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[b]Dal CORRIERE della SERA del 18 giugno 2007, a pagina 13, la cronaca di Maurizio Caprara sulle rivelazioni del quotidiano israeliano Ha'aretz circa gli accordi segreti tra Italia e Siria.[/b]

ROMA — «Viva Italia», è stato ieri il messaggio, sarcastico, del lettore che ha commentato per primo sul sito del quotidiano israeliano Haaretz il lancio di due razzi Katiuscia su Kiryat Shmona, cittadina dello Stato ebraico colpita dal Libano meridionale. Si è firmato Man de Voshkes ed è stato seguito da un altro lettore, «J», che gli ha fatto eco così: «Grazie Unifil», ossia la sigla della forza multinazionale schierata dall'Onu l'estate scorsa nel Sud del Paese dei Cedri e della quale il nostro Paese ha la guida. Anche se ieri a sparare sembrano essere stati palestinesi, e non miliziani libanesi del partito di Dio, giudizi del genere sul sito si sono infittiti. È così da sabato scorso, quando Haaretz ha scritto sull'ultima visita di Massimo D'Alema a Damasco. Con questa tesi: «Ha detto al presidente siriano Bashar el Assad e al ministro degli Esteri Walid al Muallem che l'Italia premerebbe per una fine dell'isolamento internazionale della Siria in cambio della garanzia che Hezbollah e altri gruppi non faranno male alle truppe italiane in Libano».
«Codardia italiana», aveva sentenziato un altro internauta. Nella stessa rubrica, ieri c'è anche chi ha scritto che Ehud Olmert, il premier della guerra in Libano di un anno fa, è «la peggior cosa mai accaduta a Israele». I giudizi sul nostro Paese comunque danno l'idea di un clima da tener presente. Era stato un anonimo «alto funzionario» israeliano, su Haaretz, ad attribuire al ministro degli Esteri italiano di essersi preoccupato in Siria della sicurezza dei suoi soldati più che degli scopi della missione Unifil, incaricata di favorire il controllo dell'esercito nazionale sul Libano del Sud. Dichiarazioni non ascrivibili a fonti di Israele autorizzate, ha sostenuto diplomaticamente l'ambasciatore d'Italia a Tel Aviv Sandro De Bernardin.
Anche senza disporre di rivelazioni sul colloquio del 5 giugno tra Bashar el Assad e D'Alema, per capirne di più basta stare ai dati di fatto. A Damasco è stato il titolare della Farnesina a lasciar intendere in pubblico che si deve anche a Hezbollah e ad Hamas se le forze italiane in Libano, oltre duemila militari, non sono state bersagli di gravi attentati.
Alla domanda di una giornalista araba sui rischi per il nostro contingente, D'Alema aveva risposto che attacchi di terroristi legati ad al Qaeda erano stati prevenuti grazie alla «collaborazione della stragrande maggioranza dei gruppi palestinesi» (dunque anche del primo partito, Hamas) e «dell'esercito libanese e di tutte le componenti della società libanese» (quindi anche di Hezbollah).
Il mandato per l'Unifil stabilito dalla risoluzione 1701 dell'Onu scadrà il prossimo 31 agosto. Sul che fare dopo, il documento del Consiglio di Sicurezza riporta l'«intenzione » di varare una nuova risoluzione. Non va dimenticata questa prospettiva per capire quanto succede tra Italia e Israele. Da gennaio, il nostro Paese è nel Consiglio di sicurezza. Giorni fa, Haaretz riferiva che secondo Yossi Baidaz, generale del servizio segreto militare israeliano, miliziani di Hezbollah stanno tornando a Sud del fiume Litani, zona del Libano affidata all'Unifil.
Al governo di Gerusalemme non conviene sottolineare in pubblico i problemi a Sud del Litani, l'aumento della sicurezza lì è il risultato della guerra rivendicato da Olmert. Ma Israele teme debolezze nell'azione dell'Unifil.
Nel ridurre l'isolamento della Siria, l'Italia si sta dando da fare parecchio. Dopo D'Alema, favorevole a un trattato di associazione della Siria con l'Ue, per Damasco parte sabato prossimo una delegazione della commissione Esteri del Senato guidata da Lamberto Dini. Tra i cinque senatori, uno di Forza Italia e uno di An. Da Assad è stato Oliviero Diliberto, segretario del Pdci. Oggi in Lussemburgo il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni incontra D'Alema. Materia da discutere ce n'è.

[b]Dalla prima pagina, il commento di Magdi Allam alla vicenda: [/b]

E' vero che l'Italia non è considerata uno Stato credibile da parte di Israele e del governo libanese? E' vero che abbiamo sottoscritto un patto segreto con la Siria per salvare la pelle ai nostri 3 mila soldati dispiegati in Libano da un attentato dell'Hezbollah o di Al Qaeda?
La rivelazione su un possibile accordo segreto tra D'Alema e Assad che impegnerebbe il nostro Paese a porre fine all'isolamento internazionale della Siria in cambio della garanzia che l'Hezbollah non compirà attentati, è stata smentita dal nostro ambasciatore a Tel Aviv De Bernardin che ha assicurato che la notizia diffusa dall'edizione online del quotidiano israeliano Haaretz non è riconducibile a «fonti israeliane autorizzate ».
Ma certamente la questione della sicurezza del nostro contingente inquadrato in seno all'Unifil è stata al centro dei colloqui che D'Alema ha avuto con Assad lo scorso 5 giugno a Damasco. Il nostro ministro degli Esteri ha additato nella «presenza di gruppi legati ad Al Qaeda, il «pericolo maggiore» per i nostri soldati. E ha lasciato intendere che la collaborazione dell'Hezbollah e di Hamas è stata determinante nell'azione di prevenzione del pericolo. Così come è altrettanto certo che la Siria ha sollevato con forza la questione dell'istituzione del Tribunale internazionale sull'assassinio dell'ex premier libanese Rafiq Hariri, che vede imputata la leadership siriana. D'Alema a Damasco si è prodigato nel rassicurare i siriani che il Tribunale «non è diretto contro uno Stato» e che comunque «non partirà subito.
L'impegno italiano a contenere l'ostilità nei confronti della Siria, è riemerso nel giorno dei funerali a Beirut del deputato anti-siriano Walid Eido, ucciso in un attentato all'auto- bomba il 13 giugno, sostenendo la nostra contrarietà a fare «l' elenco dei buoni e dei cattivi». Una posizione controcorrente rispetto a quella degli Stati Uniti e del governo libanese che hanno addossato la paternità dell'attentato alla Siria. La posizione dell' Italia è risultata in contrasto con quella del governo libanese anche sulla cruciale questione del riarmo dell' Hezbollah. Mentre il 14 giugno un memorandum dello Stato maggiore dell'Esercito libanese, reso noto dall'inviato dell'Onu per il Medio Oriente Terje Roed-Larsen, ha accusato la Siria di aver fornito illegalmente armi all' Hezbollah nel Libano meridionale, lo stesso giorno il generale Claudio Graziano, comandante dell'Unifil, ha controbattuto che «nella mia area operativa non vi è alcuna attività ostile aperta e non vediamo alcun riarmo». L'atteggiamento italiano risulta in contrasto con quello del premier Siniora che ha accusato i servizi segreti siriani di manovrare i terroristi binladiani di Fath Al Islam, di Saad Al Hariri che ha lanciato un appello ai Paesi arabi a «boicottare il regime terrorista siriano», e di Walid Jumblatt che ha definito il regime di Assad «una banda di assassini», ammonendo che «americani ed europei commettono un tragico errore flirtando con Assad ».
Ciò che probabilmente sfugge a Israele e al governo libanese, è che per la verità non vi è alcuna novità nell'atteggiamento dell'Italia nei confronti della Siria e della strategia di prevenzione del terrorismo. D'Alema non sta facendo altro che perpetuare una prassi consolidata sin dagli anni Settanta quando esplose il fenomeno del terrorismo palestinese su scala internazionale. Ricordo come nel 1983 mi trovai al seguito dell'allora ministro degli Esteri Andreotti in una visita a Damasco del tutto simile a quella recente di D'Alema nello spirito e negli obiettivi. E non fu affatto un caso che il contingente italiano inviato a Beirut a protezione dei civili palestinesi dopo l'evacuazione dei fedaiyin di Arafat, fu l'unico a non essere colpito dagli attentati dell'Hezbollah che, proprio allora, inaugurò il fenomeno dei kamikaze islamici. I soldati italiani furono risparmiati in virtù di un accordo segreto con i servizi segreti siriani, che si fecero garanti del comportamento dell'Hezbollah e del loro sponsor principale, l'Iran di Khomeini. Così come non c'è alcuna novità nell'impegno dell'Italia a sdoganare i regimi dittatoriali arabi. Il caso di maggior successo è stato quello della Libia di Gheddafi che, dopo anni di isolamento internazionale per la sua responsabilità nelle stragi di Lockerbie del 1988 e dell'aereo Uta esploso nei cieli del Niger nel 1989, ha potuto riscattare una verginità politica grazie all'impegno dei governi italiani di sinistra e di destra.
Probabilmente oggi è maggiormente accentuata una connotazione dell'Italia al fianco di Siria, Iran, Hezbollah e Hamas. Non può non lasciare perplessi il fatto che la Farnesina non abbia né condannato il sanguinoso golpe militare di Hamas a Gaza né dato il suo appoggio al nuovo governo costituito dal presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen. Quindi se è vero che l'Italia perde il pelo ma non il vizio nel flirtare con stati spesso sponsor del terrorismo, teniamo però presente che oggi il nemico non sta solo al di là dei confini ma ce l'abbiamo fin dentro casa nostra.

www.corriere.it
http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=2&sez=120&id=20915

 

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