[b][size=12]Valico di Erez, la terra di nessuno
Di Stefano Magni
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Il sequestro del mercantile Francorp, salpato dall’Iran, carico di armi destinate probabilmente ad Hezbollah in Libano, o a Hamas a Gaza, ha provocato un’ondata di sdegno in Israele. Proprio nello stesso giorno in cui si celebrava solennemente la memoria di Ytzak Rabin, il premier che diede la vita per la pace nel Medio Oriente, la marina mostrava alla tv le armi che sarebbero state certamente usate contro i cittadini israeliani, se fossero arrivate a destinazione. Quella del Libano è una ferita ancora aperta dal 2006. Così come la è quella di Gaza.

. Le guerre sui confini settentrionale e meridionale degli ultimi tre anni possono essere interpretate in mille modi in Europa. In Israele hanno semplicemente il volto dei soldati rapiti nel 2006. In quell’estate di tre anni fa, con il sequestro (in pieno territorio israeliano) di Gilad Shalit a firma di Hamas e con quello di Ehud Goldwasser e Eldad Regev da parte di Hezbollah, iniziavano la guerra in Libano e l’ultima fase della lunga guerriglia di Gaza. Fino all’anno scorso, i volti dei soldati rapiti erano rappresentanti ovunque. Dopo il ritorno dei corpi senza vita di Goldwasser e Regev, solo Shalit è rimasto sulle bandiere, nei poster, nelle preghiere. L’immagine del suo volto si ripete all’ingresso di tutte le basi militari, su bandiere alle finestre, su adesivi appiccicati alle auto. Al valico di Erez, al confine con la Striscia di Gaza, ci si imbatte in una scena insolita per un osservatore europeo: un beduino, vestito in abito tradizionale, che abita in una tenda blu. Si tratta di un presidio permanente per la liberazione di Shalit. I beduini, nell’immaginario collettivo occidentale sono assimilati agli arabi. E tutti gli arabi, sempre secondo un punto di vista occidentale, sono ostili a Israele. Quindi non si batterebbero mai per la liberazione di un soldato di leva dello Stato ebraico. La tenda di Shalit, da sola, smonta questi luoghi comuni. Gli attivisti che la presidiano, quando arriviamo a Erez consegnano a tutti una lettera aperta che inizia con: “Adesso stai per passare attraverso il valico di Erez dallo Stato di Israele, o stai tornando dalla Striscia di Gaza allo Stato di Israele, in qualità di parenti e amici di Gilad Shalit, vogliamo gentilmente attirare la tua attenzione sul fatto che Gilad, che è un cittadino israeliano ed europeo (ha la cittadinanza francese) è stato rapito da Hamas tre anni e mezzo fa. Gilad è tenuto in ostaggio nella Striscia di Gaza come una pedina di scambio ai fini di estorsioni e manipolazioni politiche”. Gli attivisti ritengono che: “Solo l’immediata conclusione positiva del negoziato per la liberazione di Gilad porrà termine alle continue sofferenze degli abitanti di Gaza”, scrivono nella loro lettera aperta. Un documento che, nell’intento dei suoi redattori, chiunque entri nella città di Hamas dovrebbe far leggere “ai cittadini palestinesi della Striscia, ai loro leader e fra di voi, per dare il vostro piccolo contributo alla causa della pace”.
Quando facciamo presente che possono esserci degli sviluppi interessanti dopo il rilascio di un primo video di Shalit, prima prova concreta della sua esistenza in vita, i promotori di “Gilad.org” vogliono mostrarsi ottimisti: “speriamo che ci siano sviluppi”. Però sembra che sottointendano un “ma…”. A cui segue un inespresso “sarà difficile” che si legge nelle loro espressioni. Il problema è che la Striscia di Gaza, pur essendo conficcata profondamente nel territorio di Israele, resta un mondo tanto lontano quanto ostile. Da Israele, le sue enormi case popolari possono essere distinte ad occhio nudo, ma nessuno, al di qua della barriera, si può immaginare che cosa ci sia al di là. Le strade, solitamente trafficate, si svuotano man mano che ci si avvicina alle barriere della sua frontiera. I campi non possono essere irrorati dagli aerei, perché questi ultimi verrebbero bersagliati dai miliziani di Hamas. Le cittadine e le fattorie sono protette da muri, come nel Medio Evo. Il valico di Erez e quello di Karni sono dei luoghi desolati: non ci sono l’affollamento e le code che caratterizzano tutti i valichi di frontiera, ma solo vie deserte in mezzo al deserto. Fra i due mondi non c’è comunicazione. Da Gaza ci arrivano solo le immagini di parate fanatiche dei guerriglieri islamici, dei pianti vittimisti per le distruzioni della guerra. E delle armi di contrabbando, che arrivano a valanga dall’Iran.

[b]L’Opinione 7 novembre 2009
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