Le recenti parashot settimanali con gli incontri fra i due fratelli, Yaakov ed Esav, hanno offerto l’occasione al rav Shear Yashuv Cohen di trattare il problema del dialogo interreligioso, nel numero 274 di Hashabbat Zohar, opuscolo settimanale dei rabbini che fanno capo al movimento Zohar.
Il rav Cohen (1927) sembra particolarmente adatto a trattare del problema.

E’ figlio del rav David Cohen (1887-1972) conosciuto con il soprannome di Harav Hanazir, è rabbino capo ashkenazita di Haifa e membro del consiglio del Rabbinato centrale israeliano. In tale veste è responsabile al dialogo con il cristianesimo e l’Islam. Il rav Cohen ha studiato anche giurisprudenza e sua moglie, Naomi, ha insegnato letteratura greca all’Università.

Spiega dunque il rav Cohen che il problema è quello di saper conciliare fra le due esigenze: quella di dialogare, di conoscersi, di agire per conseguire la pace da un lato, e quella di assicurare che non venga leso assolutamente neppure uno dei principi della nostra Torah, come diciamo nella Havdalah di Mozae Shabbat. In altre parole dobbiamo sapere bene quali sono i confini fra unicità e meta. L’unicità viene a sottolineare la differenza fra le vie della Torah e quelle delle altre religioni, mentre la meta ci fa aspirare di poter arrivare al giorno in cui tutti i popoli invocheranno il Nome del Sign-re. Questa vocazione fa parte della mitzvah del Kiddush Hashem, consacrazione del Nome, che avverrà davanti a tutti i popoli come parte del processo di redenzione, secondo la visione del Profeta Isaia (2:2-3): “E avverrà alla fine dei giorni che il monte della casa del Sign-re si ergerà sopra la sommità dei monti, e sarà elevato più dei colli e ad esso affluiranno tutte le nanazioni. Andranno molti popoli e diranno: ‘Venite che saliremo sul monte del Sign-re, alla casa del D-o di Giacobbe, affinché Egli ci ammaestri sulle Sue vie, affinché procediamo nei Suoi sentieri’ ché da Sion uscirà l’insegnamento e la parola del Sign-re da Gerusalemme”.

Proprio noi che abitiamo in Erez Israel possiamo avvertire il profondo cambiamento nei confronti degli ebrei e della religione di Israele che si è prodotto in alcuni dei leader religiosi, in particolare fra i capi della Chiesa cattolica, per quanto riguarda il loro rapporto verso lo Stato d’Israele e l’Ebraismo. Noi vorremmo credere di essere ormai arrivati “alla fine dei giorni” e con questa profonda speranza ci accingiamo al dialogo interreligioso, senza complessi di inferiorità e senza timore della missione.
Sia il cristianesimo sia l’Islam si considerano parte del “partito di Abramo” e definiscono le tre religioni monoteiste, l’ebraismo, il cristianesimo e l’Islam, come religioni “abramite” vedendo nel nostro padre Avraham il fondatore della fede nel D-o uno e il padre di tutti i credenti, ebrei, cristiani, musulmani. Abbiamo una riserva di principio nei confronti del cristianesimo, che parla del shituf (credenza che altri esseri siano associati a D-o) e della trinità, che si oppongono ai nostri principi
fondamentali. Con l’Islam abbiamo il problema della profezia di Maometto, che loro vedono “profeta di D-o” e fondamento della loro religione dato che per loro “non vi è Allah senza Allah e Maometto profeta di Allah”. Ciò nonostante sia il cristianesimo, sia l’Islam respingono l’idolatria ed accettano l’Unità. Noi siamo stati comandati ad osservare l’Unità sul Sinai (“Non avrai altri dei al Mio cospetto”) e abbiamo accettato su di noi il giogo del regno dei cieli, come diciamo due volte al giorno: “Shema Israel, il Sign-re è nostro D-o il Sign-re è uno”. Ogni nostro dialogo, con ebrei o membri di altri popoli, deve essere basato sulla profonda comprensione dell’Unità divina e dei principi della fede: non è ammissibile pensare ad un benché minimo compromesso in questo campo. È proprio basandoci sull’Unità divina che possiamo accingerci a parlare con ogni uomo creato ad immagine divina, con amore, dignità e in generale con atteggiamento umano.
Inoltre i dialoghi con uomini religiosi cristiani e musulmani sono oggi anche per il bene dello Stato di Israele e degli ebrei del mondo in generale. Di fronte all’antisemitismo in continua espansione, la presenza di un “dialogo interreligioso per la pace”, sia con cristiani, sia con musulmani, è assai importante. È un dialogo che deve svolgersi con prudenza e con osservanza di alcune regole come ad esempio quella di evitare ogni discussione o esame su “principi della fede” sui quali siamo divisi, o evitare ogni tentativo di convincere gli altri della verità della nostra via e dei principi della fede e certamente bisogna respingere ogni tentativo in questo senso dell’altra parte.

Possiamo dire che condizione necessaria per ogni dialogo è quella del rispetto reciproco senza discussione o tentativo di “persuasione” da nessuna parte.
Ed allora di cosa parleremo?
Parleremo in particolare dei principi comuni come quello della santità della vita, l’evitare lo spargimento di sangue e il suicidio. Sottolineeremo l’importanza della modestia anche nel vestire, della dignità della donna e quella dell’uomo.
Sottolineeremo l’importanza della diffusione dello spirito religioso e della consapevolezza che non tutto deve essere considerato permesso e l’importanza delle opere di carità e misericordia verso ogni uomo, compresa la salvezza di vite umane e dei beni del prossimo; promuoveremo i valori della pace e l’evitare guerre fra popoli e stati nel mondo.
Il rav Cohen termina il suo articolo con una preghiera al Sign-re perché lo aiuti a percorrere una strada giusta senza cadere in inciampi, e permetta di santificare il Suo nome in Israele e nel mondo.

[b]Alfredo Mordechai Rabello, giurista, Università Ebraica di Gerusalemme[/b]

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