Torna l’appuntamento con la Tel Aviv Fashion Week (11-12-13 novembre). Tra gli ospiti d’onore di questa seconda edizione, ricca di novità incandescenti, il brand Moschino. Analogo riconoscimento, nel 2011, era stato riservato allo stilista fiorentino Roberto Cavalli.

Pensare che tutto è cominciato con una tunica, una meravigliosa tunica donata dal patriarca Giacobbe all’amato figlio Giuseppe. Un simbolo dell’amore paterno. Scorrendo velocemente gli anni, le tuniche passano di moda e il fervente clima di intolleranza verso l’ebraismo cresce. Cosa hanno diritto o meno di indossare gli ebrei? Dal Medioevo in poi le gerarchie sociali devono essere evidenti e gli individui da evitare ben visibili. Si attraversa la città indossando bersagli à-porter, nel nostro caso capricapo a punta e guai a fare di testa propria. Forse per questo, la libertà si esibisce anche con il vestiario. Con scelte azzardate e sbagli colossali. E attenzione a chi urla allo scandalo, a chi accusa di superficialità: il sistema moda coinvolge tutti, perfino Roland Barthes. La terra promessa è una fucina di novità fin dalla sua nascita, quando la tacita regola era: comodità prima di tutto, qui bisogna sporcarsi le mani, mica fare una passerella. Una prima fase segnata dalla fabbrica Ata che sfornava abiti da lavoro e tenute da kibbutznik. Chi non ricorda l’israeliano medio con shorts, t-shirt neutre e sandali con chiusura stretch per fare avventurose gite nel nord? Caldo e percorsi impervi fanno la loro parte, comfort e semplicità sono la risposta. Ma qualcosa cambia. Il paese è giovane, emergente, freme e vuole dimostrare quanto vale con un concetto chiave: la creatività. Da anni Israele compete in Serie A formando designer invidiati, artisti visionari e sceneggiatori etno chic. La moda dove si colloca in questo banchetto gustoso, in un angoletto dell’armadio vicino alle Crocs? Certamente no, perché da tempo con sforzi e taglia e cuci il paese è nell’occhio del ciclone pailettato dell’universo fashion. Lo scorso anno la prima Tel Aviv Fashion Week ha registrato in egual misura caos ed entusiasmi. Daniela Fedi de Il Giornale l’ha descritta come un movimentato e divertentissimo balagan. Roberto Cavalli ha patrocinato l’evento regalando emozioni a tanti studenti che ritagliavano i suoi modelli fin da bambini e confermando la leggenda che lo vuole come uno dei più simpatici ed empatici del settore. In un mondo strano e fumoso come la moda, non è poco. A concludere il gran carnevale, la sfilata coloratissima per Igy, associazione per la gioventù omosessuale. Nomi di stilisti da tenere a mente ne sono stati fatti tanti e la gara a chi sarà il prossimo Alber Elbaz di Israele è aperta. Kedem Sasson è uno dei più conosciuti con i suoi inconfondibili capi spioventi e volumetrici, Maya Negri è la nuova Donna Karan. Negli ultimi mesi si è fatto un gran parlare delle nuove icone alle quali rubare idee e capi: gli ortodossi. Dai cappottini della chiaccherata Kate Middleton al fascino dei vestiti sartoriali su misura. Cosa bolle ora in pentola? Che cosa ha in serbo per noi il fashion latte e miele? Qui cercare di fare ordine, di gerarchizzare, di fare tagli chirurgici alle informazioni sembra impossibile, perché come un fuoco d’artificio, tante scintille salgono in alto speranzose. L’11, 12 e 13 novembre la Tel Aviv Fashion Week torna in scena nuovamente per mostrare come vestiremo. Le aspettative sono alte e se lo scorso anno l’indulgenza era data dall’esperimento, adesso tutto dovrà procedere liscio. Prima di scegliere il giusto look da adottare in front row, l’ambita prima fila, prima di evitare l’attacco degli attivisti Peta, sempre presenti fuori dalle sfilate per spaventare gli ospiti (anche se il rischio pelliccia, nell’afosa Israele per fortuna proprio non c’è), occorre dare un’occhiata in giro. Allora ecco alcuni appuntamenti modaioli che un tel avivit doc non può perdere: cara/o fashion victim tra un club indie e un giro per le gallerie d’arte, ti ricordiamo che al museo di design di Holon, aprezzatissimo per la sua architettura spaziale, è appena terminata la mostra dedicata a Yohji Yamamoto, lo stilista giapponese più famoso del mondo. Qualora volessi fare shopping non rinunciare a una visita al negozio vintage The attic di Gerusalemme (seguito da un aperitivo al roof bar dell’hotel Mamilla of course) e un accurato giro di ispezione da Eva Mendelbaum, marchio fondato nel 2009 da Noam Zucker e Michael Sperer, collezioni che fanno tanto New York fine anni ’90. Siete pronti ad immergervi nel balagan della settimana della moda. Non sono però solo vestiti e cotillon a fare tendenza, oramai esiste una israeli way of life. Chi non se ne fosse reso conto può navigare nel candido blog di Yael Sloma anima di http://thestreetswalker.telavivian.com/, giornalista che tra Tel Aviv e Gerusalemme registra momenti di vita, acquisti dell’ultima ora e foto di outfit di connazionali incontrati per strada. L’accessorio giusto da sfoggiare in ogni situazione sembra essere proprio la stessa Israele. Clare Danes, attrice culto della serie Homeland vincitrice degli Emmy e tratta da Hatufim, è la protagonista della copertina e di uno splendido servizio di moda per le strade di Jaffa e Neve Tzedec sull’allegato style del New York Times. Scatti meravigliosi con uno sfondo pittoresco che confermano il paese come uno dei più interessanti da tenere a mente, evitando i soliti servizi fotografici anemici dei giornali patinati. Il prossimo diavolo vestirà Kedem Sasson?

Da:moked/מוקד

 
Set your Twitter account name in your settings to use the TwitterBar Section.