Testata: Informazione Corretta Data: 21 novembre 2012  Autore: Ugo Volli.

Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli.

Tregua significa resa.

Una grande pressione internazionale si è esercitata fra ieri e oggi sul governo Netanyahu in favore – se non di una pace, che Hamas rifiuta per principio – di una “tregua”, di un “cessate il fuoco”, di una “de-escalation”, insomma di qualunque cosa che possa tagliere alla comunità internazionale il fastidio della reazione israeliana contro il terrorismo a Gaza. In linea di principio – e a parole – tutti accettano il diritto di Israele all’autodifesa – tutti, voglio dire, salvo Egitto, Turchia, il resto del mondo arabo e musulmano, gli stati comunisti o ex e quasi tali. Ma in pratica si vuole “evitare il peggio”. Il fatto che Israele abbia cercato in tutti i modi di evitare le vittime civili mentre Hamas e gli altri movimenti terroristi di Gaza abbiano cercato invece di moltiplicarli, il fatto che Israele in piena guerra abbia continuato e cointinui a fornire elettricità, cibo e medicinali a Gaza, sebbene i convogli diretti alla striscia siano diventati essi stessi obiettivi di bombardamento, la prova aperta del coinvolgimento iraniano nelle forniture di missili ai terroristi: tutto ciò non conta nulla, quel che importa è avere un fastidio in meno.
Naturalmente non sta a noi che siamo qui, dare suggerimenti al delicatissimo compito del governo israeliano nel trovare l’equilibrio fra le necessità militari e la pressione politica internazionale: Netanyahu ha agito benissimo, finora e sono gli israeliani che rischiano, nei bombardamenti, nell’eventuale azione terrestre, e anche nell’eventualità di una tregua prematura e senza condizioni, che lasci ancora attiva la struttura terroristica. Però bisogna dire che se la pace, quella vera, è un valore in sé, una benedizione che gli ebrei invocano in tutte le loro preghiere e usano anche come saluto, la “tregua” o il “cessate il fuoco” non lo sono, proprio perché non sono né la pace e neppure spesso la sua premessa. L’operazione a Gaza, come quella di quattro anni fa è nata per tutelare il diritto alla vita delle popolazioni circostanti la striscia, tormentate dal terrorismo sempre più armato di Hamas e dintorni. In questi giorni è emerso che la portata delle armi terroristiche arriva fino al centro di Israele, e solo la presenza del sistema difensivo antimissili e dei rifugi ha limitato le vittime. Ma ogni sistema difensivo, col tempo e con i soldi può essere superato – e anche questo lo sarà se ai nemici di Israele verrà data la possibilità di riprovarci. Chiedere una tregua oggi, prima che la struttura terroristica sia smantellata e senza vere garanzie internazionali, è preparare una nuova guerra fra qualche anno o qualche mese. Chi cerca di obbligare Israele a fermarsi ora non è per la pace, ma per la guerra a intermittenza. O, per dirla con un vecchio proverbio, il medico pietoso fa la piaga purulenta.

 

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