Riportiamo da CORRIERE della SERA del 21 aprile 2008 un equlibrato editoriale di Franco Venturini sull'agenda di politica estera che dovrà affrontare il nuovo governo italia[/img]no:[/b]

Fatta eccezione per un fine settimana di confusi litigi, la politica estera è rimasta tenacemente assente dalla campagna elettorale. Ma ora che le urne hanno parlato e che un nuovo governo è in rampa di lancio, le scelte internazionali ritroveranno obbligatoriamente il loro giusto rilievo. E Silvio Berlusconi, tornando per la terza volta a Palazzo Chigi, scoprirà che il mondo è cambiato almeno quanto lui vorrebbe cambiare l'Italia.

Riportiamo da CORRIERE della SERA del 21 aprile 2008 un equlibrato editoriale di Franco Venturini sull'agenda di politica estera che dovrà affrontare il nuovo governo italiano:

Fatta eccezione per un fine settimana di confusi litigi, la politica estera è rimasta tenacemente assente dalla campagna elettorale. Ma ora che le urne hanno parlato e che un nuovo governo è in rampa di lancio, le scelte internazionali ritroveranno obbligatoriamente il loro giusto rilievo. E Silvio Berlusconi, tornando per la terza volta a Palazzo Chigi, scoprirà che il mondo è cambiato almeno quanto lui vorrebbe cambiare l'Italia.
Erano chiari e forti, gli orientamenti dell'ultimo esecutivo di centrodestra. Identità con gli Stati Uniti esaltata dal caloroso rapporto personale tra Berlusconi e Bush. In Medio Oriente piena solidarietà con Israele. Intesa a prova di bomba con Vladimir Putin e buoni affari con la sua Russia. Relazioni meno facili con l'Europa, in particolare con il francese Chirac e il tedesco Schroeder.
Se questa è la base di partenza, ed è inevitabile che il prossimo presidente del Consiglio la consideri tale, c'è da sperare che sia già pronto un sollecito aggiornamento.
Negli Stati Uniti che votano a novembre non soltanto i due democratici in lotta per la nomination ma anche il repubblicano McCain, che pure è l'unico a voler restare in Iraq, annunciano una politica estera pragmatica e multilaterale ben diversa dall' idealismo armato (e a dir poco sfortunato) di George Bush. Per chi ha avuto sempre eccellenti rapporti con Washington si tratta di una promessa positiva, che potrebbe portare a un rilancio vero dell'alleanza euro-atlantica. Ma bisognerà saper andare oltre il calore personale (soprattutto venendo da quello con Bush), e non ci saranno più spaccature europee sulle quali far leva dal momento che Sarkozy e Merkel sono buoni amici dell'America. L'appoggio a Israele non è in discussione, né può esserlo proprio ora che su Gerusalemme pesano minacce molteplici (e moltiplicate — si pensi all'Iran — dalla guerra irachena). Ma in un «Grande Medio Oriente» molto più esplosivo di qualche anno fa, le sfide in atto richiederanno scelte più complesse di qualche anno fa. Può essere che a Washington tornino alla ribalta i suggerimenti della commissione Baker-Hamilton, che raccomandava di dialogare almeno con iraniani e siriani. Di sicuro la nuova amministrazione Usa ci chiederà più impegno in Afghanistan. E per accontentare gli Usa è possibile che Berlusconi renda più flessibile il nostro caveat sulla mobilità delle truppe. Ma se vorrà percorrere questa strada, il governo dovrà anche assumersi un onere non da poco: quello di rischiare perdite rilevanti nel caso i nostri militari fossero dislocati al sud.
Servirà una linea sulle ambizioni nucleari iraniane, tra sanzioni e ipotesi di intervento che non sono destinate a sparire. E servirà una chiarezza che finora non c'è stata sulle nostre forze in Libano.
Cosa intende Berlusconi quando parla di cambiamento delle regole di ingaggio? Se il riferimento è alla capacità di difendersi con le armi, essa esiste già. Se invece si tratta di superare le ambiguità del mandato Onu impegnandosi nel disarmo di Hezbollah (come auspica Israele), occorrerà parlarne con il Palazzo di Vetro e con gli alleati presenti sul campo.
E bisognerà assumersi, anche in questo caso, i rischi relativi.
Verso Putin i sentimenti di Berlusconi sono quelli di un tempo, come ha confermato l'incontro in Sardegna. E il Presidente del Consiglio in pectore non ha tutti i torti quando solidarizza con i timori geopolitici dell'amico russo. Ma, ammesso e non concesso che la diarchia Putin-Medvedev abbia vita lunga, Berlusconi non dovrà perdere di vista due elementi centrali: primo, quella russa è una pseudo democrazia e un leader occidentale deve ricordarlo non foss'altro che per difendere la propria identità (discorso analogo vale per la Cina e il Tibet); secondo, il Putin che ha fondati motivi per temere l'accerchiamento strategico occidentale sta attuando con l'altra mano l'accerchiamento energetico dell'Europa. E questo con il prezioso aiuto dell'Italia.
L'Europa? Amici e nemici di una volta non ci sono più. Qualcuno ipotizza un rapporto preferenziale con Sarkozy: bene, purché non a detrimento del più costante interlocutore tedesco. E del resto è in arrivo una Europa mutevole, che ha ritrovato le sue ambizioni ma deve rivedere i suoi equilibri, dove non esisteranno più poltrone riservate, dove conterà una credibile e sostenibile capacità di proposta.
Francia, Germania e Gran Bretagna sono protagonisti ineludibili. Si allargherà l'Olimpo a Italia, Spagna, Polonia?
Il mondo nuovo che attende Berlusconi dovrà giocare molte difficili partite: l'economia e l'energia, l'Iran, l'Afghanistan, la Russia e la Cina, il terrorismo che non scomparirà. Se l'Italia vuole esserci, la via migliore passa dall'appartenenza al gruppo-guida dell'Europa. E se almeno su questo ci sarà un accordo bipartisan, tanto meglio.
Le partite del futuro
Berlusconi dovrà giocare molte difficili partite: l'economia e l'energia, l'Iran, l'Afghanistan, la Russia e la Cina, il terrorismo

 

One Response to Le scelte della politica estera, indeludibili per il nuovo governo italiano

  1. Admin ha detto:

    La foto della bandiera è bellissima!!!!!!!!!

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