[b]Riccardo Di Segni,
rabbino capo di Rom[/b]a

Uno dei riti più squallidi del mondo dell'informazione è l'intervista alle vittime di orribili delitti nella quale si chiede: siete disposti a perdonare? I poveretti, già colpiti fisicamente ed emotivamente, devono affrontare le telecamere e la carta stampata che attende da loro una risposta, che se è negativa o solo dubitativa può trasformarli in un istante da vittime a biechi giustizialisti senza carità. E' la retorica del perdono da quattro soldi da consumarsi mediaticamente in due minuti,

in una società dove l'esercizio della giustizia è difficile e quindi servono scorciatoie. Forse dietro a tutto questo c'è anche una questione teologica, e allora vediamo che cosa ci insegna la nostra tradizione: il perdono ci deve essere, ma ha le sue regole. Questo Shabbat leggeremo una grande storia di perdono e riconciliazione, quella di Yosef con i suoi fratelli. Il contenzioso era grosso (riduzione in schiavitù con l'aggravante del rapporto famigliare) e la vittima, Yosef, sembra godersi il piatto freddo della vendetta accanendosi contro i suoi persecutori. Tuttavia il succo della storia è diverso dalle apparenze; il proposito di Yosef è di riportare i colpevoli su una strada di teshuvà, nella quale non c'è solo la consapevolezza della gravità del danno, ma anche la disponibilità a sacrificare sé stessi per impedire che si ripetano situazioni analoghe. Immaginiamo un giornalista che scopre la story e chiede a Yosef: lei è disposto a perdonare? Certo, ma solo se c'è teshuvà effettiva.

Fonte:
http://moked.it/[/link]

 

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