Testata: Il Giornale Data: 26 aprile 2012 Pagina: 14 Autore: Fiamma Nirenstein – Vittorio Dan Segre  //*IC*

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 26/04/2012, a pag. 14, l’articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo ” Un Paese di 64 anni giovane e robusto “, l’articolo di Vittorio Dan Segre dal titolo ” Così Israele vince le sfide impossibili  “. Ecco i pezzi:

Fiamma Nirenstein – ” Un Paese di 64 anni giovane e robusto “

Fiamma Nirenstein

«Quando sarò vecchio e perderò i ca­pelli, fra molti anni, mi manderai ancora biglietti d’amore con gli auguri per il compleanno e una bottiglia di vino..». Insomma sarai ancora la mia gratificazione preferita, il mio narciso sentirà il bisogno indispensabile della tua esistenza… Chissà, «avrai ancora bisogno di me, mi nutrirai ancora, quando avrò 64 anni»… A ritmo più frenetico di quello dei Beatles i Churchill, gruppo rock israeliano in questi giorni ha prodotto a sorpresa l’antica canzone. Perchè Israele da ieri sera festeggia per tutta la giornata di oggi il suo 64esimo anniversario, e i Churchill a suo nome cantano: Will you still need me? Hai ancora bisogno di me, come quando l’Onu disse «Yes» alla partizione cercando di restituire un senso morale alla sua esistenza, come quando Ben Gurion accettò e gli Stati arabi si lanciarono in guerra? Il mondo ha ancora bisogno di Israele? Crede in lui, nella sua indispensabilità, o potrebbe lasciarlo andare nelle fauci dell’islam estremo? È pronto ad affiancarlo di fronte ai pericoli che lo minacciano comprendendo che minacciano lui stesso? Will you still feed me? Gli porgerà la mano in questa fase di minaccia di distruzione? Ha ancora bisogno di Israele, la terra dei pionieri, della vita semplice e eroica, del sacrificio? E Israele porta ancora quel sè visionario e grandioso che ha riscattato il mondo intero dalla paura di essere divenuto il mostro che aveva divorato il popolo ebraico, suo padre, il suo fratello maggiore, l’inventore della coscienza, della storia etica di tutto il mondo Occidentale? Israele è un Paese felice nell’età matura, contento di ciò che ha saputo costruire col miracolo della volontà. Ieri sera è entrato nella sua 64esima puntata della gioia e della sorpresa di esistere come sempre con balli e canti dopo una terribile giornata, la solita di tutti gli anni: la sua determinazione al sacrificio degna delle Termopili è stata testimoniata alla radio, alla tv, nelle cerimonie pubbliche dalla memoria di madri, padri, fratelli, vedove, fidanzate dei 23mila israeliani, quasi tutti ragazzi di leva, caduti nelle guerre e di 2500 civili assassinati dal terrorismo. Ognuno ha un nome, una storia, ogni famiglia raccontava ieri quanto il suo Yossy, Ronni, Allon, Joseph, era allegro e gentile e innamorato, mai una parola d’odio nè di rancore verso chi li ha uccisi, sempre con l’aspirazione alla pace che poi Netanyahu e Peres hanno ripetuto nei discorsi ufficiali. E alla fine con la determinazione di ripetere più o meno implicitamente a tutti, anche se si parla della persona più importante di te stesso: «e nonostante questo, non me ne andrei mai da qui». When I’m 64, sarò sempre Israele. Di fatto il Paese che così tanti amano odiare, su cui ogni giorno si gettano tonnellate di delegittimazione ha seguitato sempre, come un vulcano di miracoli, a fornire buoni motivi di ammirazione, di stupore. Nonostante le domande degli amici («ma dici che posso partire?») oggi è uno dei Paesi più sicuri del mondo, uno dei pochi, per i viaggi; i sistemi sociali di protezione della salute e di garanzia dell’educazione sono fra i migliori del mondo; il rispetto dei diritti umani, religiosi, sessuali, la libertà di stampa e di opinione, il rispetto delle minoranze (certo considerando che si cerca di evitare almeno parte del terrorismo sempre in movimento) sono fra i più robusti dei Paesi occidentali, pur sviluppandosi in un’area mediorientale; il numero di feriti e morti nel conflitto permanente con un nemico che ti irrora di missili e di attentati e di odio è fra i più bassi del mondo; il sistema giudiziario il più determinato a non guardare in faccia nessuno. L’88 per cento degli israeliani sono fieri di esserlo, il 78 per cento considera l’esercito in cui si serve se maschi per tre anni e se donne per due, come un simbolo del Paese. Con tutti i pericoli che li circondano gli israeliani sono fieri che il codice dell’esercito sia severissimo, come si è visto recentemente nello scandalo enorme per lo scatto di violenza del comandante Shalom Eisner, che ha tirato una botta in testa a un dimostrante. È la forza della coesione di un Paese che crede nel significato della sua esistenza quella che mette Israele in grado di pensare contemporaneamente all’Iran, di avere un esercito fra i migliori del mondo, una democrazia in cui religiosi e laici, pacifisti e coloni non smettono di scontrarsi, di affrontare con una riforma micidiale i suoi problemi sociali ed economici (la commissione Trajtenberg è stata un colpo di frusta all’intera organizzazione socio-economica).. e insieme di essere il maggiore inventore di high tech del mondo insieme agli Usa? Come fa Israele a produrre premi Nobel a catena (l’ultimo a Dan Shechtman per il quasycristal); scoperte dirompenti nella fisica e nella medicina al limite di un imperativo che proibisca infine gli orrori dell’Alzheimer, della sclerosi multipla e altre dannazioni;innovazioni legate al computer del livello dell’invenzione del laptop? Nel suo 64esimo, il messaggio di Ahmadinejad è «Israele è un tronco ammarcito da distruggere». Anche l’anima si può distruggere, la storia ce l’ha dimostrato più volte. Ma stavolta sembra che sarà difficile farlo, a 64 anni Israele è molto giovanile e robusto. www.fiammanirenstein.com

Vittorio Dan Segre – ” Così Israele vince le sfide impossibili “

Vittorio Dan Segre

Allevare salmoni «norvegesi» nel deserto, riparare tubature de­gli acquedotti dall’interno per bloccare lo sperpero di acqua per causa di tubi perforati o mal salda­ti, inventare nuovi tipi di chip,atti­rare dall’estero laboratori di ricer­ca di società come Google, Ebay, Microsoft, Cisco, sono alcuni dei successi menzionati nel best sel­ler di due giornalisti ( Dan Senor & Saul Singer: Start-up Nation 2009) per spiegare come un Paese grande come la Lombardia in guerra da 64 anni e senza risorse naturali è riuscito a aumentare di 10 volte la popolazione (da 600 mi­la a 7,5 milioni) le esportazioni di 13mila volte (da 6 milioni a 8 mi­liardi di dollari) piazzandosi in ter­mini di Pil fra Spagna e Italia. Il segreto di queste scommesse vincenti con continue sfide esi­stenziali sta nella combinazione di tre atteggiamenti caratteriali: sprezzo dell’autorità, passione del rischio, visione dell’avversità come fonte di energia. Non rende Israele particolarmente simpati­co a molti. Ma pone il più delegitti­mato Paese dell’Onu al 22˚ posto nella scala dei «migliori Paesi del mondo» (secondo Newsweek ), al quindicesimo per dinamismo, al primo per la salute pubblica con l’88% di soddisfazione della sua popolazione. È il solo ad aver supe­rato l’attuale a crisi aumentando il suo rating; l’unico che inizia il ventunesimo secolo con più albe­ri e­verde che all’inizio del ventesi­mo, che ha risolto i problemi di ir­rigazione con la desalinizzazione e l’invenzione dell’irrigazione a gocce. Detiene il record mondiale della produzione del latte per mucca, esporta le migliori sale operatorie assieme ad aerei senza piloti, vanta la più alta percentua­le di sopravvivenza dal cancro con medicine innovatrici contro l’Alzheimer,il Parkinson e la scle­rosi multipla, una pillola rivolu­zionaria per la diagnosi del siste­ma digestivo e il primo computer biologico. Si potrebbe allungare la lista ma la formula del successo che fa tanto imbestialire i suoi nemici, arabi e non arabi, non si è autocre­ata. Vi hanno contribuito leader come Ben Gurion che ordinava, quando un esperto affermava che un compito era irrealizzabile, di cambiare l’esperto; come Shi­mon Peres che negli anni Ottanta ha ridotto l’inflazione (dal 400% all’attuale 2.3%), come Netan­yahu c­he negli anni Novanta ha li­beralizzato l’economia abbassan­do la disoccupazione dal 12 al 4.7%, come il governatore della banca centrale Stanley Fisher che ha accumulato 78 miliardi di dol­l­ari di riserve stabilizzando la mo­neta. Vi hanno contribuito i 20 col­legi universitari, accademie, con 3 catalogate fra le prime 50 del mondo. In ultimo l’apporto di un milione di immigranti dalla Rus­sia con educazione superiore per il 50% e la concentrazione in pa­tria del più alto numero al mondo di scienziati e ingegneri per 10.000 abitanti (produttori del più alto numero di brevetti dopo USA e Canada). Tuttavia un catalizzatore dello sviluppo é stato l’esercito. Con­s­cio della propria inferiorità quan­titativa nei confronti del nemico arabo ha puntato sulla qualità umana facendo proprio il motto di Einstein: l’immaginazione è più importante della conoscenza. Chi esaminasse la lista dei fonda­tori, direttori, amministratori del­le società start-up (ve ne sono ol­tre 4000 con un numero di quelle registrate alla borsa Nasdaq di New York che è superiore a quello europeo) noterebbe che la gran­de maggioranza di questi innova­tori esce dalle unità scientifiche, tecnologiche e di intelligence del­le forze armate. Il «miracolo» israeliano ha le sue ombre: divario di ricchezze e stato sociale, concentrazione del potere finanziario nelle mani di 18«famiglie allargate»,basso livel­lo delle scuole medie, un milione di bambini a livello di povertà. Pro­blemi a cui la scoperta di giaci­menti di gas sottomarino dovreb­bero portare rimedio entro il 2014 garantendo l’indipendenza ener­getica del Paese e la creazione di un fondo sovrano dedicato – se­condo le promesse con cui Bibi Netanyahu conta di vincere le prossime (2013) elezioni legislati­ve all’educazione, allo sviluppo e alla integrazione sociale.

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