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Dal GIORNALE del 22 febbraio 2007, un articolo di Fiamma Nirenstein:Abu Mazen, aiutaci tu. «Ci parleremo ancora e ancora, e le nostre squadre staranno in contatto fisso, giorno per giorno». È quasi un’invocazione salvifica quella di Ehud Olmert verso un panorama scoraggiante e aggressivo che il Primo ministro israeliano cerca di riempire con una quantità di buone intenzioni. Lo incontriamo nel gelido lusso della stessa sala dell’albergo in cui solo lunedì era con Condoleezza ….

Abu Mazen, aiutaci tu. «Ci parleremo ancora e ancora, e le nostre squadre staranno in contatto fisso, giorno per giorno». È quasi un’invocazione salvifica quella di Ehud Olmert verso un panorama scoraggiante e aggressivo che il Primo ministro israeliano cerca di riempire con una quantità di buone intenzioni. Lo incontriamo nel gelido lusso della stessa sala dell’albergo in cui solo lunedì era con Condoleezza Rice e Abu Mazen. Stavolta, l’esame è quello della stampa estera. Appare pallido e stanco, dardeggia un sorriso troppo gentile per lui. Il corrispondente di Al Jazeera spara una provocazione: «Lei ha detto a Abu Mazen durante l’incontro a tre: “Mi hai tradito con l’accordo della Mecca”: Abu Mazen infatti ha accettato di formare un governo di coalizione il cui programma non accenna affatto a riconoscere Israele, né a cessare dal terrorismo. “Perché non si decide – dice il giornalista – a accettare che il governo eletto dei palestinesi ha un partito di maggioranza, Hamas, che seguiterà a dettare le sue condizioni col consenso popolare? Parli col governo, dunque!».
Olmert è un tipo che ama le provocazioni e si capisce che sotto l’apparente rassegnazione c’è una passione per cui gli dispiace che gli si chieda di parlare con un gruppo che condanna a morte Israele nella pratica e nella teoria; ma, soprattutto, deve salvare la sua linea politica che cammina su un filo sospeso a mille metri d’altezza. Deve avere a che fare con Abu Mazen scartando, in uno slalom impossibile, Hamas, che tuttavia è ormai partner del Fatah. Difficile. «Non ho mai chiamato Abu Mazen “traditore”. Non taglierò i contatti con Abu Mazen, anzi, lavoreremo insieme, costruiremo. Parlare con Hamas, invece, mai. Ismail Haniyeh e Khaled Mashaal non hanno nessuna intenzione di trattare con Israele. Ma Abu Mazen è diverso, riconosce che esistiamo e si è pronunciato pubblicamente contro il terrorismo. Quindi, possiamo lavorare insieme». Olmert appare fragile, quando appoggia la sua strategia sul rapporto con un leader fragile che Hamas è deciso a usare come passepartout verso il mondo. Vuole accettarlo, ma non sdoganarlo al mondo. La sua buona volontà è insistente: lo scopo, dice, è marciare verso la creazione di uno Stato palestinese, che viva «in pace e sicurezza» a fianco del suo Paese. Si dice ancora fedele all’idea di ritirarsi dal West Bank nonostante Gaza, ma è costretto ad aggiungere che «alcune circostanze non hanno facilitato l’ulteriore sgombero. Missili kassam e terroristi suicidi, di cui l’ultimo bloccato ieri a Tel Aviv con la cintura di tritolo, sono una realtà.
Il cessate il fuoco fissato a novembre non è mai stato violato da noi, mentre le loro violazioni sono continue, terroristi, rapimenti e missili kassam». E allora in che spera Olmert? Nell’attesa, nel tessere, nella solidarietà internazionale. Così anche per l’Iran: l’Iran di Ahmadinejad è seriamente minaccioso, molto minaccioso, nessun Paese dell’Onu dovrebbe parlare con uno Stato che minaccia di morte un altro Paese della stessa organizzazione che non gli ha fatto niente. Ma le centrali atomiche sono meno avanti di quel che Ahmadinejad vorrebbe far credere, anche se più di quanto non si vorrebbe. Dunque, di nuovo, dialogo: oggi, dice, scade il termine concesso dalle Nazioni Unite per cessare dalla preparazione delle istallazioni nucleari, subito dopo si tratterà di rendere le sanzioni più importanti e operative sul piano economico e politico. Azioni militari? Dovrebbe risultare efficace lo sforzo diplomatico, se tutti lavoreranno di concerto.
Gli hezbollah, dice Olmert, ancora molto forti, sono tuttavia meno pericolosi da quando l’esercito libanese e l’Unifil sono sul confine del Libano, anche se continuano i rifornimenti iraniani di armi e denaro. Solo sulla Siria una dichiarazione precisa: se volesse davvero la pace avrebbe già cacciato via da Damasco i gruppi terroristici là di stanza. In realtà Assad pretende di essere devoto alla pace per proteggersi dalle accuse di aver ucciso Rafik Hariri. Olmert appare assediato, in definitiva, dalla jihad di Hamas e dagli hezbollah, ma alla ricerca di un’offerta. Abu Mazen contro Hamas, e l’Onu contro Ahmadinejad. Quanto di più insicuro.

 

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