di Giulio Meotti
Fonte: Il Foglio, 18 Novembre 2014

Torino, 18 Novembre 2014 -Torino da sempre fermenta di ostilità verso lo stato di Israele. Tre anni fa, al parco Ruffini, autorizzati dall’amministrazione comunale, i centri sociali promossero il lancio delle scarpe contro la sagoma del presidente israeliano Shimon Peres che teneva in mano una Stella di David. Adesso arriva una mostra ambiziosa del Museo della Resistenza in corso Valdocco. Ufficialmente il titolo della mostra è “Il lungo viaggio della popolazione palestinese rifugiata”. Un’esposizione realizzata dal Comitato italiano per l’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu per i palestinesi, che nella guerra di Gaza questa estate ha avuto qualche problema di stoccaggio dei missili di Hamas nelle proprie scuole e strutture. A finanziare la mostra, fra gli altri enti, sono il comune di Torino e la regione Piemonte. Alla conferenza stampa di presentazione della mostra erano presenti l’assessore della regione Piemonte Monica Cerutti e Maurizio Braccialarghe, l’assessore alla Cultura del comune di Torino.

Si tratta di un incredibile fermo immagine contro Israele. A parte il fatto curioso che un Museo della Resistenza, che dovrebbe essere deputato a tramandare la memoria della resistenza antifascista, celebri la memoria della “resistenza palestinese”. Stupisce poi la tempistica, subito dopo la guerra di Gaza. Nella mostra sono raffigurate in un video a flusso continuo le principali capitali occidentali, da Parigi a Londra, con sullo sfondo “il muro” d’Israele in Cisgiordania. L’Arco di Trionfo è messo in ombra dal segmento di fence israeliano in cemento (in realtà solo una piccola parte di quella barriera è in cemento, il resto è reticolato e sensori). Ma c’è anche il parlamento di Ottawa, in Canada. La mostra non dice che il fence è stato costruito per fermare l’ondata di attentati dei kamikaze palestinesi nelle città israeliane. Si spiega, invece, che “il muro danneggia gli ecosistemi, interrompe la continuità territoriale e la coesione sociale, distrugge l’economia, separa tra loro le famiglie e la comunità”.

Nella mostra si parla molto di Sabra e Shatila, l’orrenda strage del 20 settembre 1982, in Libano, in cui furono uccisi centinaia di palestinesi per mano dei falangisti maroniti. Nella didascalia della mostra di Torino si legge che “diverse centinaia di rifugiati palestinesi furono massacrati nei distretti di Sabra e Shatila dalle forze armate israeliane tra il 16 e il 18 settembre“. Dalle forze armate israeliane? Così quell’episodio che si staglia nella coscienza di Israele come l’ombra di Banquo (peccato di omissione sotto i riflettori di Tsahal) viene adesso ascritto dal Museo della Resistenza di Torino alla mano assassina dell’esercito con la Stella di Davide. Il sindaco, Piero Fassino, è al corrente di aver finanziato una simile e fatale menzogna? E perché la comunità ebraica di Torino, quella di Primo Levi, che figura fra gli enti finanziatori del Museo della Resistenza, tace e acconsente a questo scempio ideologico?

La mostra si dipana come una sequela di fotografie di bambini palestinesi fra le macerie: “Bambini sulla strada verso la scuola di Gaza”, una delle tante immagini di rovine e infanzie perdute. Ci sono i “bambini che fanno il bagno all’aria aperta a Gaza”. Non mancano le fotografie di bulldozer israeliani che radono al suolo le case palestinesi. Case di terroristi e sempre su autorizzazione della Corte Suprema israeliana. Ma la mostra è più laconica e glissa su chi le abitava: “Demolizione di abitazioni”. Cancellato ogni nesso causa-effetto del conflitto israelo-palestinese. E per descrivere i profughi palestinesi del 1948, la parola usata al Museo della Resistenza è quella araba, tratta dalla mitologia nera antisraeliana: “Nakba”. La catastrofe.

Alla presentazione della mostra, l’ex senatrice dei Verdi Tana de Zulueta ha detto che Unrwa si pronuncia “unrà”, come dicono gli arabi. Rà, in ebraico, significa cattivo.

Emanuel Baroz, 19 November 2014

 

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