Fra bandiere comuniste, cori anti-israeliani e anti-americani, cronaca del corteo milanese dove, dopo 70 anni, faziosità e ideologia dominano ancora

bandiera urss

Stamattina parlavamo del “nostro” 25 aprile, che rendesse onore ai veri liberatori d’Italia e non a quelli che puntavano, semplicemente, a sostituire una dittatura con un’altra. Un 25 aprile ideale che, puntualmente, si è dimostrato letteralmente antitetico rispetto a quello reale dominato da un’ideologia di estrema sinistratinto quasi esclusivamente di rosso, e deciso a rifiutare categoricamente qualsiasi bandiera dei veri liberatori, gli americani, e – in molti casi – anche delle principali vittime della follia di Hitler, gli ebrei.

Salendo dalla metropolitana di Palestro mi ritrovo in mezzo a un nugolo di bandiere rosse (da Rifondazione comunista a Sel, dalla Cgil fino a Lotta continua, vecchio partito extraparlamentare) e una musica assordante proveniente da un camion organizzato da un centro sociale. Mi rendo conto che le forze dell’ordine hanno disposto imanifestanti secondo una precisa progressione, in modo da lasciare in fondo i più estremisti. Andando in direzione San Babila, infatti, vedo prima le bandiere di Sel, poi quelle del Pd (i giovani su un camion hanno un giaguaro peluche con una kefiah e la scritta «con Letta non lo smacchieremo») e, infine, gli stendardi delle principali istituzioni pubbliche lombarde. Più avanti, a un centinaio di metri di distanza e fra due ali di poliziotti, c’è la Brigata ebraica, che ricorda i 5mila partigiani sionisti che combatterono il Nazifascismo.

Fra loro vedo il presidente Guido Podestà e altri esponenti dell’amministrazione provinciale, da sempre amica della comunità ebraica di Milano. I presenti mi spiegano che il corteo vero e proprio, cui la Brigata ebraica si unirà, parte per motivi di sicurezza da una strada laterale, via Serbelloni, in modo da tenerla il più lontano possibile dal centro sociale “Cantiere“, uno dei più esagitati noto per le sue occupazioni seriali e per uno spiccato anti-sionismo. In mezzo agli ebrei conosco anche Steve, un ragazzo americano che ha con sé Cattura2paintuna bandiera stelle e strisce avvolta sull’asta perché le forze dell’ordine gli hanno vivamente consigliato di non aprirla per evitare contestazioni. Il corteo comunque parte, senza imprevisti, e – fortunatamente – fra molti applausi di rispetto (ma anche qualche insulto) alla vista delle bandiere  israeliane. Passa anche il leader di Sel Nichi Vendola cui Eyal Mizrahi, presidente dell’associazione Amici di Israele, regala una piccola bandiera israeliana che lui accetta. In San Babila incontriamo un gruppo di sindacati che protesta contro la possibilità di apertura dei negozi. Steve mi chiede come mai protestino perché, lui che pure ha votato Obama, proprio non capisce come mai i negozi dovrebbero stare chiusi anche nel caso in cui sia il lavoratore che il suo datore di lavoro fossero concordi a tenere aperto: «è una questione di libertà individuale», mi dice. Cerco di spiegargli che ciò è legato alla politicizzazione dei sindacati che deriva da una storia diversa dalla loro.

Di lì a pochi metri incontriamo un nutrito gruppo filo-palestinese che, prevedendo il passaggio della Brigata, si è disposto lungo i due lati del corteo per gridare frasi come «Palestina libera» e «onoreVittorio Arrigoni, liberate i territori». Ancora una volta mi trovo in difficoltà a spiegare a Steve la storia di Arrigoni, ucciso dai palestinesi, la cui madre non volle far transitare la salma sul territorio israeliano. Gli spiego che in Italia essere filo-palestinese è spesso una scelta ideologica: un’ideologia che – nel suo senso – fa trionfare un punto di vista a scapito del buonsenso, che rimescola le carte fino al punto da voler fare apparire uno dei dittatori più sanguinari della storia, Josif Stalin, come un «liberatore» nel volantino del sedicente “Comitato nazionale di ricostruzione del partito comunista (marxista leninista) d’Italia”. Lui mi risponde, con grande razionalità, che non è così, dovrebbe esistere anche il dialogo e la mediazione.

usa su altreDopo circa un’ora l’arrivo in Duomo dove la Brigata ebraica si dispone lontano dal palco, dove a breve avrebbe parlato la presidentessa della Camera Laura Boldrini. È il momento dell’ultimo tentativo per aprire la bandiera americana, nonostante la polizia – temendo una reazione da parte deicentri sociali – continui a sconsigliarlo. Alla fine Steve si allontana e la spiega, per una trentina di secondi, sui gradini del Duomo di Milano. Il tempo di qualche foto e gli fanno capire che è ora di richiuderla. Quando mi chiede il perché di questo atteggiamento non riesco a inventarmi niente e gli dico, semplicemente: «stavolta non ho scuse per il mio Paese». Non ce ne sono, in effetti, per unanazione che – ancora troppo spesso – rifiuta verità storiche in nome di un’ideologia falsa e tendenziosa. E che, dopo 70 anni, non è ancora riuscito ad arrivare a una vera riappacificazione nazionale.

 

lintraprendente.it

 

Comments are closed.

Set your Twitter account name in your settings to use the TwitterBar Section.