Era in coma dal 4 gennaio del 2006 in seguito ad una grave emorragia cerebrale. Shimon Peres: “Fu un soldato coraggioso e uno statista, oltre che uno dei più grandi difensori di Israele”. Per Hamas, al potere a Gaza, “la scomparsa di questo criminale con le mani coperte di sangue palestinese è un momento storico”.

L’ex premier israeliano Ariel Sharon si è spento all’età di 86 anni (li avrebbe compiuti il 26 febbraio). Da quasi otto anni era in stato vegetativo, dopo una grave emorragia cerebrale da cui non si era più ripreso. L’ultimo peggioramento alla fine dell’anno. Figura politica molto controversa, come diversi leader israeliani proveniva dalle file dell’esercito.

 

Dopo aver lasciato polemicamente la divisa, entrò a far parte del Likud (centrodestra), divenendo deputato nel 1973. Qualche anno dopo collaborò con l’amico laburistaYitzhak Rabin, divenendone consigliere per la sicurezza. Successivamente, con la vittoria del Likud alle politiche, entrò a far parte del governo divenendo ministro dell’Agricoltura: sotto questa veste svolse un ruolo di primo piano nel programma di costruzione degli insediamenti ebraici a Gaza e in Cisgiordania. Nel 1982, da ministro della Difesa, fu l’artefice dell’invasione del Libano e rimase coinvolto nella strage diSabra e Shatila. Primo ministro nel 2001, rimase in carica fino alla malattia, nell’aprile 2006. Nella lunga carriera politica di Sharon risaltano i grandi gesti eclatanti: la scelta di andare a vivere nel cuore di Gerusalemme, vicino alla via Dolorosa (percorsa ogni anno da milioni di pellegrini cristiani), e la famosa “passeggiata sulla spianata della Moschea”: il 28 settembre 2000, allora capo dell’opposizione, accompagnato da una super scorta armata Sharon fece il suo ingresso in quello che è un luogo sacro per i musulmani, dove si erge la Cupola della Roccia in cui Maometto, secondo la tradizione islamica, compì il suo miracoloso “viaggio notturno”: luogo tradizionalmente controllato dai palestinesi. Con questo gesto Sharon volle far capire che anche quella zona di Gerusalemme faceva parte di Israele. Ma fu la miccia che innescò la Seconda Intifada, con durissimi scontri che andarono avanti per cinque anni e causarono più di mille morti.

Il “bulldozer” (soprannome caro agli israeliani – sia per la stazza che per l’estrema determinazione – mentre i palestinesi lo chiamavano “butcher”, macellaio), si è spento nel centro clinico di Tel Ha Shomer vicino a Tel Aviv. Quando fu colto dall’ischemia Sharon stava per compiere 78 anni ed era nel pieno di una campagna elettorale alla testa del nuovo partito centrista, “Kadima”, proiettato verso la vittoria con la promessa di negoziare la pace con i palestinesi. Le elezioni del 28 febbraio furono poi vinte dal suo numero due Ehud Olmert, ma la pace non fu raggiunta, e il Kadima si è ormai ridotto a soli due deputati alla Knesset.

Amato e detestato, Sharon rimane un protagonista controverso della storia d’Israele: eroe della guerra del 1973, simbolo negativo in gran parte del mondo dopo l’invasione del Libano e la strage di Sabra e Chatila nel 1982, accusato di aver acceso la scintilla della seconda Intifada nel 2000, Sharon seppe conquistare l’ammirazione internazionale per il ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza nell’estate del 2005.

Una scelta che fece pensare a una svolta nella pace fra Israele e Palestin: “Come uomo che ha combattutto in tutte le guerre israeliane – disse in parlamento nell’ottobre 2004 – ed ha imparato dalla propria esperienza personale che senza una vera forza non abbiamo possibilità di sopravvivere in questa regione che non mostra pietà per i deboli, ho anche imparato che la spada non può da sola decidere l’aspra disputa per questa terra”.  L’11 novembre, la morte del suo avversario Arafat, seguita dall’avvento del moderato Mahmoud Abbas alla testa dell’Autorità nazionale palestinese, aprì una nuova stagione di speranza di pace, sottolineata dal cessate il fuoco di fatto proclamato dai due leader l’8 febbraio 2005 a Sharm el Sheikh, nel solco del piano internazionale per il Medio Oriente della Road Map.

Sharon condusse il ritiro unilaterale da Gaza malgrado la forte opposizione dei coloni e di parte del suo partito (fra cui l’attuale primo ministro Netanyahu). Forte del plauso da lui ottenuto sulla scena internazionale, Sharon decise nel novembre 2005 di iniziare una nuova avventura politica, lasciando il Likud e fondando il nuovo partito di centro Kadima(Avanti), con esponenti del Likud, personalità indipendenti e laburisti.

L’obiettivo del nuovo partito doveva essere il raggiungimento di un accordo di pace stabile con i palestinesi, per due stati che vivano a fianco in pace e sicurezza. L’improvvisa malattia lo tolse di scena proprio nel momento in cui più avrebbe potuto determinare una svolta nel processo di pace in Medioriente.

In questi anni l’ex premier è stato assistito dai figli Omri e Gilad, che non hanno mai smesso di sperare in un suo risveglio. Nonno di numerosi nipoti, Sharon aveva perso il figlio maggiore, Gur, nel 1967 ed era due volte vedovo. La prima moglie Margalit morì nel 1962. La seconda , Lily, sorella della prima, morì nel 2000.

Tra i primi a esprimere il proprio cordoglio per la morte di Sharon è il presidente israeliano Shimon Peres. Era un “mio caro amico, fu un soldato coraggioso e uno statista, oltre che uno dei più grandi difensori di Israele”. L’ex premier, ha aggiunto Peres, fu un “leader senza paura che sapeva prendere decisioni e agire di conseguenza”. Ma c’è anche chi continua a ribadire il proprio disprezzo nei confronti del “nemico” Sharon. “Era un criminale, responsabile della morte di Arafat sfuggito alla giustizia internazionale”, tuona Jibril Raboub, dirigente di Fatah. Hamas al potere a Gaza ha definito un “momento storico” la “scomparsa di questo criminale con le mani coperte di sangue palestinese”.

La Guerra dei Sei giorni e quella del Kippur.

Nella sua lunga carriera militare di distingue durante la Guerra dei Sei Giorni (1967), in cui comanda una divisione corazzata. Due anni dopo viene nominato comandante del Comando Sud. Sembra a un passo dai vertici delle Forze armate, ma nel 1972 viene silurato dal ministro della Difesa Moshe Dayan (laburista), che non lo sopportava. Lasciò nuovamente l’esercito (il primo distacco dalle stellette era avvenuto nel 1956 quando, in un’azione militare, morirono quaranta suoi soldati e la responsabilità era sua) e si dedicò alla politica entrando nel Likud.  Nel 1973, però, fu richiamato in servizio per la Guerra del Kippur e posto al comando di una divisione corazzata della riserva. In quella occasione rimediò agli errori del capo di stato maggiore, il generale Elazar, quello che gli era stato preferito da Dayan e ribaltò a favore del suo paese le sorti del conflitto con Egitto e Siria. Iniziò una marcia sul Cairo ma fu bloccato dai politici, che preferirono un negoziato con l’Egitto ormai sconfitto. Infuriato si tolse la divisa, quella volta per sempre. Non perse mai lo spirito di eterno combattente. Anche se, nella fase finale della sua vita, capì che lo scontro totale, senza esclusioni di colpi, non poteva bastare. Che la spada, da sola, non avrebbe mai permesso al suo amato paese di vivere in pace.

Da:IlGiornale

 

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