domenica-ugo266Testata: Informazione Corretta
Data: 26 maggio 2013
Autore: Ugo Volli
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
quanto fa due più due? Quattro, siamo d’accordo. E uno più uno più uno? Tre, va bene, ma forse anche qualcosa di più. Un indizio è un indizio, diceva Agatha Christie, due possono essere una coincidenza, ma tre sono una prova. Di che cosa sto parlando? Di attentati. Attentati islamisti. 
Uno: l’altro giorno a Londra, il passante decapitato. Tutti l’hanno poi definito come un soldato, ma era in abiti civili girava con una banalissima maglietta, il suo assassino non lo conosceva, l’ha scelto per caso. O meglio: per razza: era un bianco dall’aria laica o anglicana, comunque non islamico. Non ha ammazzato un soldato ma un inglese, perché inglese, un miscredente
Due: un mese fa a Boston, la bomba alla maratona. Gente qualunque, americani che correvano, magari qualche straniero di passaggio. Bambini. Comunque non degli “infedeli”.
Tre, l’anno scorso, a Tolosa: qualche militare e poi tre bambini e un insegnante.
Che cos’hanno in comune questi episodi? Molte cose. Gli assassini, innanzitutto: islamici, ma non provenienti dai deserti dell’Arabia (come peraltro buona parte degli attentatori delle Twin Towers)  o dalle montagne fra Afghanistan e Pakistan. Alcuni immigrati, altri convertiti, tutti comunque però sostanzialmente integrati nelle pieghe più o meno ricche delle società del benessere occidentale. Gente che aveva ricevuto qualcosa dal paese che li ospitava. Certamente non vittime di maltrattamenti, di oppressione o di razzismo feroce. Né discriminati: sembra che gli attentatori ceceni di Boston fossero molto irritati di non poter far parte della nazionale americana di lotta, ma sfido chiunque a dire che si tratta di una discriminazione, visto che non avevano il passaporto americano.
Razzisti loro, semmai, violenti odiatori dell’Occidente, ben decisi non solo a sputare nel piatto in cui mangiavano, ma anche a mordere a sangue la mano che glielo tendeva. Turisti del jihad (gli assassini di Boston e di Tolosa), frequentatori di stage del terrore, online o di persona, o aspiranti tali (quelli di Londra). Assassini ideologici, esibizionisti della violenza.
Soprattutto, in tutti e tre i casi, identificati come pericolosi e forse contattati dai servizi segreti, segnalati ma lasciati liberi di agire. Per lassismo, per malintesa furbizia, per mancanza di mezzi, soprattutto per ragioni ideologiche:  l’amministrazione Obama ha fatto togliere nei manuali, nei rapporti, nell’addestramento ogni accenno al carattere islamico del terrorismo, come se da un lato ci fosse un terrorismo fine a se stesso, senza ragione, che comprende tutti e tutto e dall’altro, assai lontano, ci fosse invece l’Islam che è religione della pace e dell’amore. Il fatto che  terrorismo e Islam accompagnino piuttosto spesso, anzi, quasi sempre ormai, per l’FBI di Obama non deve essere preso in considerazione, è proibito solo domandarselo…
Fatto sta che in tutti i tre casi gli assassini sono stati lasciati liberi di agire. Qualcuno segnalato come evasore fiscale avrebbe avuto certamente la vita più dura… specialmente in America, dove sempre l’amministrazione fiscale diretta da Obama ha sottoposto a sorveglianza speciale… i suoi avversari politici. Non basta. i killer hanno goduto di ampio consenso sociale nel loro ambiente, sono stati esaltati, riveriti come eroi dalla loro comunità (in Francia si registra addirittura una sorta di culto per Merah,  l’assassino di Tolosa).
Peggio, sono stati “compresi”, giustificati e in fondo anche un po’ approvati da quelli che avrebbero certamente uccisi, se avessero potuto: le classi dominanti colte e progressiste, irrimediabilmente affette da senso di colpa multiculturalista suicida. Guardate qui per esempio cosa pensa “il più premiato giornale studentesco della Gran Bretagna”:http://www.yorkvision.co.uk/comment/this-is-murder-not-terror/  . Come scrisse Sartre una volta, il terrorista (algerino, nel suo caso) che ammazza un europeo ha il merito di liberare allo stesso tempo due persone, se stesso e chi ha ammazzato. Questa è la liberazione che più o meno consapevolmente si aspettano il New York Times, Le Monde, il Guardian e i loro fratelli minori della stampa progressista italiana.
Ho detto 1+1+1=3, cioè una prova. Avrei dovuto fare numeri ben più grandi. Per esempio, quel padre di cinque figli che un mese fa alla fermata dell’autobus è stato sgozzato, proprio come il militare inglese.
O la famiglia Fogel, tutta sgozzata anch’essa due anni fa. Lo stesso metodo con cui fu ucciso davanti a una telecamera il giornalista Daniel Pearl, rapito in Pakistan.  O i turisti di Burgas fatti esplodere da un agente di Hezbollah: cinque morti. O quel tunisino arrestato due settimane fa per il simpatico proposito di far saltare la singagoga o la scuola ebraica di Milano. Ma qui si tratta di ebrei, e qualcuno – più di qualcuno, quasi tutti, pensano che in fondo gli ebrei e gli israeliani se la sono cercata: non per fare come Hitler, no; ma con quel che fanno ai palestinesi (che cosa, esattamente?) i nazisti siamo noi.
Dunque lasciamo da parte noi ebrei. Il conto potrebbe comunque continuare. Per esempio anche il regista Theo Van Gogh è stato ammazzato in Olanda, anche lui con la gola squarciata, se non sbaglio. E un fumettista danese, colpevole di aver ironizzato su Maometto, si è salvato per miracolo. In queste notti in Svezia i teppisti che evidentemente non sono soddisfatti di tendere agguati agli ebrei di Malmoe se la sono presa con  arianissime proprietà svedesi, scuole e macchine e arredi stradali; come del resto amano fare abbastanza spesso i loro colleghi della banlieu francese. E’ di ieri la notizia di un altro poliziotto pugnalato alla gola da un islamico a Parigi. Non fa meraviglia che ci siano interi quartieri delle capitali euroipee dove le forze dellì’ordine hanno paura a entrare. Potrei andare avanti a lungo, ma preferisco lasciare alla vostra curiosità qual che succede a Bruxelles e ad Anversa, nella periferia di Londra e a Brixton, insomma, un po’ dappertutto in Europa e in Occidente.
I giornali minimizzano, cercano disperatamente di dimostrare che si tratta di pazzi isolati, che l’Islam non c’entra, anzi, che se c’è un po’ di incomprensione è solo colpa nostra, che maltrattiamo i poveri immigrati.
Ebbene no. Un episodio è un caso, due un indizio, tre una prova, enne episodi sono una certezza. La certezza di un attacco. Siamo di fronte a un fenomeno terroristico diffuso, capillare, in crescita internazionale.
E’ giusto paragonarlo al terrorismo rosso degli anni Settanta, che oggi sappiamo non essere stato affatto casuale, anche se appariva sotto tante sigle e magari si credevano spontanei i singoli “compagni che sbagliavano” (questa era l’etichetta della protezione che anche allora buona parte della sinistra intellettuale e politica offriva loro).
C’erano armi e direttive che venivano dall’Est e certamente anche dal Sudest dei campi di addestramento palestinesi in Libano e Giordania.
Così oggi. Non si tratta di un esercito gerarchico vecchia maniera, ma un esercito è, organizzato, consapevole, all’attacco dei suoi nemici, che saremmo noi, società libere e democratiche

Il terrorismo islamico, dopo la fase delle grandi operazioni come le Torri Gemelle e la stazione di Madrid, attraversa ora una fase di maggiore dispersione ed espansione “liquida”, ma ciò non significa affatto un arretramento, anzi. Anche perché si intreccia con la guerra aperta che da alcuni anni si è scatenata a Sud del Mediterraneo, dove la dabbenaggine americana ha concesso al nemico vittorie strategiche non solo in luoghi periferici come la Tunisia, ma in centri essenziali come l’Egitto. l’Iraq e in fondo anche la Turchia. E poi con guerre più periferiche in Afghanistan e in Kashmir, in Cecenia e in Sinkiang.  Insomma, la situazione è assai più grave di quel colpo di coda del comunismo di quarant’anni fa, anche perché è molto più confusa  meno determinata, per usare un eufemismo, la gestione della risposta al terrorismo.

Con l’aggravante che le energie spontanee di resistenza, mancando una direzione democratica che le organizzi e la canalizzi, rischiano di eliminare un altro terribile pericolo, quello di un ritorno del neonazismo.
Fra Al Qaeda e Jobbik, i salafiti e Alba Dorata, la Npd e i Fratelli Musulmani non si può scegliere, come non si può scegliere fra la padella e la brace.
Bisogna sapere che la brace riscalda la padella e che per la padella è ammucchiata la brace, insomma che i due fenomeni sono correlati e si alimentano, per moltissimi versi simili fra loro e talvolta esplicitamente alleati, come lo furono ai tempi loro Hitler e il Muftì di Gerusalemme.
Bisogna resistere agli uni e agli altri, bisogna costruire una legislazione e soprattutto una politica che combatta il terrorismo e la sua base. Non facciamoci illusioni, non sarà facile, soprattutto in un clima di terzomondismo suicida come quello che regna oggi nei piani alti della politica, del giornalismo e della cultura occidentale. Bisogna rovesciare questa tendenza e combattere la guerra che ci è stata dichiarata, per vincerla, non per sembrare simpatici e gentili. L’importante è essere convinti delle nostre ragioni e capire che in questa battaglia contro l’islamismo non è in gioco di meno di quelle che l’Occidente ha vinto contro nazifascismo e comunismo: la libertà e il benessere di tutti.
 

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