Comunicato stampa per la sera1 del 14 agosto 2014Giuseppe Laras.
Corriere della Sera, 11 Agosto 2014

Le nostre parole e le nostre azioni a favore dei cristiani del Medio Oriente sono tarde, colpevolmente in ritardo.

Da numerosi anni, in una regione estremamente vasta, che va dal Nord Africa sino alla Siria e all’Iraq, nel silenzio generale dell’Occidente -e dell’Europa in particolare-, cristiani e altre minoranze, tra cui i pacifici yazidi, sono sottoposti a terrore, violenze continue e morte. Poco importa se si è preferito tacere per interessi economici, per “strategie” politiche o per un politically correct benpensante e ignavo, tanto salottiero e cieco quanto ideologico e dispotico. Il risultato è che si sono abbandonate a se stesse, e così sacrificate, centinaia di migliaia di vite. E questo abominio si perpetua senza posa.

Il Popolo ebraico in quelle stesse terre, nel corso dei passati otto decenni, è già stato sottoposto a prove analoghe che prevedevano l’alternativa tra la morte e l’espulsione. Anche in quel caso vi fu colpevole silenzio da parte dell’Occidente, nonostante la feroce persecuzione e la conseguente fuga abbiano riguardato centinaia di migliaia di persone. Quelle terre oggi, nella stragrande maggioranza, sono completamente judenrein, ovvero prive di ebrei.

Così sono state annientate le gloriose e plurisecolari comunità ebraiche di Tripoli e Bengasi, di Alessandria d’Egitto e del Cairo, di Etiopia e delle Yemen, di Aleppo e Beirut, assieme a quella irachena di Baghdad. Fu così che iniziò la diaspora degli ebrei sefarditi di Oriente, rifugiatisi anzitutto in Israele, ma anche in Europa e nelle Americhe.

Dopo di loro è toccato ad altre minoranze. Oggi gli ebrei francesi, per la maggior parte esuli di quelle terre, abbandonano a centinaia la “laica” Francia alla volta di Israele perché hanno nuovamente paura.

In queste ore noi tutti cittadini dell’Occidente, ed europei in particolare, assistiamo, gravati dalla colpa di decennali silenzi insanguinati nei loro confronti, alla tragica diaspora dei cristiani. È un fatto drammatico e terribilmente doloroso, che per la sua gravità segnerà la storia umana.

La lezione che i perseguitati cristiani d’Oriente stanno impartendo al mondo è duplice e preziosa: una indirizzata ai loro fratelli di fede, una destinata a ogni essere umano libero. È un imperativo morale raccoglierla, ignorarla è già in sé un crimine. Esiste un principio imprescindibile inerente al valore assoluto della vita umana e della sua tutela, che prevede la fedeltà a sé stessi e alla propria storia, la preservazione ferma della propria identità e diversità, la difesa della propria e dell’altrui dignità, che si esprime nel preferire la morte e la persecuzione all’abiura e alla conversione forzata. Non è cioè rinunciando a se stessi che si vive, al massimo forse, almeno per un po’, si sopravvive.

Il coraggio determinato e la dignità violentata di queste persone deve smuovere menti, cuori, azioni e politiche. Se non ciò non accade, abbiamo tutti perso. E saremmo tutti complici.

Questa lezione drammatica pone interrogativi inquietanti, divenuti ormai urgenti e ineludibili, alle democrazie occidentali e al mondo libero, se vogliono continuare a essere tali. In particolare, ci ricorda che i fondamenti e i riferimenti simbolici, etici, politici e giuridici dell’Occidente non appaiono purtroppo condivisi nella loro evidenza e universalità. Essi, infatti, potendo essere sovvertiti e disattesi, richiedono un’educazione continua. Ricorda l’Arcivescovo di Mosul che “i vostri principi liberali e democratici qui non valgono nulla”. Occorre necessariamente riconoscere che tali principi e valori scaturiscono, per storia e contenuti, dall’incontro tra radici “greche” e radici “bibliche”. Negare ideologicamente e strumentalmente tali “radici”, e in particolare le seconde, significa ignorare la realtà, disattendere la storia e potenzialmente esporre a oscure insidie quanto con difficoltà conquistato attraverso i secoli e attraverso il sacrificio di milioni di vite umane.

Qualcuno può ritenere che si tratti di vicende alla periferia del mondo libero, ove imperversa la barbarie, ove la civiltà ci fu sì, ma migliaia di anni fa e senza potenti e dirette implicazioni nei riguardi di ciò che oggi siamo. Va ricordato che il Talmùd fu redatto in Babilonia; che fu l’ebraismo babilonese, sino quasi al secolo XI, a guidare, permettendone così la sopravvivenza, l’intero ebraismo diasporico. Il cristianesimo di quelle terre, parimenti, è tra i più antichi al mondo, ricco di teologie e liturgie diverse, il cui Patriarca ebbe per secoli influenza nella nomina del vescovo dei cristiani di S. Tommaso, la millenaria e remota comunità cristiana del Kerala. La florida Baghdad islamica, tra l’VIII e il X secolo, era caratterizzata dalla compresenza di etnie e religioni diverse, spesso frazionate al loro interno: cristiani (caldei, copti, nestoriani, armeni, latini), musulmani, zoroastriani, mandei, ebrei e caraiti.

Il Califfato abbaside cercò di dotare l’impero islamico di una forza e di una vivacità intellettuale, dalle scienze alle lettere, dall’architettura alla matematica e alla teologia, almeno pari a quelle coeve dell’impero bizantino. E così l’Islàm contribuì a salvare l’eredità greca e fu maestro di una certa capacità inclusiva e tolleranza.

È anche per questo che non si possono lasciare soli i cristiani di Iraq. O ritenere che i loro aguzzini possano prosperare, una volta messi in salvo -se ci si riuscirà- i cristiani superstiti. Abbandonare quelle terre equivale ad abbandonare le nostre radici. Tollerare tali persecutori sulla scena internazionale pone un’enorme ipoteca sul futuro del Medio Oriente, del Nord Africa e dell’Occidente.

Un ricordo, infine, è doveroso nei confronti dei molti musulmani di Occidente, che conducono una vita buona, onesta e degna, che onora loro e l’Islàm, spesso sfuggiti anch’essi a simili persecuzioni per vari motivi, contro cui gli xenofobi proiettano responsabilità collettive, indebite e degradanti.

Dobbiamo chiedere a Dio di infondere una lungimirante intelligenza di cuore (più acuta di quella del pensiero) nei governanti e nei loro consiglieri. La pace, in particolare, non va assolutamente intesa come tacita tolleranza di soprusi o come non decisa opposizione nei confronti di chi opera in spregio dell’altrui vita, dignità e libertà. Al contrario, è preciso dovere religioso fattivamente contrastare, con fermezza, determinazione, responsabilità e coraggio, ogni forma di tirannia e persecuzione.

Giuseppe Laras

 

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