[b]25.03.2010 Ecco per quali motivi Netanyahu terrà duro su Gerusalemme
Commenti di Piera Prister, R. A. Segre. Non-cronaca di Ugo Tramballi

Testata:Informazione Corretta – Il Giornale – Il Sole 24 Ore
Autore: Piera Prister – R. A. Segre – Ugo Tramballi
Titolo: «Il prossimo anno a Gerusalemme – Crisi tra Israele e Usa Netanyahu non cederà: ecco i suoi dieci motivi – Obama non smuove Netanyahu»[/b]

Riportiamo dal GIORNALE 25/03/2010, a pag. 16, il commento di R. A. Segre dal titolo " Crisi tra Israele e Usa Netanyahu non cederà: ecco i suoi dieci motivi ".
Dal SOLE 24 ORE, a pag. 8, l'articolo di Ugo Tramballi dal titolo "Obama non smuove Netanyahu", preceduto dal nostro commento.
Pubblichiamo il commento di Piera Prister dal titolo " Il prossimo anno a Gerusalemme ". Ecco i pezzi:

[b]INFORMAZIONE CORRETTA – Piera Prister : "Il prossimo anno a Gerusalemme"

Gerusalemme[/b]

Gerusalemme non e´ soltanto la capitale ma e´ il cuore di Israele.
"Gerusalemme e´ la capitale una e indivisibile di Israele, non e´ un
territorio occupato, e noi continueremo a costruirvi le case come da
sempre abbiamo fatto da tremila anni". Cosi´ ha detto il premier
Netanyahu nella sua visita a Washington e ogni mezz´ora le sue parole
come una musica sono risuonate nei giornali radio.

Incredibile, Hillary Clinton all´AIPAC ha ricevuto ovazioni, nessun
gelo, nessun fischio ma solo un caloroso saluto di accoglienza. Quando
poi ha detto con sua solita retorica che l´amicizia fra Israele e gli
Stati Uniti e´ solida come una roccia, tutti sono trasaliti in un
brodo di giuggiole. Ha citato anche il soldato Shalit che dovrebbe
essere rilasciato ma non ha posto nessuna precondizione al suo
rilascio, nessuna pressione in cambio dei milioni di dollari che ogni
anno vanno alla cosiddetta causa palestinese. Ha anche aggiunto
erroneamente che Hamas non avrebbe dovuto intitolare una piazza a dei
terroristi quando invece non e´ Hamas ma Abu Mazen che ha autorizzato
quell´intitolazione a Ramallah. Quando parlano Obama e Hillary,
dovremmo turarci le orecchie con la cera tanto il loro canto e´
ingannevolmente falso e lusinghiero. Questi vogliono dividere
Gerusalemme, una capitale per gli Ebrei e una capitale per i
Palestinesi.

Per gli ebrei della diaspora da millenni Gerusalemme ha sempre
segnato la direzione del ritorno al sospirato porto di Sion in cui
finalmente tirare i remi.
Come una stella li ha guidati nei gorghi piu´ scuri e perigliosi
verso la bonaccia; come la speranza li ha mantenuti in vita anche
dopo aver colmato fiasche di lacrime amare; o quando erano prossimi
alla morte che non sarebbe piu´ stata ormai cosi´ crudele.
Gerusalemme e´ stata da sempre nel Libro e nelle loro preghiere, nei
Salmi e nei loro commiati. " Il prossimo anno a Gerusalemme", cosi´ da
millenni si salutano e si rincuorano con gli amici e parenti a Pesach.
A Gerusalemme, li´ al Muro del Pianto c´e´ sempre un soldato che prega
in una pausa dalle brutture della guerra.

Gerusalemme e´ sempre presente nella sua identita´ ebraica anche nelle
opere dei grandi pittori del Rinascimento.
Nella stanza di Eliodoro di Raffaello c´e´ un Angelo che altri non
e´ che Giuda Maccabeo che scaccia Eliodoro dal Tempio Maggiore di
Gerusalemme perche´ voleva ellenizzarlo. E in Piero della Francesca
l´incontro fra Salomone e la regina di Saba avviene nello sfondo di
Gerusalemme e sempre a Gerusalemme, il poeta del Cantico dei Cantici,
Salomone ha scritto i piu´ alti versi d´amore… E cosi' si
seguita in migliaia e migliaia di riferimenti a Gerusalemme che sono
parte sostanziale della nostra civilta' e della nostra cultura.

Ma ora si sono messi in testa di dividere Gerusalemme in due capitali.
Tanto per loro, chi se ne cale, non e´ Washington e non e´ nessuna
altra capitale o citta´: vogliono disinvoltamente disporre dell´altrui
proprieta´ e protervamente far da padroni in casa d´altri! Ma Obama e
& devono pure ammansire i nemici e dargli in pasto Gerusalemme ora che
Khamenei e Ahmadinejad cavalcano la bomba nucleare e minacciano il
mondo civilizzato che ha paura e e che preferisce o meglio e´
costretto ad indossare il burqua e soggiacere alla Sharia.
Perche´ c´e´ qualcosa che non quadra nella reazione maldestra e
spropositata all´espansione abitativa a Gerusalemme di Obama e dei
suoi due portavoce, Clinton e Biden. Questi latrano solo ad Israele e
sono invece servili, tutti inchini e veli davanti ai signori del
petrolio.
In verita´ c´e´ qualcosa di irrisolto con la capitale dello stato
ebraico che risale indietro quando era presidente Bill Clinton.
Malgrado il Congresso americano a larga maggioranza avesse votato nel
1995 l´Embassy Act ossia il trasferimento dell´ambasciata americana
da Tel-Aviv a Gerusalemme, Bill Clinton s´era ben guardato dal
sottoscriverlo, oppose il veto e si rifiuto´ di firmarlo perche´ non
si sa quali patteggiamenti avesse intavolato con Arafat, quel
bugiardone di premio Nobel per la pace, nato a Il Cairo ma che aveva
sempre dichiarato d´essere nato a Gerusalemme su cui aveva posto i
suoi cupidi occhi. La voleva come capitale del costituendo stato
palestinese. Ora Obama e la Clinton hanno richiamato la pubblica
attenzione proprio su Gerusalemme e guardacaso suo marito Bill era
presidente degli Stati Uniti quando Netanyahu era il primo ministro
di Israele nel suo primo mandato.

Nel luglio del 1996 Netanyahu fece un discorso di un´ora a Washington
nel Congresso americano in difesa di Gerusalemme capitale una ed
indivisibile dello stato di Israele, finalmente in pace dal 1967
sotto la sovranita´ israeliana, dove le tre grandi religioni
monoteistiche possono coesistere nei loro rispettivi luoghi di culto.
Aveva ricordato di quando era solo un ragazzo e aveva visto la
citta´ di Gerusalemme contesa e divisa in parti dal filo spinato,
disse che "quelle spine di reticolato erano penetrate profonde nel suo
cuore" e aveva aggiunto: "There will never be such a re-division of
Jerusalem. Never." E tutti i membri del Congresso balzarono in piedi
applaudendolo in un lungo applauso". Grande Netanyahu! Per noi, ma
non per Bill Clinton a cui non piaceva, tanto che fece del tutto per
farlo cadere con il suo primo governo che duro´ dal 1996 al 1999. Ed
ora e´ proprio Hillary Clinton, sua moglie, che lo ha attaccato e ha
rincarato la dose. Ma Netanyahu e´ ritornato a Washington piu´ forte
e con accresciuta maesta´ perche´ vuole vincere la battaglia su
Gerusalemme e per Israele.

[b]Il GIORNALE – R. A. Segre : " Crisi tra Israele e Usa Netanyahu non cederà: ecco i suoi dieci motivi "

R. A. Segre[/b]

Dopo tre ore trascorse alla Casa Bianca di cui una e mezza a quattr’occhi col Presidente Obama la crisi provocata dalla decisione di Netanyahu di continuare a costruire alloggi alla periferia di Gerusalemme Est (e in una casa di antica proprietà ebraica nel quartiere arabo di Sheik Jerrah dove nel 1947 i palestinesi sterminarono sotto gli occhi degli inglesi un convoglio medico ebraico) resta insoluta e grave.

Non è la prima e la peggiore fra i due Paesi perché avviene in condizioni differenti dalle precedenti. Ad esempio non è l'ultimatum dato da Eisenhower a Ben Gurion del 1956 di ritirarsi dall'Egitto; non è la «revisione» dei rapporti minacciata da Kissinger nel 1975 che obbligò Rabin a evacuare il Sinai; non è neppure la minaccia di cancellare la copertura dei crediti nel 1991 se non fosse mutata l'occupazione della Palestina. È una crisi fastidiosa per ambo le parti che l'incontro di martedì pomeriggio fra Obama e Netanyahu ha aggravato, sia per la difficoltà reciproca di salvare la faccia sia perché gli americani non credono alla buona fede del premier israeliano.
Vediamo dieci ragioni per cui Netanyahu manterrà una linea di «schiena diritta» nei confronti della Casa Bianca.
INSOSTITUIBILE
Per Obama ha dimostrato incompetenza e debolezza nella guida del carrozzone indisciplinato della sua coalizione governativa e resta debole ma, al momento, non c'è nessuno che possa sostituirlo. Netanyahu non sembra particolarmente turbato anche se l'opposizione in Israele grida al disastro.
VOLONTÀ DI COSTRUIRE
È convinto del buon diritto di costruire a Gerusalemme, come hanno fatto tutti i suoi predecessori dal 1967, fuori dalle zone urbane arabe.
RAGIONI DI POLITICA INTERNA
Opponendosi a Obama si rinforza all'interno del governo, anche se non necessariamente all'interno del Paese, che teme lo scontro con l'America.
UN MODO PER «SMARCARSI» DA WASHINGTON
La crisi gli dà visibilità internazionale, dimostra che Israele non è un «servo dell'imperialismo americano», vanifica l'accusa dei liberal statunitensi di essere «la coda che fa muovere il cane americano», responsabile degli errori di Bush.
SIMPATIA DELL’OPINIONE PUBBLICA AMERICANA
Sa che, per il momento, 8 americani su 10 simpatizzano per Israele, di disporre di largo sostegno al Congresso e al Senato dove Obama ha ancora bisogno dei voti degli amici di Israele in vista delle prossime elezioni di «mid term» e per l'approvazione di altre grandi riforme: quella delle banche e di Wall Street, delle infrastrutture di comunicazione, dell'educazione.
SCETTICISMO SULL’INFLUENZA DELLA CASA BIANCA SUGLI ARABI
Netanyahu – e con lui tutto Israele – non crede che Obama sia in grado di strappare qualsiasi concessione araba nei confronti di Israele.
È FINITA L’EPOCA DEI REGALI
Dopo l’evacuazione di Gaza, trasformata in base di attacco da Hamas, non intende più cedere senza ricevere.
DEBOLEZZA DI ABU MAZEN
È convinto che Abu Mazen sia obbligato a massimizzare le richieste nei confronti di Israele, perché è alla testa di un Olp ideologicamente e militarmente più debole di quello di Arafat e con il 40% dei palestinesi sotto controllo dell'avversario Hamas.
FRAGILITÀ DELL’AMERICA
Soprattutto non crede più all'America come superpotenza, convinto della sua fragilità economica, morale e politica. Non teme punizioni economiche americane o europee grazie alla nuova solidità finanziaria e – nel prossimo futuro – energetica del Paese grazie alla scoperta e al rapido sfruttamento dei depositi sottomarini di gas di fronte a Haifa.
INTERDIPENDENZA E NUOVI EQUILIBRI
È convinto del bisogno che Washington ha della collaborazione di Israele nella crisi con l’Iran, e allo stesso tempo cerca di spostare il più rapidamente possibile il baricentro politico israeliano verso est, con una più stretta collaborazione con la Russia e la Cina.
Avendo compreso e ammesso la necessità di Israele di convivere con uno Stato palestinese, non abbandonerà questa posizione nonostante la pressione dei coloni. La sua strategia è ora quella di guadagnar tempo e di raggiungere coi palestinesi uno stato di prolungato armistizio. Che in fondo è quello che Hamas – di cui gli israeliani hanno molto più rispetto di al-Fatah di Abu Mazen – propone.

[b]Il SOLE 24 ORE – Ugo Tramballi : " Obama non smuove Netanyahu "[/b]

Quella di Tramballi, proprio come quella di Paolo Valentino sul Corriere della Sera (che non riportiamo) è una non-cronaca, dal momento che, non essendoci state conferenze stampa dopo l'incotro tra Netanyahu e Obama, non è possibile stabilire con precisione il contenuto dei loro discorsi.
Tramballi commenta con queste parole la visita di Netanyahu a Washington : " Quel che vuole è un negoziato acefalo per guadagnare il tempo che un presidente americano politicamente rinfrancato non ha più ".
Se a Netanyahu non interessasse far ripartire i negoziati, sarebbe rimasto a Gerusalemme. Invece è partito per Washington, per incontrare Obama.
Sul fatto che non cederà sulla costruzione di case a Gerusalemme, non c'è niente di strano. Per due motivi: il primo è che Gerusalemme è una città israeliana e la decisione di costruirci nuove case o meno non spetta agli Stati Uniti, il secondo è che da subito Netanyahu non aveva incluso Gerusalemme nel congelamento degli insediamenti promesso (e mantenuto) per 10 mesi.
Quel che vuole Netanyahu è risolvere i problemi con il suo principale alleato in Occidente e raggiungere la pace con gli arabi. Quel che vuole Tramballi, invece, è disinformare i lettori su ciò che riguarda Israele e i suoi rapporti con i palestinesi.
Che cosa ne pensa Gianni Riotta, direttore del Sole 24 Ore, del suo inviato in Medio Oriente?
Ecco l'articolo:

[b]Ugo Tramballi[/b]

Mai appuntamento tanto preannunciato è riuscito a restare tanto segreto, per dirla alla Winston Churchill. Barack Obama e Bibi Netanyahu si incontrano faccia a faccia per due volte, nella notte i consiglieri continuano la discussione, il premier israeliano resta a Washington per un'altra giornata.Ma il nodo non si scioglie: gli americani vogliono congelare gli insediamenti ebraici nella Gerusalemme araba. È necessario per riprendere il negoziato con i palestinesi. Bibi risponde che pretenderlo congelerà il negoziato per un anno. Si tratta per un compromesso difficile.
«Non penso che le pressioni americane cambieranno la posizione israeliana. Non subito», commenta Gassan Khatib, il portavoce del governo palestinese di Salam Fayyad. Per quanto lontani, qui a Ramallah, i palestinesi sono osservatori più che interessati di ciò che accade a Washington. L'ufficio di Khatib è nuovo, è una delle istituzioni che Fayyad sta creando nel suo programma di edificazione di uno stato, nell'attesa che ci siano le condizioni politiche per proclamarlo.
«Prima o poi lo scontro con gli Usa preoccuperà l'opinione pubblica israeliana ma ci vorrà tempo», aggiunge Khatib. «Noi non abbiamo niente da dire. Creare lo stato ci sembra più costruttivo di una protesta verbale».
Ma la Palestina non c'è né si vede all'orizzonte. Martedì sera Obama e Netanyahu si erano incontrati per 90 minuti. Poi Bibi aveva chiesto tempo per consultarsi con i suoi consiglieri in attesa nella Roosevelt room, non lontano dallo studio ovale. Quindi altri 35 minuti faccia a faccia con Obama senza che ne uscisse nulla di buono. Non lo dice nessun comunicato perché non ci sono stati comunicati, foto ufficiali, inni nazionali né conferenze stampa.È l'assenza di tutto questo, un caso unico in un vertice fra due capi di governo, che spiega il fallimento dell'incontro.
Obama, come avevano già detto prima Hillary Clinton e il vicepresidente Joe Biden, vuole che Israele congeli gli insediamenti. Erano rimasti tutti «irritati » per l'ultima dichiarazione di Netanyahu prima d'incontrare l'intero vertice Usa: costruire a Gerusalemme è come farlo a Tel Aviv.
È la realizzazione pratica di questa dichiarazione la notizia arrivata a Washington mentre Netanyahu stava per incontrare Obama: l'ormai noto comitato edilizio del comune di Gerusalemme aveva dato ai coloni il via libera per altri 20 appartamenti nel vecchio hotel Shepherd, un antico simbolo della lotta per la conquista della città. In realtà si è affannato a precisare il comitato – il via libera era un atto tecnico poiché i coloni avevano pagato gli oneri di urbanizzazione previsti dalla legge. «Sfortunatamente – precisa Yair Gabai del comune di Gerusalemme- dalla visita di Biden tutte le sessioni del comitato edilizio sono state sospese fino a nuovo ordine».
Ma la burocrazia creata dalle leggi a favore dei coloni è un meccanismo insensibile agli umori umani: Irwing Moskovitz, il miliardario americano ultranazionalista e proprietario dello Shepherd, potrebbe incominciare i lavori anche domani. Le case di Gerusalemme est sono solo l'aspetto più noto del solco che divide Usa e Israele. «Lo status di Gerusalemme lo deciderà il negoziato diretto fra israeliani e palestinesi», dice Philip Cowley, portavoce di Hillary Clinton. Il nocciolo del problema è appunto «lo status finale »: di cosa si deve trattare per arrivare a un accordo entro 24 mesi. Gli Usa vogliono che si parli anche di frontiere, sicurezza, rifugiati. Il problema di Netanyahu è salvare un governo nazionalista contrario a uno stato palestinese. Quel che vuole è un negoziato acefalo per guadagnare il tempo che un presidente americano politicamente rinfrancato non ha più.

 

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