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Cartolione da Eurabia, di Ugo Volli

a sinistra: Mosè di Marc Chagall

Cari amici,

voglio partire oggi da una cosa talmente elementare che non la si dice mai, e magari si rischia di dimenticarla, perché non è tanto conveniente per i palestinisti e per coloro che li sostengono.
In quei territori che la Bibbia chiama Eretz Israel, la Terra di israele, è in corso una guerra, che ha avuto alti e bassi ma continua da tempo. Se non ci fosse una guerra non ci sarebbe bisogno di colloqui di pace.
Ma com’è iniziata questa guerra e quando e chi esattamente la fa a chi?
Be’, un fatto certo è che non è iniziata nel 1967, con l'”occupazione”. Israele ha preso il controllo di Giudea, Samaria e Gaza, del Golan (e anche del Sinai che poi ha restituito all’Egitto in cambio di un trattato di pace), dopo una guerra vera e propria, con battaglie di aerei e di carri armati contro tutti gli stati arabi coalizzati.


Theodor Herzl     David Ben Gurion

Lo stesso tipo guerra con gli stessi schieramenti c’era stata prima, nel 1948 e ci fu anche dopo, nel 1973. Prima del ’48 c’erano stati due cicli bellici diversi, nel 1921 (Hebron) e nel 1936 (Safed) e tanti episodi intermedi.
In quel caso non erano impegnati eserciti regolari, ma milizie e folle arabe locali. Più o meno le stesse che operarono all’inizio degli anni Ottanta e poi nel 2002. In mezzo ci furono numerosi episodi terroristici sia locali (infiltrazioni dai paesi vicini, autobus fatti saltare, assalti a persone isolate), sia internazionali, dai dirottamenti aerei alle olimpiadi di Monaco, dagli attentati di Fiumicino e Roma a Buenos Aires e a Burgas, per non parlare della collaborazione dei palestinisti alla Shoà. Che cosa unifica queste vicende così diverse che vanno dalle guerre tradizionali ai pogrom dal terrorismo delle bombe negli autobus e nei ristoranti ai dirottamenti aerei?
Semplice: il target e l’obiettivo. Il target sono gli ebrei. Non gli israeliani, gli ebrei. Da questi episodi bellici sono sempre stati esentati gli arabi israeliani, che pure hanno il passaporto, la targa della macchina, i diritti politici e i privilegi sociali degli altri cittadini di Israele. Non sono loro il nemico, sono gli ebrei, prima e dopo la costituzione dello stato di Israele.
I belligeranti, da Nasser ad Assad, i terroristi da Arafat a Fatah e ad Hamas parlano di sionisti, di “coloni”, di israeliani – ma intendono ebrei, come dicono regolarmente nei loro discorsi in arabo, come il loro primo leader, il Muftì di Gerusalemme Amin Al Husseini diceva chiaramente nei discorsi che teneva alle SS e alla radio di Hitler.


Dunque si tratta di una guerra contro gli ebrei.
E l’obiettivo è la distruzione del loro stato e possibilmente il loro sterminio. Questo scopo è un po’ occultato dalla propaganda recente più furba, ma è stato dichiarato mille volte, dal capo della lega araba nella guerra del ’48, da Husseini non solo nei discorsi nazisti ma anche prima, da Ahmadinedjad, dallo statuto di Hamas, da Arafat quando parlava in arabo per il suo pubblico. Dunque c’è una guerra che dura da quasi cento anni, che ha gli ebrei come target e la loro distruzione come obiettivo: il tentativo di un genocidio di lunga durata.

1948, 5 eserciti arabi contro gli ebrei

Badate, non è una guerra FRA “Israele” e “Palestina”, sia perché Israele non esisteva prima del ’48 e la “Palestina” ancora non esiste, non è uno stato vero, ma anche perché non è una guerra FRA ebrei e arabi. E’ una guerra DEGLI arabi contro gli ebrei. Gli ebrei, che erano sempre stati presenti sulla loro terra, anche se in mezzo a mille vincoli e persecuzioni, privi di potere politico, ricominciarono a tornare in massa su quelle terre non appena furono emancipati in Occidente, a partire dalla metà dell’Ottocento.
Il movimento si sviluppò poi impetuosamente col movimento sionista. Fu sempre un’immigrazione pacifica e disarmata. Gli ebrei compravano le terre che andavano a dissodare, con le forme legali e il permesso delle autorità (se c’era, spesso l’immigrazione si riduceva perché ostacolata con vari pretesti). Non occupavano le terre, lo ripeto, le compravano.
Non erano una banda coloniale, erano immigranti, di solito poveri ma molto determinati e preparati. Fu contro questa immigrazione, che cercava rapporti di buon vicinato con gli arabi locali, come mostrano per esempio gli scritti di Herzl e di Buber) che si scatenò la guerra, prima con piccoli episodi di banditismo e di aggressione, poi con i grandi pogrom organizzati dal Muftì e con le guerre degli eserciti arabi.
La posizione degli ebrei e poi di Israele è sempre stata difensiva.
Israele vuole vivere in pace sulla terra che gli è stata assegnata dalla comunità internazionale ormai quasi un secolo fa, con la dichiarazione Balfour e poi il trattato di San Remo. Avendo pochissimo territorio, meno dell’un per cento degli stati arabi circostanti, è stato anche disposto a cederne una parte in cambio della pace. E’ successo così col Sinai, col Libano meridionale, con Gaza, con le zone di Giudea e Samaria affidate alla gestione dell’Autorità Palestinese.
Mal gliene è incolto, perché ogni zona consegnati agli arabi è diventata la base di nuove aggressioni: Hamas a Gaza, Hezbollah nel Libano, i terroristi di Fatah in Giudea e Samaria, terroristi assortiti nel Sinai.
Dunque c’è la guerra, ma è una guerra che Israele subisce, che non vuole e non provoca. Israele non ha pretese sul Cairo e su Damasco, dove è stato spesso in grado di fare arrivare i propri eserciti; sono gli arabi che hanno pretese su Gerusalemme – con la sfacciataggine di giustificare questa pretesa negando la storia e l’archeologia, dicendo di essere loro gli indigeni e che quella è sempre stata una città musulmana, anche ai tempi di re Davide e di Gesù, magari facendo diventare islamici anche loro…
Questi semplici dati di fatto sulla guerra hanno una conseguenza sulla pace.
La pace non verrà quando Israele farà “concessioni”, come mostra l’esperienza, perché queste concessioni non bastano mai.
La pace verrà quando gli arabi cesseranno l’aggressione.
Molto concretamente: se da Gaza smettessero di sparare razzi sulle città israeliane, di cercare di rapire soldati israeliani o di ammazzarli con bombe mentre pattugliano il confine… ci sarebbe la pace.
Una pace all’inizio fragile e diffidente, che potrebbe poi crescere. Gli scambi aumenterebbero, i permessi di passaggio crescerebbero. Se dai territori dell’Anp non venisse più terrorismo ad alta o a bassa intensità (la “resistenza popolare”), se si smettesse di incoraggiare la violenza, di fare guerra legale e diplomatica a Israele, se ci fosse più collaborazione sulla lotta alla criminalità politica… ci sarebbe la pace.
I permessi di lavoro diverrebbero più numerosi, il commercio si intensificherebbe, le popolazioni integrerebbero le risorse, probabilmente sarebbe possibile delegare più poteri e territori all’Autorità palestinese, soprattutto se nel frattempo diventasse  democratica e meno corrotta.
La tensione è artificiale, la guerra è provocata, è nell’interesse di burocrazie e milizie (e agenzie dell’Onu) che vivono di questo.
Basterebbe che gli arabi si decidessero ad accettare che gli ebrei hanno diritto di vivere sul loro stato e smettessero di usare la violenza e la pace si potrebbe fare.
Come è accaduto in Europa dopo la seconda guerra mondiale, quando si è stabilizzato lo status quo e antichi confini controversi sono stati accettati interrompendo un ciclo bellico infinito. Purtroppo questa prospettiva è lontana. Magari arriverà, ma è lontana.
Nel frattempo Israele non può che difendersi e assicurare la propria superiorità militare. Perché quel po’ di tranquillità che regna fra il Giordano e il mare (a differenza del Sinai, a differenza della Siria, dell’Egitto, della libia, dell’Iraq) è dovuta a una sola cosa, la potenza dell’esercito israeliano, sola vera forza di pace nella regione.

 

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