Dal 2004 collabora con il Centro Internazionale Vidal Sassoon per lo Studio dell’Antisemitismo dell’Università di Gerusalemme. I suoi numerosi saggi e articoli sono stati pubblicati dal Wall Street Journal, il Weekley Standard, il Jerusalem Post, The New Republic, Die Zeit e altri.

Dottor Küntzel, innanzitutto grazie per averci voluto concedere questa intervista.  Vorrei cominciare con una domanda relativa a una questione controversa che è stata per lungo tempo al centro della politica internazionale. Mi riferisco all’accordo sul nucleare tra Stati Uniti e Iran. Lei pensa che il Primo Ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, abbia ragione nel ritenere che questo accordo ponga una seria minaccia per la stabilità mediorientale, o al contrario ritiene che l’Iran ne possa trarre un’opportunità per un cambiamento di atteggiamento?

E’ evidente che lo sviluppo nucleare iraniano ponga una seria minaccia non solo per Israele ma per tutto il mondo. Potrebbe esserci un ritardo di dieci anni se Teheran rispetterà l’accordo. Dopo, tuttavia, avrà mano libera per produrre i mezzi per numerose bombe atomiche con il consenso dei poteri mondiali. E’ come promettere a un piromane come compenso per dieci anni di moderazione una fornitura di taniche di benzina. Già oggi, in Iran, stiamo assistendo a tentativi febbrili da parte di esperti missilistici e nucleari per predisporre il regime all’ “x day” nel 2025.

Chiaramente, questo traguardo rende nervosi anche i vicini sunniti dell’Iran. Ma anche il ritardo decennale è tutt’altro che certo. Molti aspetti dello sviluppo nucleare iraniano non sono inclusi nel trattato, per esempio la collaborazione dell’Iran con Pyongyang in campo nucleare o la ricerca pregressa nell’ambito degli armamenti nucleari.

L’accordo fornisce forti salvaguardie unicamente in merito a siti nucleari noti come Natanz. Theran è riuscita a impedire l’utilizzo delle visite a sorpresa dell’IAEA a siti ignoti fino ad oggi. E’ una scappatoia sufficiente per una bomba.

L’Iran non è percepito in Occidente come una particolare minaccia per i suoi interessi, specialmente adesso, e il timore di Israele è considerato eccessivo. Per lei questo atteggiamento è ragionevole?

Questo atteggiamento occidentale è basato sull’autoinganno. Esattamente come il defunto Yasser Arafat incitava la sua gente in arabo mentre menava per i fondelli la comunità internazionale in inglese, così Rouhani e Zarif allestiscono una parvenza di moderazione che sia accettabile per il pubblico internazionale mentre il vero capo, il Leader Supremo, Ali Khamenei, ha continuato a perorare la distruzione di Israele e degli Stati Uniti.

E’ piuttosto facile vedere attraverso l’inganno in quanto gli editti di Khamenei continuano a essere pubblicati in traduzione inglese sul suo sito ufficiale. Tuttavia, il presidente Obama e i suoi partner europei sono più che desiderosi di essere ingannati.

L’Iran è attivo in Siria, Yemen, Iraq, Arabia Saudita. E’ dietro mandatari terroristi come Hezbollah e ha anche finanziato Hamas. Da una parte vediamo una posizione egemonica, neo-imperiale, dall’altra i risultati delle recenti elezioni sembrano mostrare un orientamento verso la riforma e il cambiamento. Qual’è la sua opinione?

L’Iran non è né una repubblica né una democrazia ma uno stato totalitario. Se si è costretti a vivere sotto simili condizioni si darà la propria preferenza al cattivo politico al posto di quello peggiore, da questo ne consegue il parziale successo di Rouhani almeno a Teheran. Anche se non conosciamo ancora i risultati finali delle elezioni e l’estensione dei brogli sappiamo con certezza che Rouhani non desidera “riformare” e nemmeno “cambiare” il controllo dei teocrati.

Guardi cosa è accaduto nell’ultimo mese, durante la presidenza di Rouhani. Come risultato dell’accordo nucleare il regime ha ottenuto lo scongelamento di numerosi fondi. Non sono stati usati per il miglioramento delle condizioni degli iraniani. Invece il regime ha offerto un cospicuo premio ai palestinesi che sono disposti a uccidere gli israeliani.  Ha aumentato il montepremi per la “migliore” vignetta negazionista della Shoah e ha rafforzato la guerriglia in Siria, Iraq, Libano e Yemen.

Nel conflitto arabo-israeliano c’è stata e c’è tuttora una persistente negazione del suo aspetto religioso, “jihadista” malgrado il fatto che Hamas consideri tutta la Palestina “Dar al Islam”. A settembre il leader dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, ha invitato gli arabi a difendere la Moschea di Al Aqsa dall’intrusione ebraica. L’ondata di terrorismo con i coltelli è avvenuta subito dopo. Quanto ritiene che l’elemento religioso giochi un ruolo in questo perenne conflitto?

Ritengo che il Medioriente sia al centro di una guerra religiosa globale. Già durante gli anni Trenta i Fratelli Musulmani e Hajj Amin al-Husseini avevano “islamizzato” la guerra contro il sionismo e gli ebrei. Hamas ha continuato questa guerra, basandosi sulla sua Carta del 1988 che è fondamentalmente un documento religioso.

Fin dal 1979 l’Iran ha propagato una guerra religiosa globale contro il “mondo dell’arroganza” il che significa una guerra contro coloro i quali sono sufficientemente “arroganti” da farsi le proprie leggi invece di inchinarsi alla sharia di Allah.

All’inizio degli anni Ottanta, l’Ayatollah Khomenei scoprì il culto del martirio e dei suicidi esplosivi come strumenti per la guerriglia islamica. Questa tecnica è unicamente basata sulla religione e la promessa del paradiso eterno per coloro che perpetrano omicidi di massa. “E’ necessario mantenere vivo il culto del martirio”, ha detto Alì  Khamenei, il Supremo Leader dell’Iran nel marzo 2015 durante i negoziati sul nucleare. “Questo è uno dei principali bisogni del paese. La cultura del martirio è una cultura dell’autosacrificio per il bene di obiettivi a lungo termine”.

Questi obiettivi sono, ovviamente, obiettivi religiosi.  Khamenei è convinto di ottemperare a una missione religiosa. E’ il motivo per il quale la politica estera iraniana non è mai orientata allo status-quo ma è millenarista e rivoluzionaria, con la distruzione di Israele in cima alle sue priorità.

Ammansire questo regime significa incoraggiarlo e assumersi il rischio di nuove terribili guerre.  Dal mio punto di vista sarebbe meglio iniziare una campagna in modo da bandire i suicidi esplosivi qualificandoli giuridicamente come crimini di guerra, isolando e punendo coloro che li incoraggiano come il regime iraniano.

I terroristi suicidi, come ci hanno mostrato per l’ennesima volta gli attacchi a Parigi dello scorso novembre, sono una delle più serie minaccie al mondo libero in quanto ci obbligano a restringere la nostra libertà in nome della sicurezza o a vivere nell’insicurezza e nella paura. Il futuro delle nostre società quindi dipende dal fatto che l’aberrante fanatismo del “Noi amiamo la morte” possa essere respinto e distrutto.

 

 

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