olanda che in Yemen.

Però c’è ancora qualche speranza: sulla scia degli attenti del 7 luglio, l'allora sindaco di Londra Ken Livingstone venne criticato perchè cercò di spiegare il motivo per cui gli autobus che esplodono a Tel Aviv sono assolutamente legittimi, mentre a Bloomsbury no. Questi sono solo piccoli ostacoli in una strada totalmente in discesa: più cresce la popolazione musulmana in Europa, più diviene irrequieta e con sempre maggiore entusiasmo l’establishment abbraccia "l’anti-sionismo". Come se l’ebraismo fosse l'ultima vergine rimasta da sacrificare nel vulcano.

Per gli ebrei di oggi, a differenza di quelli a Cable Street nel 1936, non vi sono cattolici irlandesi o comunisti con cui stare spalla a spalla. Nella Europa post-cristiana la sinistra intellettuale ed alcuni cattolici sono più ferventi nel loro sostegno ad Hamas che molti abitanti di Gaza. Alcuni israeliani avrebbero replicato a questi fenomeni con un “E allora? E’ un peccato per i poveri ebrei che hanno sempre contato sugli 'amici' europei!”. C’è una bella differenza tra un snobismo da salotto riguardo a "l'apartheid israeliano" e una psicosi di massa contro Israele che si può percepire ovunque.

Un altro esempio: i bizzarri fatti accaduti durante le partite del primo turno di Coppa Davis in Svezia. Era previsto che si sarebbero giocate allo stadio Baltiska Hallen di Malmo. Israele era l’avversario della Svezia. Però Malmö è la città della Svezia con più musulmani, e per questo evento la municipalità ha ordinato di giocare a porte chiuse tutti e tre i giorni, per motivi di sicurezza. Immaginate essere Amir Hadad e Andy Ram, giocatori israeliani del doppio, oppure gli svedesi Simon Aspelin e Robert Lindstedt. Questo doveva essere il loro grande giorno. Ma invece lo stadio era vuoto, fatta eccezione per alcuni cronisti sportivi e i compagni di squadra. E appena fuori lo stadio 10.000 manifestanti cantavano, "Fermate la partita!". E forse, in mezzo alla moltitudine, qualcuno urlava anche, "Vogliamo uccidere ogni ebreo in tutto il mondo" (come i manifestanti di Copenaghen poche settimane prima).

Forse Aspelin e Lindstedt si sono chiesti perché non sono stati sorteggiati contro una squadra meno controversa, come lo Zimbabwe o il Sudan? Alla fine è stata una bella partita, avvincente e piacevole, con molta sportività da entrambe le parti. Anche la folla avrebbe potuto godere di questo splendido spettacolo e i giornali magari avrebbero scritto che alla fine della partita gli stessi giocatori israeliani si sarebbero presi l’applauso meritato del pubblico.

Vi ricordate il summit della "road map" tenutosi in Giordania subito dopo l'invasione degli Stati Uniti in Iraq? Sembrava essere una cosa molto importante a quel tempo, con i governatori israeliani e l'autorità palestinese, il presidente degli Stati Uniti, e tutti i principali dittatori della Lega araba. All'interno dello splendido resort, sembrava essere tutto molto collegiale, con tutti quei sorrisi e le strette di mano. Fuori, le bandiere sventolavano: c’era quella giordana, quella americana, quella dell’Arabia Saudita, quella egiziana e quella palestinese. Ma non quella di Israele. Il Re Abdullah di Giordania liquidò il fatto dicendo che sarebbe stato provocatorio che “la stella di David” sventolasse in suolo giordano anche durante un summit in cui tutti erano sullo stesso piano.

Anche la partita di tennis di Malmo ha osservato le stesse regole: una sottile intransigenza propria dell’islam che pian piano permea anche nel resto del mondo. Se i governi occidentali saranno restii come il re Abdullah a sventolare la bandiera di Israele, allora anche chi tra i cittadini sceglierà di farlo si troverà in difficoltà. (continua…)

Mark Steyn è autore di "America Alone"

Tratto da National Review

Traduzione di Jacopo Mogicato

 

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