[b]"Ci mancava la festa per chi dà del razzista a Israele"
Fiamma Nirenstein

Il Giornale, 23 novembre 2010[/b]

Sembra impossibile che ci venga ripresentata ancora questa minestra con tutto il suo veleno, che sembrava ormai mitridatizzato. Ma l’Onu è sempre superiore alle aspettative, e ci ripresenta come fosse un piatto prelibato, a dieci anni di distanza, un remake del famigerato Durban 1, quella conferenza dell’Onu contro il razzismo che si trasformò, fra l’orrore generale, in una conferenza razzista contro Israele e gli americani. Allora, stupefatti dopo gli interventi di Mugabe, Fidel Castro, Arafat che maledivano l’Occidente colonialista e gli ebrei razzisti, se ne andarono i canadesi, gli americani, gli israeliani.

Più avanti, nel 2009, quando l’Onu ripropose un Durban 2 da tenere a Ginevra, il governo italiano, che aveva imparato la lezione, non mandò nessuna delegazione e tutto il nostro Parlamento, da destra a sinistra, votò il suo rifiuto a uno show antisemita e antioccidentale. Ne fu protagonista Ahmadinejad che ne fece un’occasione per rinnovare la negazione della Shoah e promettere di sterminare gli ebrei. Lo sosteneva una pletora di Ong che assistevano l’Onu nel suo sforzo «antimperialista», come avevano fatto con la violenza a Durban nel 2001.

Adesso, ci risiamo: oggi, secondo quando stabilito dal calendario, la Terza commissione dell’Assemblea Generale deve votare una risoluzione proposta dallo Yemen che specifichi tutti i particolari (compresa la data fissata per il 21 settembre del 2011, cioè il giorno prima dell’apertura annuale dell'Assemblea Generale così da avere il massimo numero di capi di Stato) di una decisione passata dall’Assemblea generale del 2009: vi si stabilisce che si commemori il decennale di Durban 1 e se ne riaffermi la violentissima piattaforma. L’Italia, in Assemblea, ha votato contro, con Australia, Canada, Repubblica Ceca, Danimarca, Gremania, Israele, Isole Marshall, Olanda, Palau, Polonia, Romania, Stati Uniti. Ma la maggioranza di 128 Paesi, forti di tutto il mondo musulmano, dei Paesi non allineati, di buona parte dei Paesi africani, ha passato la palla al centravanti, cioè al «Gruppo di lavoro intergovernativo per l’effettiva attuazione della dichiarazione di Durban», che, riunitosi a Ginevra dall’11 al 22 ottobre, ha stabilito che l’Assemblea ricreerà l’epos di Durban.

È un epos che la cronista ricorda bene, dato che seguiva la conferenza in Sud Africa: erano i giorni in cui preparava l’attacco delle Twin Towers e mai scenario d’odio fu meglio prefigurato. Durban fu l’anticamera di Ground Zero. Mentre si succedevano al podio oratori che davano agli Stati Uniti e a Israele tutte le colpe del mondo e chiedevano di pagare il fio, gli ebrei con la kippà si dovevano mettere in salvo dai cortei che brandivano ritratti di Bin Laden (che vidi e raccontai allora) e inseguivano gli ebrei. I centri ebraici della città furono attaccati e chiusi, la conferenza stampa del gruppo israeliano assalita violentemente e interrotta. Israele era paragonato al nazismo, bollato di apartheid per dichiararne l’indegnità in Sudafrica, gli americani venivano richiesti di pagare all’Africa, in denaro sonante, tutti i secolari danni dello schiavismo. Che gli arabi siano stati crudeli commercianti di schiavi che per secoli hanno deportati i neri d’Africa, era una memoria negata e perduta.

La risoluzione di Durban che ora si vuole recuperare e onorare, dichiara Israele uno Stato razzista e non nomina nessun altro Stato al mondo. Non esistono le tante discriminazioni etniche e religiose che infestano il mondo, persino non si dice nulla delle mille stragi che insanguinano il mondo per motivi di pelle e di credo, non quella dei 165mila cristiani l’anno, per l’80% nel mondo islamico, non quella dei tutsi in Rwanda, non quella del Darfur, non quella degli uiguri o dei curdi, tantomeno le persecuzioni e le discriminazioni degli ebrei in tanti Stati orientali e anche ormai, nel crescente antisemitismo occidentale.

Riapprovare il documento di Durban significa rinfocolare con la forza da elefante che ha l’assemblea dell’Onu tutta una serie di aspetti di programmazione istituzionale, suscitando boicottaggi culturali ed economici, discriminazioni di sportivi, di artisti e di accademici, sollevando accuse delle varie Ong che vanno a caccia di «criminali di guerra» da denunciare alle strutture internazionali, significa eccitare manifestazioni di odio in cui la svastica e la Stella di Davide sono sovrapposte e si va a caccia di ebrei, con tutto il relativo seguito di incidenti antisemiti in crescita esponenziale: a molti fa piacere, e tanto.

Significa soprattutto trascinare l’Onu nell’abiezione culturale e politica che la rende sempre più estranea a qualsiasi vera opzione antirazzista: chi potrà mai immaginare che questa organizzazione potrà battersi contro le discriminazioni etniche e di religione, se l’occasione per farlo è utilizzata per perseguitare Israele e soddisfare i nemici dell’Occidente? Speriamo che la mozione dello Yemen sia bocciata, ma non ci contiamo. Intanto, Patrick Ventrell, portavoce della delegazione americana all’Onu, ha detto che gli Stati Uniti sono contro la data proposta, settembre «non è un tempo appropriato».

 

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