pravda266Testata: Informazione Corretta
Data: 17 marzo 2013
Autore: Ugo Volli.
Cartoline da Eurabia.
Cari amici,
vi ricordate la “Pravda”? Fondata nel 1908, dopo la conquista del potere divenne l’organo ufficiale del PCUS e dunque dello stato sovietico. Per settant’anni  fu quello che il suo nome significava, la “verità” dei comunisti di tutto il mondo. C’erano altri giornali naturalmente in URSS: spesso diramazioni sue, come la “Komsomolskaja Pravda”, vale a dire la verità dei giovani, e poi le varie pravde locali, di categoria, di comunità. All’estero erano traduzioni e adattamenti, che magari si chiamavano con nomi programmatici diversi come l’unità in Italia e l’umanità in Francia, ma dicevano sempre “la verità”. Naturalmente e per definizione la Pravda non poteva essere né di destra o di sinistra, cioè come si diceva allora “deviazionista”; era giusta e tutto ciò che era giusto prima o poi finiva sulle sue pagine, dove c’era spazio per tutti (quelli che dicevano le cose giuste). Poteva esserci addirittura la sembianza di un dibattito precongressuale, nel senso che ciascuno era più o meno libero di lodare Stalin a modo suo e di condannare l’America e il capitalismo con gli argomenti che si inventava, purché non fossero troppo lontani dalla verità, naturalmente. Un centro pluralista. Spesso però il discorso finiva con l’essere corale, nel senso che cambiavano le firme e un po’ lo stile, ma gli stessi argomenti erano ripetuti molte volte, soprattutto contro i nemici del popolo. La verità è una. A qualcuno magari veniva in mente di avere delle altre cose da dire, o addirittura di dissentire dalla “linea” del giornale, cioè dalla sua stessa verità, e cercava di fondare degli altri strumenti di comunicazione, o di conservare l’indipendenza di quelli che per caso ci fossero già. Ma questi erano evidentemente personaggi infidi, che si mettevano fuori dallo spazio della comunicazione “vera”, uscivano dalla comunità (o dalla comunione) dei comunisti; dunque pazzi o traditori che andavano ricoverati pietosamente in ospedali psichiatrici o giustamente condannati a ricevere una pallottola nella nuca o almeno alla Siberia. E se lo meritavano: che diavolo, avevano a disposizione un così bel giornale aperto all’opinione consenziente di tutti, e volevano negare la sua verità? Pretendevano che il pluralismo non consistesse nell’esaltare tutti la linea del Partito e nello scagliarsi in gruppo contro i nemici del popolo, ma di poterla pensare diversamente e di avere un giornale loro che  dicesse cose diverse dalla “verità”, o anche solo un foglietto ricopiato a mano, un “samizdat”? In Siberia, in Siberia; o almeno alla gogna allestita dalla stessa “Verità” di carta e di inchiostro!
Vi chiederete certamente, cari amici, perché vi racconto questa storia antica. Un po’ per nostalgia, naturalmente, per il rimpianto di un periodo felice in cui il socialismo regnava, il sol dell’avvenir perennemente sorgeva, e i nemici del popolo stavano zitti. Un po’ per una strana associazione che mi è venuta leggendo l’altro giorno sulla newsletter on line dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (Ucei) una polemichetta (una delle tante giuste correzioni corali a suon di insulti, in cui a cinque contro uno si cerca di ristabilire la verità e naturalmente l’unione). E’ quel trattamento pedagogico cui sono stato sottoposto ripetutamente io stesso per esorcizzare il mio “estremismo”, ovvero la difesa di Israele senza se e senza ma (ahimè, senza successo, faccio parte della categoria degli ebrei di “dura cervice”) e di recente anche Sharon Nizza, coralmente bastonata per essersi presentata candidata alle elezioni in una lista diversa dalla sola compatibile con l’ebraismo dal punto di vista della Pravda, cioè quella del Partito (con la maiuscola) fondato nel 1921. E parecchi altri ancora, gente poco affidabile e sospetta dei peggiori vizi del berlusconismo. Storie noiose

Sergio Della Pergola
Questa polemichetta è però interessante, perché riguarda proprio il concetto di pluralismo e dunque c’entra con la Pravda. Tutto parte da una considerazione en passant dell’illustre demografo Sergio Della Pergola, che in un articolo sulle elezioni su “Pagine ebraiche”, che è il corrispettivo cartaceo della newsletter di cui sto parlando (qui, a pagina 1:http://moked.it/paginebraiche/files/2009/08/Pagine-Ebraiche-2-13.pdf) contrapponeva nella stampa ebraica le due “estreme”, quella “torinese” di sinistra di Ha Keillah e quella “romana” di destra di “Shalom” al felice “centro pluralista di ‘Pagine ebraiche'”. Il fatto è che il pluralismo di “Pagine ebraiche” e dintorni è molto problematico, dato che il rapporto fra opinionisti della “sinistra ebraica” e quelli che si definiscono “per Israele” è circa di sette a uno, e molti di questi ultimi – fra cui io stesso – hanno preso tante di quelle legnate appena osavano dissentire dalla maggioranza precostituita che prima o poi hanno preferito andarsene. L’elogio pro domo sua del “centro pluralista” non è però sembrato accettabile a un intellettuale italiano altrettanto illustre, Giorgio Israel, che in una sua opinione l’ha messo in relazione all'”arroganza del veto” contro Sharon Nizza e l’ha definito “un modo inelegante di dire che Shalom è ‘estrema destra’” (http://www.kolot.it/2013/02/13/larroganza-del-veto/). E non è piaciuta nemmeno al direttore di “Shalom”, Giacomo Kahn, che in un editoriale (lo potete leggere qui,http://www.shalom.it/_flip/2013_03/, a pag.1) ha contestato il giudizio “lapidario” del demografo, pronunciato “senza portare alcuna prova né dell’estremismo di Shalom né del pluralismo del giornale che lo ospita”. Essendo Della Pergola un collaboratore illustre della “Pravda” (pardon di “Pagine ebraiche”) è chiaro che risposte del genere configurano senza meno il reato di lesa maestà: in tempi più felici avrebbero portato direttamente i colpevoli in Siberia. Ma c’è di peggio. Il direttore di “Shalom” si è permesso anche di formulare, sia pure in maniera molto tranquilla e non aggressiva, un suo concetto alternativo e, lasciatemelo dire, meno sovietico, di pluralismo e cioè che non si tratta tanto della “libertà di far scrivere quello che si vuole all’interno di un giornale” ma di “offrire ai lettori e agli inserzionisti la possibilità di scegliere quale giornale leggere”. Magari, ha lasciato intendere, finanziando tutte le voci o nessuna, non solo “Pagine ebraiche”
Apriti cielo. Capite bene come un’idea del genere sia intollerabile ai veri democratici: non un unico giornale, o un unico sistema di giornale più blog più sito più supplementi vari, il cui direttore, ispirandosi direttamente alla linea del Partito, faccia scrivere quel che vuole solo a coloro che vuole ammettervi, per rivaleggiare per esempio nel culto della personalità di Stalin o parlare della bontà del realismo socialista o della pace, ma tanti giornali che competono sulla base di idee e visioni del mondo diverse. Insensato. Capite, il pluralismo, secondo questa eretica teoria, non sarebbe la solitaria ma libera, liberissima, autorevole, veridica tribuna della Pravda/verità, amministrata unicamente dal suo direttore, ma il pullulare di voci diverse, per cui se uno è di sinistra compra “Repubblica” o il “Fatto”, se è di destra compra “Il Giornale” o “Il Foglio” e magari se gli va fonda un suo mezzo di comunicazione per dire quel che gli piace. Ma vi sembra ragionevole una cosa del genere? Come dire che molti partiti sono meglio di uno, che la “libertà formale” di stile occidentale è meglio di quella “sostanziale” che oggi regna ancora solo a Cuba, in Corea del Nord e a casa di Vendola.
Ed ecco che si è scatenata la polemichetta, o meglio il pacchetto di mischia che picchia sempre duro nella libera Pravda, pardon newsletter. Prima è apparso anonimo sulla newsletter un riassunto molto sarcastico dell’articolo di Shalom, in si è rimproverato Kahn di “lanciare accuse” – udite udite – “secondo il proprio modo di intendere il pluralismo” e dunque non rispettando la verità lessicale della Pravda sulla corretta definizione sovietica del pluralismo (http://moked.it/blog/2013/03/12/informazione-il-giornale-comunitario-romano-attacca-e-lancia-accuse-per-ridefinire-i-contorni-di-una-propria-concezione-del-pluralismo/). Il giorno dopo si è mosso Stefano Jesurum, che rivendicando la sua qarantennale esperienza giornalistica – evidentemente condotta non nel gruppo RCS ma direttamente a Mosca – ha condannato l’eresia di Shalom come “strana idea di pluralismo”, confessando di non aver “mai sentito qualcuno che, in nome della libertà d’informazione, condannasse la libertà di far scrivere ciò che si vuole all’interno di un giornale ed esigesse, invece, un ring pugilistico e iper-ideologizzato dove si combattessero senza esclusione di colpi pubblicazioni schierate e autistiche.” (http://moked.it/blog/2013/03/14/una-strana-idea-di-pluralismo/) Capite… “pubblicazioni autistiche”, cioè malate di mente, da curare evidentemente come si faceva ai bei tempi dell’Urss con un bel ricovero in ospedale psichiatrico. Iper-ideologizzate, pugilistiche… chi sta fuori dalla verità finisce male.
A suo soccorso è tornato in campo lo stesso giorno Della Pergola (http://moked.it/blog/2013/03/14/dialogo-7/), che da professore ordinario ed emerito di demografia ha avuto la straordinaria umiltà di degradarsi a maestra elementare pur di insegnare l’ortografia al povero eretico Giorgio Israel, dedicando un bel pezzo del suo articolo a prenderlo in giro per un refuso tipografico (“plaza de torso” invece che plaza de toros”). Questa sì che è una discussione seria! Condotta, naturalmente, in nome del dialogo. Un dialogo da condurre però, attenzione, secondo il demografo/grammatico solo “attorno allo stesso tavolo, o alla stessa pagina di comunicazione, o allo stesso blog”, cioè, ancora, la Pravda (versione Ucei). Per parafrasare una celebre canzone di Jannacci: un blog, uno solo, il mio.
Infine sullo stesso numero della newsletter è intervenuto addirittura il direttore in persona, con un  pensoso articolo intitolato apocalitticamente “Chi vorrebbe imporre il monologo minaccia il futuro”, in cui ecumenicamente si tranquillizzano  “quei lettori che hanno visto recentemente negli scritti di alcuni commentatori l’intento di attaccare personalmente nella vivacità del dibattito la politologa Sharon Nizza, candidata Pdl non eletta alle recenti elezioni e il collega Fabio Perugia, da poco portavoce della Comunità di Roma. Non credo e non mi auguro che questo fosse il vero intendimento dei commentatori e comunque deve essere chiaro che certamente non era quello della redazione. Sharon e Fabio sono cari e stimati amici e desidero qui pubblicamente rinnovare l’invito a loro più e più volte rivolto a intervenire e collaborare in tutta libertà” naturalmente su un blog solo, il mio. Ma si ammonisce anche che “Cedere oggi a chi vuole impedire il dialogo e sbarrare la strada alla tolleranza e alla mediazione, significherebbe minacciare e compromettere il nostro futuro.” Ben detto. Con la pluralità dei giornali e dei punti di vista si vuole impedire il dialogo. Minacciare e compromettere. Niente di meno che il futuro, dove radioso splende il sol dell’avvenire, immagino. Siberia!
C’è infine un post scriptum inedito: Israel ha risposto a Della Pergola con una lettera alla newsletter. E però di questa risposta chi non l’ha ricevuta personalmente dall’autore nessuno sa nulla, perché in nome della verità o del dialogo essa non è stata pubblicata. Non finora, almeno: se posso fare una previsione, lo sarà quando i liberi opinionisti del sito avranno preparato le loro “vivaci” risposte.
Mi scuso coi lettori per averli annoiati con queste citazioni, ma a me sembra interessante , per un sito come IC che si occupa di informazione su ebraismo e Medio Oriente, documentare la mentalità e la concezione dell’informazione del gruppo intellettuale che non da oggi si è assunto il ruolo di esprimere le posizioni dell’ebraismo italiano. Depositari del vero e del bene, benevoli amministratori della tolleranza, responsabili propagandisti della pace, della giustizia, monopolisti della moralità ebraica. A chi, poverino, non ha capito la loro “verità”, rimane sempre la possibilità del pentimento e del ritorno a casa. O non resta che la strada del samizdat, la pubblicazione clandestina che praticavano colpevolmente i dissidenti sovietici.
 

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