[b]Stefano Magni
L'Opinione 3 marzo 2010[/b]

Il nuovo direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (Aiea), il giapponese Yukiya Amano, ha cambiato decisamente atteggiamento rispetto al suo predecessore, l’egiziano Mohammed el Baradei. Dopo i silenzi e il tacito avallo della politica iraniana da parte del precedente direttore, Amano, nel primo rapporto dell’Aiea sull’attività nucleare dell’Iran, aveva scritto nero su bianco che c’era il sospetto di suo scopo militare. Si parlava chiaramente di “Preoccupazione per la possibile esistenza di passate e presenti attività segrete per la produzione di testate nucleari per missili”.

Lunedì, Amano ha solo leggermente smorzato i toni, per evitare forti polemiche internazionali. E, per questo, è stato pubblicamente apprezzato dalle autorità nucleari di Teheran. Ma la sostanza del discorso resta quella: “(l’Aiea, ndr) non esclude che tutto il materiale fissile in Iran venga usato per scopi pacifici”. Resta dunque il sospetto che il regime islamico voglia dotarsi della bomba atomica. Il dibattito è tornato di stretta attualità da tre settimane, da quando, cioè, Ahmadinejad ha annunciato pubblicamente l’inizio di un programma di arricchimento dell’uranio al 20%. Questa soglia è ancora insufficiente alla produzione di testate, ma avvicina notevolmente l’Iran a questo obiettivo. E soprattutto rappresenta un segnale chiaro che la Repubblica Islamica vuol produrre materiale nucleare in casa, contro ogni compromesso possibile con l’Aiea e con la comunità internazionale. In questo nuovo round dello scontro, i Paesi in via di sviluppo e la Cina si schierano dalla parte di Teheran. La tesi di questo schieramento è che qualsiasi Stato può dotarsi di impianti per la produzione di energia nucleare per scopi pacifici, mentre i timori per le armi atomiche sarebbero solo “pretesti” per escludere gran parte del mondo dallo sviluppo energetico. La Cina, in particolare, ha chiesto ieri “più tempo” per negoziare prima di applicare nuove sanzioni. Lo ha ribadito il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Qin Gang, in occasione dell’incontro con il diplomatico americano James Steinberg. Tutte le potenze occidentali, a partire dagli Usa, sono invece preoccupate per lo sviluppo atomico della Repubblica Islamica. E anche la Russia si è unita al coro. Lunedì, il presidente Dmitri Medvedev si è detto “pronto, assieme ai nostri partner, a considerare l’introduzione di nuove sanzioni” contro il programma nucleare di Teheran. Se resta un dubbio sulle intenzioni bellicose del regime islamico sciita, questo risiede solo nella sua dottrina: Khomeini, il suo fondatore, era fermamente contrario al possesso e all’uso di armi atomiche. Ma anche questo aspetto sta cambiando. Mentre la guida suprema, Alì Khamenei, continua a definire ufficialmente un “peccato” (haram) il possesso di testate nucleari, le riviste vicine al governo le vogliono. Gli alti ufficiali della Guardia Rivoluzionaria ritengono, non solo legittimo, ma obbligatorio, l’adozione di tutti i mezzi necessari alla difesa della rivoluzione islamica. Citano il Corano per affermare: “Preparate, contro di loro, tutte le forze che potrete (raccogliere) e i cavalli addestrati per terrorizzare il nemico di Allah e il vostro e altri ancora che voi non conoscete, ma che Allah conosce. Tutto quello che spenderete per la causa di Allah vi sarà restituito e non sarete danneggiati”.

 

Comments are closed.

Set your Twitter account name in your settings to use the TwitterBar Section.