[b]Le EDIZIONI LINDAU [/b]
presentano
Giorgio Israel
Per una medicina umanistica
Apologia di una medicina che curi i malati come persone

«Il medico ha preso partito per la vita.
La scienza lo assiste nel compimento dei doveri che nascono
da questa scelta. L’appello al medico viene dal malato.
È l’eco di questo appello patetico che attribuisce la qualifica
di “patologiche” a tutte le scienze che la tecnica medica
utilizza al soccorso della vita. È innanzitutto perché gli uomini
si sentono malati che esiste una medicina.»
Georges Canguilhem

«[Nelle società industriali] la malattia grave e la morte
hanno cambiato senso e, invece di far parte dell’esistenza,
del ciclo della vita, le sono divenute estranee.
La decadenza fisica e la morte sono percepite come un’oscenità.
I progressi tecnici della medicina e la sua vittoria contro
un gran numero di malattie hanno talvolta effetti perversi
a discapito di pazienti colpiti da malattie ancora incurabili.»
Mirko D. Grmek

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Edizioni Lindau | «I Draghi» | pp. 102 | euro 12 | ISBN 9788871808499 | febbraio 2010
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DAL 20 FEBBRAIO IN LIBRERIA
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A partire dall’800 la medicina ha aderito al modello delle scienze fisico-matematiche «esatte» tanto che oggi si considera quasi degradante considerarla come un’«arte». La tesi di Israel in questo suo ultimo saggio è che, al contrario, la concezione della medicina come scienza «oggettiva» è gravemente riduttiva. La medicina ruota attorno a qualcosa che non esiste nelle scienze esatte: la pratica clinica. L’analisi storica ed epistemologica mostra la natura specifica dei concetti di normalità e di patologia e la loro irriducibilità a un approccio oggettivistico. Una medicina puramente scientifica rischia di sostituire l’idea di «cura» con quella di «riparazione». Restringendosi a un approccio meramente analitico in cui la clinica non ha più alcun ruolo, il medico rischia di non ascoltare più il paziente e la sua richiesta di soccorso e di trattarlo come una macchina guasta. Se una medicina ispirata a valori umanistici non deve assoggettarsi ai precetti di un oggettivismo di tipo fisico-matematico, ancor meno deve assoggettarsi al paradigma pan-genetico in cui la patologia è ridotta a un «errore» di programmazione dell’organismo.

In questo saggio Giorgio Israel si chiede se di fronte ai grandi progressi della medicina moderna bisogna rassegnarsi al suo scadimento sotto il profilo umano, se sia davvero necessario che i progressi delle scienze mediche – che hanno determinato un cambiamento profondo della professione medica – tralascino il rapporto soggettivo e personale tra medico e paziente. Per l'Autore ciò costituirebbe una perdita, grave. Innanzitutto per i malati, ma anche per i medici.

La forza di Israel sta, soprattuto, nella sua chiarezza della scrittura, nella sua capacità di trattare un tema così importante in modo semplice (ma non semplicistico) e anche appassionante.

L'Autore
Giorgio Israel insegna storia della matematica presso l’Università di Roma «La Sapienza». Ha esplorato il ruolo della scienza nella storia della cultura europea attraverso numerosi saggi e libri come Il mondo come gioco matematico (con A. Millán Gasca, Bollati Boringhieri, 2008, Premio Peano). La visione matematica della realtà (Laterza, 1996), The Invisible Hand (con B. Ingrao, MIT Press, 2000), The Biology of Numbers (con A. Millán Gasca, Birkhäuser, 2002) analizzano lo sviluppo dell’idea di razionalità matematica. Altri lavori sono dedicati alla cultura scientifica italiana fra ’800 e ’900, al ruolo del pensiero ebraico nella nascita della scienza moderna, e alle teorie razziali durante il fascismo. Molti lavori recenti riguardano le concezioni meccaniciste, la fragilità di concetti alternativi come quello di complessità, la deriva tecnoscientifica. A questi temi sono dedicati La macchina vivente (Bollati Boringhieri, 2004), Chi sono i nemici della scienza? (Lindau, 2008, Premio Capalbio). Membro della Académie Internationale d’Histoire des Sciences, è stato professore presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi e ha tenuto numerose conferenze all’estero e in Italia.

L'inizio del libro
Gli sviluppi recenti delle scienze biomediche e, in particolare, il crescente peso assunto dalla genetica, stanno determinando un cambiamento profondo dei connotati della professione medica. L’approccio diagnostico tradizionale lascia sempre più il posto alla determinazione dello stato del malato per via analitica, e ora anche per via di test genetici. Ciò ha come conseguenza il fatto che il rapporto intersoggettivo e personale tra medico e paziente assume un ruolo sempre meno importante. In linea di tendenza lo stato del paziente potrà essere diagnosticato a distanza, senza che il medico neanche veda il suo volto e ascolti la sua voce. In parte, questo è già realtà. Un’altra conseguenza non meno rilevante è un radicale cambiamento della figura del medico. Non soltanto per il paziente egli diventa il medico, figura astratta e impersonale e non più un particolare medico. Egli diventa qualcosa di diverso anche per sé stesso: sempre di più uno specialista il cui compito è analizzare in termini oggettivi un organismo e predisporre i rimedi standard per la situazione-tipo in cui esso si trova; piuttosto che valutare e curare lo stato particolare di una persona, intendendo con «stato» sia l’essere che il sentirsi malato di quella persona. Questi mutamenti della figura del paziente e del medico vengono sempre più spesso giustificati come una conseguenza positiva e benefica di un’evoluzione inevitabile, e cioè del fatto che la medicina assume sempre di più i connotati di un’attività scientifica fondata su basi rigorosamente oggettive. Insomma, la riduzione dello spazio concesso agli aspetti soggettivi e interpersonali sarebbe un male minore rispetto al progresso consistente nel fatto che la medicina diventa sempre di più una scienza basata su protocolli analitici solidi e oggettivi.
Ma è proprio vero che questi mutamenti presentano aspetti soltanto positivi – evidenti e indiscutibili – e che la trasformazione della medicina in una scienza simile alla fisica o alla chimica costituisce un progresso e non comporta alcuna perdita? Si tratta di una domanda che non ha una portata esclusivamente teorica. I mutamenti profondi nel rapporto tra medico e malato provocano spesso stati di malessere le cui cause e le cui conseguenze debbono essere attentamente valutate. Pertanto, riflettere sullo statuto epistemologico e metodologico della medicina ha implicazioni pratiche rilevanti. In questo breve saggio intendo mostrare – ricorrendo a considerazioni storiche ed epistemologiche – che, nonostante non possano essere seriamente contestati i vantaggi derivanti dall’espansione dell’area degli aspetti biomedici trattabili in termini quanto più oggettivi sia possibile, la trasformazione della medicina in una scienza «esatta» comporta necessariamente la sottovalutazione delle componenti soggettive e di relazione. Questa sottovalutazione costituisce una riduzione e non un progresso. Si tratta di un aspetto regressivo che è tanto più evidente quanto più si assume come riferimento un’immagine meccanicistica della scienza.
Tuttavia, si può obbiettare: è forse un’anomalia che la medicina aspiri a godere dello statuto di scienza al pari delle altre scienze ritenute «esatte»? La risposta è certamente negativa. Quale ramo della conoscenza non ambisce oggi a proclamarsi «scientifico»? Si tratta di una tendenza che ha radici nella rivoluzione scientifica del ’600. Come ricorda Alain Finkielkraut:

Nello stesso paragrafo in cui afferma solennemente che l’universo è scritto in lingua matematica, Galileo definisce l’Iliade, come l’Orlando furioso, «opere della fantasia umana, in cui la verità di quel che è scritto è la cosa meno importante». A questo punto può nascere la famosa espressione che per gli umanisti non avrebbe avuto senso: «E tutto il resto è letteratura».

Nel corso di circa tre secoli abbiamo a tal punto assimilato questo punto di vista che tutte le attività intellettuali e pratiche che non appaiono esibire un fondamento di «verità oggettiva» sono considerate di livello inferiore o infimo, dove per «verità oggettiva» deve intendersi ciò che è garantito dal metodo delle «scienze esatte», a loro volta rappresentate dal modello delle scienze fisico-matematiche. Accade così che l’antica affermazione secondo cui la medicina non è una scienza bensì un’«arte» – e sul cui significato torneremo più in là – è divenuta quasi fonte di vergogna. Dichiarare che la medicina è una scienza appare come una condizione essenziale per evitare che su di essa cada il discredito.
In questo saggio mi propongo di mostrare che questa visione è profondamente sbagliata. La medicina non può che essere qualcosa di più di una scienza puramente oggettiva sullo stile della fisica-matematica, proprio se vuol essere una forma di conoscenza e di pratica rigorosa. Occorre prendere atto che la medicina si occupa di qualcosa che è molto di più di un mero oggetto materiale, di un uomo-macchina da riparare: essa si occupa di una persona da curare. Pertanto, essa, proprio se aspira a essere rigorosa, deve tenere in conto sia gli aspetti strettamente oggettivi che quelli soggettivi del paziente. Ne consegue che la mutilazione degli aspetti di relazione intersoggettiva – di cui sottolineavamo all’inizio le implicazioni negative e spesso dolorose – sono conseguenza di una mutilazione del valore della medicina il cui rigore scientifico ha come condizione imprescindibile il rigetto di ogni forma di riduzionismo, tanto più se meccanicistico. Difendere il valore umanistico della medicina non è quindi soltanto un’istanza morale, ma significa affermarne il valore conoscitivo e pratico in tutta la sua pienezza.

L'Indice dell'opera

5 Premessa

11 Capitolo 1
L’oggettivismo scientifico e la medicina

25 Capitolo 2
La svolta «scientifica»: Claude Bernard

47 Capitolo 3
Normalità e patologia nell’uomo e nella macchina

61 Capitolo 4
Essere malato e sentirsi malato

73 Capitolo 5
Alla ricerca di un’idea di salute

85 Capitolo 6
Senza una visione umanistica la medicina non è una scienza

93 Riferimenti bibliografici

Per informazioni e interviste all'autore:

Silvja Manzi • Ufficio Stampa Edizioni Lindau
Corso Re Umberto 37 – I-10128 Torino (TO)
tel. +39 011 517 53 24 • fax +39 011 669 39 29
silvja@lindau.it • www.lindau.it

 

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