[b]Racconti shock dei soldati israeliani "Così a Gaza abbiamo ucciso civili"[/b]
Fonte:

[b]"Striscia di Gaza, i soldati israeliani riconoscono abusi sui civili palestinesi"[/b]
Fonte:

[b]LA RISPOSTA DI UGO VOLLI:

Un mix d'antisemitismo, islamismo e odio di sè nelle campagne contro Israele.[/b]
Fonte:moked.it[/link]

Spesso ci chiediamo perché Israele sia così odiato e ostracizzato, pur essendo un paese democratico, che si sforza di mantenere un atteggiamento etico anche nelle più difficili situazioni di guerra e conflitto col terrorismo, guidato e composto da persone civili e ragionevoli, come molti di noi sanno per esperienza diretta.
La risposta che ci diamo di solito spiega questo triste paradosso con l’antisemitismo, con quella subordinazione dell’Europa a una egemonia morale (a sua volta bisognosa di spiegazione) del Terzo mondo e in particolare dell’islamismo che molti, fra cui io stesso, amiamo denominare con la definizione sarcastica di Eurabia, infine con le campagne bene orchestrate delle relazioni pubbliche dei paesi arabi e dei loro mezzi di comunicazione, cui le nostre campagne di Hasbarà non saprebbero contrapporsi.
Tutto vero, anche se, lo ripeto, pure queste spiegazioni avrebbero bisogno di essere a loro volta spiegate. Ma c’è di più, c’è un’altra ragione molto sgradevole che va messa in conto, quella dell’odio che alcuni ebrei e israeliani nutrono contro se stessi e contro lo stato d'Israele o contro l’identità politica di una parte d’Israele che considerano tanto nemica da non badare a mezzi pur di danneggiarla.

In questi giorni abbiamo assistito a un caso di scuola di questo fenomeno di suicidio comunicativo. Tutti quelli che s’interessano anche vagamente di Medio Oriente hanno potuto leggere nei giorni scorsi le “rivelazioni” sul “comportamento criminoso” dei soldati israeliani nel corso della campagna di Gaza: la donna uccisa perché, interrogata e liberata le era stato detto di prendere la strada a destra e invece era andata a sinistra e un cecchino l’aveva uccisa, le case vandalizzate, la libertà di ammazzare e addirittura il piacere di farlo denunciato da certi soldati e così via.
Su queste rivelazioni sono usciti due articoli importanti, uno di Ethan Bronner dal New York Times e uno di Herb Keinon sul Jerusalem post. Ne risulta quanto segue. La fonte giornalistica di queste “rivelazioni” è un articolo di Haaretz; non vi è stata finora nessuna inchiesta o atto giudiziario sull’argomento, perché l’uscita giornalistica è stata contemporanea alla denuncia. Haaretz, il cui ruolo generale nella diffamazione internazionale d’Israele è centrale, per il suo atteggiamento ideologico ma anche grazie al fatto di avere un’edizione inglese sia cartacea che sul web, non ha fatto alcuna verifica sui fatti, ma ha semplicemente riportato una denuncia che le è stata fatta pervenire sottobanco prima che ci fosse tempo per ogni accertamento; il giornale ha anche reso impossibile le verifiche di altri modificando nomi, date, riferimenti geografici e alle unità d’appartenenza “per proteggere i soldati” (proteggere da che, visto che i loro nomi stanno nella denuncia alle autorità militari?). Per Haaretz Israele è terra di mafia? Infine, altro punto importantissimo: i soldati denuncianti non hanno mai parlato di cose fatte da loro o che hanno visto con i loro occhi, ma solo di eventi di cui hanno sentito dire.

La fonte di Haaretz, che secondo il New York Times “ha sollecitato” (notate il “sollecitato”) e “comunicato sottobanco [leaked] le informazioni al giornale” è un ex ufficiale che dirige una scuola di preparazione premilitare, “istituto affiliato all’ala sinistra del movimento dei Kibbutz” Questo personaggio così “desideroso [eager] di dar rilievo alle accuse” si chiama Dany Zamir, è un ex ufficiale la cui uscita dall’esercito è in relazione secondo il Jerusalem post con una sua condanna a 28 giorni di carcere nel 1990 per aver rifiutato di obbedire agli ordini dei suoi superiori. Va detto che l’ordine non era di ammazzare bambini palestinesi o di torturare prigionieri ma di “fare la guardia durante una cerimonia in cui dei rotoli della Torah venivano portati nella Tomba di Giuseppe a Nablus”. L’articolo del Jerusalem post riporta alcune frasi del suo intervento in un libro pubblicato nel 2004, “Refusnik, Israel’s soldiers of coscience”, con prefazione di Susan Sontag, che vale la pena di riportare qui: “Con la stupida decisione e il compiacimento di chi sa tutto, religiosi primitivi e sfrenati nazionalisti ci stanno portando al disastro […] Io vedo un vulcano in una terra in cui un terzo degli abitanti sono impediti di votare, a causa della loro origine etnica o nazionale o della loro collocazione geografica, privati dei lori fondamentali diritti civili […] sottoposti a una farsesca giustizia militare, […] non un paese democratico. Di conseguenza è illegittima ingiusta e immorale ogni collaborazione con un regime o governo che mi ordina di essere parte di un apparato antidemocratico diretto verso l’autodistruzione, la disintegrazione e il decadimento nazionale”.

Insomma, chi ha “sollecitato” e diffuso queste “testimonianze”, peraltro indirette, a carico di altri soldati considerati “nazionalisti religiosi” è un fanatico che rifiuta la legittimità d’Israele, non un “direttore di un’Accademia militare israeliana” come hanno scritto i giornali europei. E’ una persona accecata da odio ideologico che rifiuta la legittimità dello stato per cui lavora (immaginiamo debitamente pagato) a preparare i soldati. Le “testimonianze” che riporta sono altamente sospette non solo perché indirette (“ho sentito raccontare che” non è una prova in alcun tribunale civile), ma anche perché fatte da persone, i soldati allievi di Zamir, ideologizzate come lui e impegnate in un conflitto politico.
Questo episodio va inquadrato, infatti, come suggerisce il New York Times in una “lotta per il controllo dell’esercito” fra ambienti laici e di sinistra e ambienti nazionalisti religiosi che contribuiscono oggi in maniera notevole alla sua leva. In sostanza si tratta di maldicenza politica, che naturalmente è stata enfatizzata con gioia dalla stampa internazionale, per le altre ragioni di odio a Israele citate all’inizio. Non si tratta affatto di un caso isolato.

In questi giorni ha ricominciato a parlare dei “crimini commessi a Gaza” Richard Falk, “rappresentante speciale” della commissione Onu sui diritti umani (quella presieduta dalla Libia), cui fu impedito l’accesso all’aeroporto Ben Gurion a dicembre in quanto nemico d’Israele. Per chi non lo sapesse, Falk è un ebreo americano, che ha deciso di concludere la propria carriera di professore di diritto assumendosi il ruolo di accusatore internazionale di Israele. La causa di tanto accanimento non è chiara. Odio di sé? Limpido ideale di giustizia che supera ogni meschina considerazione di opportunità e di appartenenza? Fate voi. L’articolo del “Jerusalem Post” cita un vecchio proverbio ebraico: “Quando tutto il mondo ce l’ha con noi, tanto vale unirsi al coro”.
E’ chiaro che la libertà di parola mai negata anche a persone come Zamir e di giornali come Haaretz, esattamente come l’istituzione di tribunali e di commissioni d’inchiesta per verificare le loro denunce, l’attività straordinariamente indipendente della Corte Suprema (un vero e proprio contropotere politico schierato contro qualunque abuso delle autorità), l’esistenza di partiti antisionisti e arabi, fa parte dei preziosi caratteri che rendono Israele una delle più compiute del mondo e l’esatto opposto delle torbide dittature che riempiono il Medio Oriente e il mondo islamico. Ma parlando di queste cose noi dobbiamo sapere che le fonti di buona parte delle campagne d'odio contro Israele sono gli Zamir israeliani, americani (e da noi anche italiani).

[b]Ugo Volli [/b]

[b]Racconti shock dei soldati israeliani "Così a Gaza abbiamo ucciso civili"[/b]
Fonte:

[b]"Striscia di Gaza, i soldati israeliani riconoscono abusi sui civili palestinesi"
E il ministero della Difesa apre un'inchiesta
dal nostro corrispondente ALBERTO STABILE[/b]

GERUSALEMME – Eccoli i racconti di guerra, l'ultima, combattuta per tre settimane nella Striscia di Gaza. Racconti che non si vorrebbero mai sentire. Perché non soltanto non c'è niente di eroico, ma c'è molto di raccapricciante e di moralmente rivoltante, in un tiratore scelto che spara su una madre e i suoi due bambini che hanno sbagliato strada, perché così vogliono le regole d'ingaggio, o in un soldato che fa fuoco su una vecchia che cammina smarrita, o su altri giovani in divisa che abusano della loro forza per danneggiare, deturpare, offendere una popolazione civile palestinese che, in fin dei conti, viene considerata tutt'uno con il nemico combattente.

Questo e molto altro ancora lo si è appreso non dalla propaganda palestinese, ma dai racconti dei diretti interessati, decine di allievi dell'accademia Yitzhak Rabin, convenuti lo scorso 13 febbraio per discutere le loro esperienze nell'ambito dell'Operazione "Piombo fuso". Racconti duri, pesanti come macigni, capaci creare molto imbarazzo ai vertici delle forze armate. Al punto che il procuratore militare, quasi a voler bilanciare l'inevitabile scalpore con un gesto rassicurante, ha deciso di rendere pubblica la decisione di aprire un'inchiesta.

È stato Haaretz a svelare i contenuti di quella riunione. Ma il merito di aver fatto scattare l'allarme su tutto ciò che queste testimonianze implicano, va al direttore del programma pre-militare dell'accademia, Danny Zamir, che, sentiti i resoconti fatti dai giovani ma già esperti allievi, s'è rivolto direttamente al Capo di Stato maggiore, Gaby Ashkenazy.

"C'era un casa con dentro una famiglia – ricorda il comandante di una piccola unità di fanteria – . Ordinammo alla famiglia di stare tutti in una stanza. Poi ce ne andammo e arrivò un nuovo plotone. Dopo alcuni giorni venne l'ordine di rilasciare la famiglia. Avevamo messo un tiratore scelto sul tetto. Il comandante rilasciò la famiglia, dicendo loro di andare verso destra, ma dimenticò di avvertire il tiratore scelto che quella gente veniva liberata e che era tutto ok, e non avrebbe dovuto sparare". Anziché a destra, la madre coi due figli prende a sinistra. Il cecchino li vede avvicinarsi alla linea che, secondo quanto gli era stato detto, nessuno avrebbe dovuto oltrepassare. Così "ha sparato subito, uccidendoli".

"Non credo – continua la testimonianza – che si sia sentito troppo male. L'atmosfera generale, da quello che ho capito parlando coi miei uomini, era, come dire, che le vite dei palestinesi sono molto, molto meno importanti delle vite dei nostri soldati".

Regole d'ingaggio assai elastiche, "disprezzo sfrenato", culto della forza fisica, il pregiudizio che "i palestinesi sono tutti terroristi", questa la miscela esplosiva che ha portato agli eccessi che le organizzazioni umanitarie hanno denunciato come crimini di guerra. Un'accusa che Israele ha respinto, ribattendo che le perdite tra i civili palestinesi sono state causate dal fatto che i miliziani di Hamas si facevano scudo della popolazione che affolla i centri abitati, nel cuore dei quali, però, l'esercito israeliano non ha esitato ad adoperare una potenza devastante.

Qui tuttavia non si parla né di bombe al fosforo né di altri micidiali ordigni sconosciuti. Si parla, per quanto possa sembrare fuori logo trattandosi di una guerra, di morale. Non è un caso che il ministro della Difesa, Ehud Barak, si sia precipitato a ribadire che l'esercito israeliano "è la forza armata più morale che esista al mondo". Aggiungendo che, al massimo, quelli da chiarire sono "episodi individuali".

Non la pensano così, invece, i protagonisti dei racconti. A parte alcuni casi di fuoco senza avvertimento contro civili, un comandante descrive alcuni episodi di vandalismo. "Scrivere "morte agli arabi" sui muri (delle case occupate), prendere le foto di famiglia e sputare su di esse soltanto perché lo puoi fare, credo che questa sia la cosa più importante per capire quanto le forze armate israeliane siano precipitate sul piano della morale".
(20 marzo 2009)

[b]LA STAMPA[/b]

[b]Striscia di Gaza, i soldati israeliani riconoscono abusi sui civili palestinesi

Il quotidiano "Haaretz" ha raccolto
le testimonianze choc dei militari
che hanno partecipato al conflitto[/b]

GERUSALEMME

Una madre palestinese con i suoi due bambini è stata uccisa da un cecchino israeliano per aver capito male l’ordine di un soldato. Il tragico fatto è stato raccontato in una delle testimonianze di soldati che hanno partecipato ai 22 giorni dell’operazione militare «Piombo fuso» nella Striscia di Gaza, raccolte dal quotidiano israeliano Haaretz. Secondo il giornale, diversi soldati israeliani hanno ucciso civili nell’ambito di «permissive» regole d’ingaggio, distruggendo intenzionalmente i loro beni.

Le testimonianze di diversi soldati di fanteria e piloti da combattimento sono state raccolte durante una discussione fra i partecipanti al corso d’addestramento Yitzhak Rabin dell’accademia di Oranim. Il capo di una squadra di fanteria ha raccontato che il suo plotone aveva occupato una casa abitata da una famiglia, i cui componenti sono stati chiusi in una stanza. Successivamente è subentrato un altro plotone, che aveva piazzato un cecchino sul tetto, e dopo qualche giorno è stato deciso di rilasciare i civili. «Il comandante del plotone -ha raccontato il soldato- ha lasciato andare la famiglia dicendo loro di dirigersi verso destra. Una madre con i suoi due bambini non ha capito ed è andata a sinistra. Il cecchino non era stato avvertito…. ha visto la donna e i bambini che si avvicinavano, verso una linea che nessuno doveva oltrepassare. Ha sparato e alla fine li ha uccisi».

Il testimone ha detto di ritenere che il cecchino non si sia sentito in colpa perchè «per quanto lo riguardava, aveva fatto il suo lavoro secondo gli ordini ricevuti». «L’atmosfera in generale, da quanto ho capito dai miei uomini con cui ho parlato- ha proseguito- non so come descriverla… le vite dei palestinesi, erano qualcosa di molto, molto meno importante delle vite dei nostri soldati».

Fra gli altri fatti riportati c’è anche l’ordine di un capo compagnia di sparare contro un’anziana donna che si stava avvicinando ad una casa occupata e ucciderla. Il responsabile del corso Rabin, Danny Zamir, dopo aver udito i racconti dei soldati, ha avvertito i vertici militari dei suoi timori di un «grave fallimento morale» da parte dell’esercito. In seguito ha avuto un colloquio con il generale Eli Shermeister, responsabile dello sviluppo dei valori morali e nazionali delle truppe, il quale ha deciso d’indagare a fondo sulla vicenda. Un portavoce militare ha dichiarato che vi sarà «una verifica della veridicità dei fatti e un’inchiesta».

 

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