Testata: La Stampa Data: 17 giugno 2012 Pagina: 11 Autore: Francesca Paci   //*IC*

Con il titolo “La paura dei copti: ‘Meglio Shafik, se vincono gli islamici è la fine”, sulla STAMPA di oggi, 17/06/2012, a pag.11, Francesca Paci racconta la tragica prospettiva che attende i cristiani egiziani se dovesse prevalere il voto ai Fratelli Musulmani. Quei Fratelli Musulmani che molti commentatori sui nostri giornaloni si sono sbracciati a presentare come rappresentanti dell’islam ‘moderato’. Ecco l’articolo:

Stavolta non è come al primo turno e non si scherza: noi cristiani ci giochiamo il futuro» spiega il camionista quarantasettenne Nawal Nagy aspirando fumo dalla pipa ad acqua e disponendo le tessere del domino sul tavolo del piccolo caffè di Maushiyat City, la famosa città della spazzatura incassata tra l’antica cittadella del Cairo e la collina al Muqattam. Ha «ovviamente» votato per Shafik, dice sorpreso dalla domanda. Così come gli amici seduti intorno a lui e le decine di uomini e donne con la scheda elettorale tra le mani che fanno la fila davanti alla dirimpettaia scuola-seggio el-Gabarti el-Ebtidaeya. Qui, tra le palazzine traboccanti spazzatura dove il 95% dei 60 mila abitanti è copto, l’esito delle presidenziali ha un significato fatale. E pazienza se l’opulento ultimo premier di Mubarak – i cui manifesti fanno il paio con le onnipresenti icone di Gesù – non ha nulla a che vedere con i 50 dollari al mese degli «zabaleen», i raccoglitori di rifiuti motore dell’economia del quartiere. «Se Morsi ce la fa, ci ammazzano tutti» sentenzia Maryam, 49 anni, casalinga, mostrando fiera l’indice sporco d’inchiostro.
Il primo giorno di ballottaggio restituisce l’immagine di un Egitto drasticamente polarizzato. I candidati rimasti in corsa sono il Fratello Musulmano Mohammed Morsi (che secondo i Fratelli avrebbe già il 69% dei consensi) e il campione del vecchio regime Ahmed Shafik, ma nei circa 14 mila seggi aperti fino a stasera per 50 milioni di elettori si scontrano due opposte visioni del Paese, nessuna delle quali erede della rivoluzione del 25 gennaio 2011. Così, se i giovani idealisti di piazza Tahrir si dividono tra chi boicotta il voto e chi preferisce rischiare la sharia pur di non tornare al passato, gli over 40 scelgono tra l’ordine divino e quello terreno. E i cristiani, il 12% della popolazione non esattamente a proprio agio con la maggioranza musulmana, non hanno dubbi.
«A maggio ho votato Sabbahi ma ora è diverso specie per una donna copta» ammette l’ingegnere trentaseienne Teresa Boutros uscendo dalla scuola el Kholafah, nel quartiere benestante di Masr el Gehdida. Accanto alla sua Passat gli amici Rami e Fadi, operatori turistici, discutono le prospettive politiche: «Essere cristiani sarebbe il meno, una situazione alla turca con l’esercito che controlla andrebbe bene. Ma se qui prendono il potere i Fratelli finiamo come l’Iran e addio democrazia. Meglio Shafik, la gente protesterà qualche giorno, ci sarà caos, ma poi si riparte e tra 4 anni torniamo alle urne».
Indipendentemente dalla classe sociale a cui appartengono i copti hanno paura. Tra i ragazzi è più facile trovare chi si sente beffato dal tandem MursiShafik e aderisce al boicottaggio lanciato da molti gruppi liberali, dai simpatizzanti di el Baradei a quelli di Sabbahi. L’informatico ventiduenne Beshoy Tanry, membro della gioventù di Maspero (il quartiere della domenica di sangue copta di 8 mesi fa), rifiuta la mano tesa dall’esercito: «Quando bruciano le chiese è sempre la stessa storia, a farlo sono i salafiti ma i militari li coprono. Queste elezioni sono una farsa». Gli adulti invece si fidano dei preti che in questo caso hanno indicato il nome di Shafik.
«Possiamo andare verso uno Stato civile o verso uno islamico, per i cristiani c’è un’unica opzione possibile» nota Youssef Sidhom, direttore del giornale copto Watani. Manda in edicola una prima pagina dedicata all’Egitto al bivio.
Il successore di Mubarak sarà «incoronato» sabato sia pur in assenza del parlamento e il Cairo si prepara alla settimana più lunga e calda dell’ultimo anno e mezzo (non solo per la temperatura di 38°). Nel popoloso quartiere di Shubra, dove il 70% dei tre milioni di abitanti ha la croce ortodossa tatuata sul polso sinistro, sei tank stazionano a poca distanza dalle scuole el-Ehadia Banin e elTawfikia Banin. La security che controlla il Paese con 400 mila uomini, tra poliziotti e militari, non ha potuto impedire che qui venissero alle mani i sostenitori dei due candidati. È accaduto anche a Nasr City, alla periferia del Cairo, e pare che alcuni militanti del movimento 6 aprile, schierato con Mursi, siano stati arrestati dopo un faccia-a-faccia con gli attivisti di Shafik ormai galvanizzati. Ma a Shubra, dove gli scontri hanno storicamente carattere confessionale, è diverso.
«È tutta colpa dei bin Laden» attacca Edward Yacoub, commesso del negozio di abbigliamento You-You all’angolo di Shubra street. La sua associazione tra i Fratelli Musulmani e il fondatore di al Qaeda non lascia molto margine interpretativo. Qui non si vedono elettori in coda con la borsa sulla testa per proteggersi dal sole come nelle strade sterrate di Abassiya, quartiere misto teatro degli scontri d’inizio maggio con l’esercito costati la vita a 11 persone. Il pensionato William el Kenaut però, giura che i copti come lui non diserteranno le urne: «Shafik non è perfetto, d’accordo. Ma è laico. E poi vuoi mettere contestare domani la legge di un uomo, sia pure un ex Mubarak, o quella di Dio?».
Certo, qualche eccezione conferma la regola. «Del vecchio regime so che mi ha già oppresso, con i Fratelli Musulmani invece ho il beneficio del dubbio» afferma il muratore Suleiman Girgis, iscritto al registro elettorale della rurale Giza, dove il primo turno ha incoronato Mursi. La scelta è tra bianco e nero, ma il futuro appare grigio.
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