Testata:Informazione Corretta-Il Giornale-La Stampa-Il Foglio Autore: Piera Prister-Fiamma Nirenstein-Maurizio Molinari-Mattia Ferraresi.

Continua scatenato il sostegno dei giornaloni nostrani al Presidente uscente, specialmente nelle titolazioni. Adesso anche Sandy viene usato in soccorso di Obama, l’immagine di Romney subisce ogni attacco possibile. Abbiamo scelto oggi, 02/11/2012, oltre al commento della nostra Piera Prister, cronache e commenti di Fiamma Nirenstein sul GIORNALE, Maurizio Molinari, sullaSTAMPA, che riporta la previsione di Karl Rove, e Mattia Ferraresi sul FOGLIO. Quasi tutti i servizi sugli altri quotidiani sono schierati pro-Obama. Il 7 novembre, mercoledì prossimo, sapremo chi sarà alla guida dell’America.

Iran offre aiuti umanitari al “grande Satana”
Commento di  Piera Prister

Temo i nemici specialmente quando portano doni (Virgilio:Timeo Danaos et dona ferentes)

La notizia del giorno mercoledi’ 31 ottobre 2012, e’ che l’Iran di Khamenei e di Ahmadinejad ha offerto aiuti umanitari agli Stati Uniti per alleviare la sofferenza e il disagio delle vittime dell’uragano Sandy che in questi giorni ha causato finora 98 morti e devastazione sulla costa Est degli Stati Uniti, lo riporta il New York Times in un articolo di Thomas Erdbrink. Red Crescent Organization –che e’ la versione iraniana della Croce Rossa- che in Iran, organizza gli aiuti in caso di alluvioni e terremoti, offrirebbe assistenza immediata agli Stati Uniti nelle zone del disastro, squadre di soccorso sarebbero pronte a partire. Questa e’ l’ultima novita’ sconcertante di come i nostri nemici non sarebbero piu’ temibili e che ammansiti si stiano trasformando da lupi in agnelli, perdendo il pelo ma non il vizio. Ma leggendo l’articolo e’ interessante sapere che la Mezza Luna Rossa – Red Crescent Organization- dipende direttamente dal governo degli ayatollah, ed e’ sospetta ed inaffidabile nel suo operato secondo le rivelazioni recenti di WikiLeaks. Inoltre si legge che dal 1979 gli Stati Uniti non hanno piu’ relazioni diplomatiche con L’Iran, in seguito al sequestro di 66 americani -da parte di studenti fra cui fu identificato Ahmadinejad-che duro’ 444 giorni all’ambasciata americana di Teheran durante la rivoluzione Khomeinista che rovescio’ il governo dello scia’, Reza Pahlavi. E noi aggiungeremmo che ogni anno a settembre il negazionista Ahmadinejad ha carta libera di parlare all’ONU dal podio, invocando la distruzione di Israele, senza che nessuno lo arresti. E adesso ci manderebbero pure i soccorsi, ma stiamo attenti! Questa disponibilita’ di aiuto da parte dell’Iran e’ inteso dalla vasta maggioranza degli americani che non e’ addentro alla politica, come il segnale che ci si stia avviando verso una distensione dei rapporti finora tesi tra Teheran e Washington, cosa che e’ oltremodo ingannevole. Essa fa seguito alla dichiarazione di martedi’ del ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak al giornale britannico Daily Telegraph e riportata in un lancio d’agenzia Reuters, secondo cui l’Iran ha rinunciato al suo programma nucleare, senza spiegarne le ragioni, che si intuiscono. Da quando in qua gli ayattollah sono credibili, quali patteggiamenti ci sono dietro, con tutte quelle conversazioni e negoziati segreti riportati nella blogosfera che da qualche tempo erano gia’ in corso, prima che arrivasse la conferma ufficiale di Ehud Barak! E’ chiaro che quei due, Obama e Ahmadinejad stanno giocando sporco, tanto piu’ che e’ ovvio che quei teocrati e le Guardie della rivoluzione, insomma il regime tutto, tifa per Obama, perche’ con lui possono ultimare la bomba e realizzare cosi’ il loro sogno di distruzione. Per quel che riguarda poi le sanzioni, diffusamente gia’ in parte sabotate, e’ ovvio che saranno ancora di piu’ raggirate, ora che c’e’ l’accordo. Israele e’ rimasto solo, dovra’ decidere in breve passando in rassegna tutte le opzioni, compresa quella militare. Il tempismo dell’accordo avvenuto pochi giorni prima delle elezioni e’ sospetto, e’ solo una tregua elettoralistica che favorisce Obama e che pone ad Israele problemi esistenziali di sopravvivenza, la verita’ e’ che lo stato ebraico si trova ancora una volta in prima linea, da solo, a fronteggiare il terrorismo islamico sponsorizzato da Teheran, la centrale del terrore con i suoi bracci lunghi di Hamas ed Hezbollah. La notizia ultimissima della giornata la stanno trasmettendo adesso alla radio: come dovevasi dimostrare il sindaco di New York appoggia l’elezione di Obama, “Michael Bloomberg endorses Obama”. Mentre noi gli chiederemmo volentieri: Signor Presidente, qual e’ la capitale di Israele? Siamo sicuri che tergiverserebbe asininamente senza dare una risposta.

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: ” Sandy ? Creato dalla tecnologia dell’ ‘eroico Iran’  “

Di teorie della cospirazio­ne ne abbiamo viste tan­te, la più popolare è quella per cui gli americani si so­no fatti da soli l’attacco delle Twin Towers, ma se ne collezio­nano anche di minori, come quella dei topi che attaccano so­lo le case dei palestinesi, degli squali telecomandati lungo le coste di Sharm el Sheik (vi ricor­date, quando c’erano vari pe­scioni aggressivi che mettevano a rischio il turismo egiziano), delle cinture cariche d’uranio ar­ricchito che venivano date ai po­veri palestinesi in regalo, delle acque avvelenate (lo disse a un’attonita Hillary Clinton la moglie di Arafat, Suha)…. Ma questa, recentissima, è fra le migliori. Proviene dal sito del­le Forze militari siriane e affer­ma in una bella dichiarazione postata sul suo Facebook che «la tecnologia segreta iraniana», è stata lei, onnipotente, che ha cre­ato e mandato sulla Terra il terri­bile uragano Sandy colpendo il grande Satana, gli Usa. Perché l’ha fatto? È spiegato bene: «No­stre fonti ci confermano che l’uragano Sandy che sta colpen­do con forza gli Usa è stato crea­to dalle più avanzate tecnologie sviluppate dall’eroico regime iraniano in collaborazione con la forza di resistenza del nostro deciso regime siriano». Il post continua dicendo che la forza spaventosa della tempesta è «una punizione per chiunque osa attaccare Bashar Assad e mi­nacciare la pace e la stabilità». Come è noto, il regime iraniano è sempre stato, con armi e uomi­ni e usando il suo braccio destro, l’organizzazione sciita libanese degli Hezbollah, a fianco del re­gime che ha già fatto fuori più di trentamila dei suoi concittadi­ni. A questi adesso dovete som­mare i più di 70 morti americani; secondo le fonti siriane, in defi­nitiva sarebbero tutte vittime della bella accoppiata Bashar-Ahmadinejad. E domani chissà quali altre magnifiche imprese ci possiamo aspettare dai magni­fici due, magari più elementari di questa in stile Padreterno, per esempio qualcuna di quelle im­prese che fanno bum e uccido­no i passanti innocenti, come ce ne sono già state tante.

La Stampa-Maurizio Molinari: ” Romney, con Obama si rischia la fine dell’Italia. Bloomberg per Barack”

CORRISPONDENTE DA NEW YORK Mitt Romney accusa Barack Obama di voler portare l’America «in una crisi economica come quelle di Europa, Italia e Spagna». Dopo tre giorni di fair play dovuto alle devastazioni dell’uragano Sandy, la campagna presidenziale riprende con lo sfidante repubblicano protagonista di un duro attacco al presidente dai toni anti-europei. «Se siete un imprenditore e state pensando di avviare un’attività dovete chiedervi – dice Romney parlando a Raonoke, in Virginia – se l’America è sulla strada della Grecia, Obama ci porta verso una crisi economica come quelle in Europa, Italia e Spagna?». L’intento è di contestare a Obama di voler creare «un ministero per le Imprese» al fine di «aumentare il controllo sull’economia» con misure stataliste «contrarie alla libertà americana». Più volte durante la campagna Romney ha cavalcato questo argomento ma se ora picchia duro è perché il populismo antieuropeo mira a strappare voti decisivi in Ohio, lo Stato in bilico considerato più decisivo da entrambi in campi. In Ohio Obama è dato dai sondaggi 5 punti avanti a Romney, è l’ostacolo più serio per i repubblicani e poiché si tratta di uno Stato dove l’industria dell’auto è molto radicata la strategia è tentare di presentare il salvataggio di Gm e Chrysler – avvenuto grazie a prestiti federali – in maniera tale da indebolire Obama. L’offensiva era iniziata, domenica, con il lancio di uno spot tv in Michigan, Ohio e Iowa in cui si accusa Obama di aver «venduto Chrysler agli italiani» con il risultato che «la Jeep vuole spostare posti di lavoro in Cina». Superata la parentesi di Sandy, Romney rincara la dose e la Casa Bianca risponde con determinazione. «La tesi dello spot di Romney sull’auto è senza vergogna» tuona il vicepresidente Joe Biden mentre il Team Obama lancia un contro spot nel quale si afferma: «le affermazioni di Romney sono del tutto inesatta, per Gm si tratta del peggior cinismo politico e per il ceo di Chrysler è semplicemente falso». Il Team Obama vuole lo scontro aperto sull’auto perché convinto che aiuti a consolidare il vantaggio in Ohio. Il New York Times dedica l’editoriale a «Romney contro i produttori di auto», accusandolo di «dire ogni cosa che gli può far comodo per conquistare il potere» definendo «fantasie» le accuse a Chrysler di voler spostare in Cina la produzione Jeep e citando a riguardo le assicurazioni date dal ceo Sergio Marchionne.  «Si tratta di un tentativo dell’ultimo minuto di conquistare l’Ohio – conclude il New York Times – e svela che tipo di presidente sarebbe Romney». Ma i repubblicani insistono e uno spot radiofonico, lanciato sempre in Ohio, chiede retoricamente: «Obama dice di aver salvato l’auto, ma lo ha fatto per l’Ohio o per la Cina?». Dietro la scelta della linea populista sull’auto c’è Stuart Stevens, stratega di Romney, convinto che giocare le carte anti-Cina, anti-Europa e anti-Italia consenta di guadagnare voti decisivi.  Sul fronte opposto Obama parla nell’arco di poche ore, prima in Wisconsin e poi in Colorado, tentando di consolidare l’effetto-Sandy, visto che 8 cittadini su 10 apprezzano la sua gestione dell’emergenza. «Abbiamo affrontato uno degli uragani peggiori della nostra vita – dice Obama – siamo stati a fianco delle vittime ed aiutato i sopravvissuti, quando i disastri ci colpiscono l’America dà il meglio, non ci sono più democratici o repubblicani ma solo americani». E’ un linguaggio da comandante in capo, per presentarsi nelle vesti di leader bipartisan capace di attirare i voti del 5 per cento di elettori ancora incerti. A sostenerlo trova il sindaco di New York, Michael Bloomberg, che si dichiara a favore della rielezione: «Obama considera i cambiamenti climatici un problema urgente che minaccia il nostro Pianeta, voglio un presidente che consideri la scienza al di sopra della politica». Bloomberg è un indipendente e la motivazione pro-Obama fa leva sullo choc nazionale per l’impatto sul Nord Est di Sandy. Ma per il guru repubblicano Karl Rove si tratta di mosse tardive che non riusciranno ad evitare la sconfitta di Obama. L’analisi dell’andamento del voto anticipato lo porta ad una previsione minuziosa: «Vincerà Romney con almeno 279 voti elettorali e il 53 per cento dei voti, la vittoria arriverà poco dopo la mezzanotte del 6 novembre».

Il Foglio-Mattia Ferraresi: ” Un cicinin di Wisconsin”

Ese fosse il Wisconsin ad affossare Obama? E’ dal 1988 che lo stato di Paul Ryan e del governatore Scott Walker – il repubblicano che ha osato ledere la maestà dei sindacati, è stato trascinato a forza in una rarissima “recall election” e ha vinto nuovamente in surplace – vota stabilmente democratico. Nel 2008 Obama ha vinto con 14 punti di vantaggio. Eppure sulle rive del lago Michigan, in quella riproduzione in scala degli affanni nazionali e delle soluzioni concrete per riprendere fiato, gli argomenti di questo ticket di repubblicani analitici e senza parvenze glamour hanno una certa presa. E i dieci grandi elettori del Wisconsin possono cambiare la partita. Mercoledì mattina Paul Ryan ha parlato davanti a un migliaio di persone nella cittadina di Eau Claire, agglomerato di settantamila anime appoggiato sullo stradone che porta a Minneapolis. Da ragazzo Ryan andava a caccia di cervi e tacchini selvatici in una riserva a poche miglia dal luogo del comizio, ed è lì che spera di tornare presto a cacciare assieme alla figlia Liza, dieci anni, con la nomina di vicepresidente eletto in tasca. Non è soltanto un elementare senso dell’opportunità che ha suggerito a Ryan di evitare attacchi velenosi al presidente, Barack Obama, che in quel momento si stava dirigendo verso Atlantic City per una ricognizione dei danni causati da Sandy assieme al governatore del New Jersey, Chris Christie; nel Wisconsin il candidato vicepresidente cerca di stabilire una connessione diretta con la sua gente, di parlare il linguaggio popolare dei sobborghi di Milwaukee, di porsi come uomo del fare e dunque di opporsi alle idee vaghe e ammaccate che trasudano dai comizi presidenziali. “Gente del Wisconsin, noi siamo problem solver. Non ci interessa chi si prende i meriti, vogliamo soltanto che i problemi vengano risolti. Un’enorme incertezza causata dagli eccessi dello stato sta frenando il nostro paese”, ha detto Ryan, promettendo che nel “day one” Mitt Romney “revocherà l’Obamacare, taglierà la burocrazia, estenderà la possibilità di trivellare sul suolo federale e autorizzerà la costruzione dell’oleodotto Keystone”. In uno dei pochi momenti in cui Ryan si è staccato dalle considerazioni fattuali, dettate in prosa, quelle che interessano agli americani che martedì andranno alle urne, il candidato vicepresidente ha detto: “E’ mercoledì mattina. Pensate al prossimo mercoledì mattina. Ci sveglieremo mercoledì prossimo sapendo di avere eletto un leader in grado di riportare il paese sulla retta via”. Obama – che ha ricevuto l’endorsement del sindaco di New York, Michael Bloomberg, nel nome della lotta ai cambiamenti climatici – si è presentato ieri nel Wisconsin in un’ambientazione geografica e simbolica completamente diversa: il comizio era all’aeroporto di Green Bay, sullo sfondo si stagliava la sagoma imponente dell’Air Force One, segno definitivo di una leadership presidenziale più abituata al cielo che alla terra. Davanti ai democratici del Wisconsin ha proposto qualche leggera variazione sullo stump speech: “Non abbiamo bisogno di un’agenda politica tagliata sul big government o sullo small government, abbiamo bisogno di una politica per la middle class che valorizzi il lavoro e la responsabilità”. Ha accusato Romney di “avere usato tutte le sue doti di venditore per mascherare le stesse politiche che hanno portato il paese al collasso” e ha spiegato che i ricchi “non hanno bisogno di qualcuno che li tuteli a Washington. Forte del credito bipartisan guadagnato con la visita assieme a Christie alle zone devastate dalla tempesta – gesto protocollare che sui giornali democratici è diventato un ammiccare reciproco, segno certo della natura super partes di Obama – il presidente ha insistito sul carattere post ideologico della sua presidenza, ha promesso un secondo mandato fatto di soluzioni concrete più che di idee scritte nell’aria, ha insomma proposto una variazione sul tema di Ryan: le note sono diverse, ma la struttura della sinfonia è identica La macchina elettorale di Romney cerca di non insistere troppo sull’importanza del Wisconsin, sa che non può millantare un vantaggio che non c’è, e allo stesso tempo guarda con attenzione allo Stato di Ryan, da settembre convoglia con una certa insistenza denaro ed energie sul lago Michigan, e i sondaggi mostrano il miglioramento. Rasmussen, istituto di chiara tendenza repubblicana, dice che i candidati lì sono appaiati; una più prudente analisi di Nbc e Wall Street Journal dice che il presidenpresidente è in vantaggio di tre punti, percentuale al di sotto del margine di errore. Il momentum di Romney in Wisconsin è confermato dalla quantità di spazi televisivi acquistati da Obama: in ottobre gli elettori della contea di Green Bay sono stati gli americani più martellati da spot democratici in assoluto. Lo sfidante e i Super Pac affiliati hanno risposto con uno sforzo totale da oltre 25 milioni di dollari. Sabato, tre giorni prima del voto, Obama sarà a Milwaukee assieme a Katy Perry. Il Milwaukee Journal Sentinel, il giornale più importante dello stato, ha annunciato che non esprimerà la preferenza per un candidato, ma nel 2008 aveva dato l’endorsement a Obama e ha sostenuto il governatore repubblicano Scott Walker tanto nell’ascesa quanto nella rielezione; a marzo il direttore aveva in qualche modo profetizzato, e lodato, la svolta pragmatica e centrista di Romney, uomo di soluzioni economiche concrete purtroppo, diceva, non bilanciate a sufficienza da posizioni coraggiose su vita, società e ambiente. Nella inevitabile confusione dell’ultimo allungo elettorale, è chiaro che il Wisconsin è quel pezzo d’America dove il modello sociale proposto da Obama si è schiantato contro un muro repubblicano: la contrattazione collettiva limitata dalla legge di Walker – e finita in mano a giudici e avvocati – ha creato una coalizione bipartisan contro gli anacronismi delle organizzazioni sindacali; la disoccupazione, che negli ultimi mesi è aumentata dopo una buona tenuta nel 2012, è tornata a diminuire: ora è al 7,3 per cento, al di sotto della media nazionale. Inoltre, se è vero che il bailout dell’industria automobilistica ha salvato la maggior parte degli impianti in Michigan e Ohio, nel Wisconsin la manna non è caduta dal cielo del governo federale, e stabilimenti come quello della General Motors a Janesville, città natale di Ryan, non esistono più. Non c’è stato dove si mostra più chiaramente il contrasto fra uno stato federale vacuo, impacciato, ricattato da logiche sindacali di mezzo secolo fa e un governo locale che sostiene con successo il settore privato. Per questo gli uomini di Chicago guardano allo stato confinante con apprensione, temendo che si possa aprire lì la strada romneyana per aggirare gli “swing state” sui quali si sentono, a torto o a ragione, più sicuri. Obama mostra il suo volto più pragmatico nel Wisconsin per impedire che si realizzi la profezia fatta da Ryan a giugno, qualche giorno prima del voto di fiducia al governatore Walker: “Martedì salviamo il Wisconsin. E il 6 novembre il Wisconsin salverà l’America”.

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