Testata: Informazione Corretta Data: 25 novembre 2012  Autore: Ugo Volli.

Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli.
Cari amici,

devo confessarvelo, anch’io, come credo parecchi fra voi, sono rimasto molto deluso alla notizia della firma della tregua fra Israele e Hamas quattro giorni fa. Speravo, fortemente speravo, in un’azione militare capace di  spazzar via finalmente quell’obbrobrio sanguinario che è il dominio di Hamas su Gaza, con i suoi continui bombardamenti sul territorio israeliano, ma anche con le torture inflitte alla popolazione (un esempio particolarmente disgustoso è qui: https://fbcdn-sphotos-h-a.akamaihd.net/hphotos-ak-prn1/c219.0.403.403/p403x403/63857_4870810177142_778807471_n.jpg), esecuzioni sommarie pubbliche (ancora più orribile: https://fbcdn-sphotos-b-a.akamaihd.net/hphotos-ak-snc6/c102.0.403.403/p403x403/263541_227452207385867_517495250_n.jpg) Non che io ami la guerra, tutt’altro; ma pensavo e continuo a pensare che solo la continuazione dell’azione militare potesse risolvere una situazione intollerabile come quella provocata da Hamas. Avevo anche l’impressione che Israele avesse vinto la parte militare dell’operazione, ma avesse perso quella diplomatica, essendo stato costretto a trattare con Hamas e non avendo ottenuto dal nemico risultati essenziali come l’impegno a non contrabbandare più razzi nella striscia, ma anzi avendo acconsentito di allentare certi aspetti del blocco, per esempio riguardo alla pesca. E’ vero che l’accordo di cessate il fuoco è particolarmente ambiguo e letteralmente vuoto (per un’analisi del documento: http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/12488#.ULEMGYajfiw ). Ma che non sia un testo favorevole Israele appare evidente.
Passato qualche giorno, ho le idee più chiare: non è oggi possibile eliminare Hamas, che ha certamente una base di appoggio nella popolazione ed è sostenuto dal mondo islamico in maniera compatta senza una rioccupazione di tutta la striscia, cui Israele non ha certamente interesse; si potrebbe limitare fortemente la sua operatività tagliando il territorio di Gaza con dei presidi militari, e in particolare bloccando il confine con l’Egitto; ma neanche questo sarebbe realizzabile e soprattutto sostenibile a lungo senza combattimenti molto pesanti. Ho letto indiscrezioni per cui il prezzo da pagare per Israele nel caso di una campagna al suolo sarebbe stato il passaggio dalle paci fredde con Egitto e Giordania a stati di guerra o poco meno con questi stati. E’ probabile che in questo caso gli Stati Uniti non si sarebbero schierati con Israele, figuriamoci l’Europa.
Insomma, per spiantare Hamas da Gaza, molto probabilmente Israele si sarebbe trovato da solo in guerra con tutti gli stati circostanti. E’ assai probabile che Tsahal non avrebbe alcuna difficoltà a prevalere sugli eserciti arabi in una ripetizione delle guerre di cinquant’anni fa; ma certamente sul piano politico e diplomatico sarebbe un disastro, che porterebbe a un’ingerenza internazionale che Israele certamente non vuole. Non sarebbe la prima volta che questo accade, anzi, se si guardano le conclusioni dei conflitti del passato, quasi sempre le vittorie israeliane sono state bloccate da uno schieramento internazionale spesso guidato dagli Usa (http://www.israelnationalnews.com/Articles/Article.aspx/12489#.ULEMEYajfiw) E naturalmente sarebbe un’ulteriore ottima occasione servita all’Iran per distrarre l’opinione pubblica internazionale e i poteri politici dal proprio armamento nucleare e da quel che accade in Siria.
Insomma, Tsahal poteva entrare nella Striscia e vincere la sua battaglia sul piano tattico, come le forze aeree e gli antimissili avevano vinto pienamente la loro, nella settimana dell’operazione; ma sul piano strategico e diplomatico il risultato sarebbe stato molto negativo. Non si tratta del ragionamento della volpe e dell’uva; è un riconoscimento molto amaro e preoccupato degli effetti che quattro anni di presidenza Obama e due di scalata degli islamisti al potere in tutto il mondo arabo hanno provocato: Israele non può nella situazione attuale usare la sua potenza militare senza il rischio di un boomerang politico gravissimo. Al centro di questo cambiamento sono gli Stati Uniti, o meglio l’amministrazione Obama, che per esempio ha deciso di delegare la mediazione intorno al conflitto di Gaza a tre dichiarati nemici di Israele come l’islamista presidente egiziano Morsi, l’islamista e antisemita primo ministro turco Erdogan, l’islamista e sostenitore di Hamas emiro del Qatar. Con questi tre personaggi ha dovuto trattare Netanyahu e in maniera anche personalmente umiliante, se è vero quel che dicono le solite indiscrezioni, cioè che Morsi ha rifiutato nel corso del negoziato di avere qualunque contatto diretto con lui.
Il risultato militare di far tacere per un  po’ i razzi sul Sud di Israele, di danneggiare seriamente la sua catena di comando, di svuotare i suoi arsenali è stato dunque raggiunto. La tregua però non è stata corrispondente alla situazione sul campo, derivando invece da una situazione strategica generale molto difficile per Israele. Non sappiamo e non sapremo mai quali strumenti di pressione abbia usato Obama su Netanyahu (sappiamo però che la pressione c’è stata e fortissima). Non sappiamo se le minacce siano state compensate da promesse, se gli Usa abbiano preso degli impegni rispetto al tema centrale di tutto il Medio Oriente, cioè l’armamento nucleare dell’Iran. Pensate se una settimana fa l’Iran avesse già avuto l’atomica e se avesse cercato di imporre a Israele di non difendersi da Hamas, se non voleva ricevere ben altri missili su Tel Aviv: Iron Dome, che si è comportato benissimo contro i razzi da Gaza, sembra invece impotente rispetto a missili grandi e veloci abbastanza da portare una testata nucleare dall’Iran. Possiamo sperare che vi siano stati questi impegni, anche se non siamo in grado di conoscerli o di verificarli e forse non lo saremo mai.
Una cosa è certa. Per ragioni storiche che non dipendono se non in minima parte dalle sue scelte politiche, la situazione generale di Israele è delicatissima, come probabilmente non accadeva da decenni.  Tutta la regione è percorsa da faglie politiche e vere e proprie guerre: sunniti contro sciiti e alawuiti in Siria e nella penisola araba, laici contro fratelli musulmani in Egitto e nel Magreb, arabi contro curdi in Iraq e in Turchia, musulmani contro cristiani dappertutto. Ma l’odio antiebraico e antisraeliano è comune a tutti gli antagonisti e, come si è visto in questi giorni, ha facile presa anche in Occidente: vedere ieri a Roma gli studenti autodefiniti antifascisti infocare la distruzione di Israele (e con esso ovviamente del popolo ebraico, un obiettivo ovviamente nazista: http://t.co/WxzfUX1n), registrare le scritte di odio sulle sinagoghe (https://fbcdn-sphotos-f-a.akamaihd.net/hphotos-ak-ash4/c107.0.403.403/p403x403/311282_10151166559409822_305053911_n.jpg)  lo testimonia ampiamente.
Guidare Israele in questo momento è particolarmente difficile ed è difficile anche sostenerla. Ci vuole una grande lucidità, la capacità di non farsi prendere dai sentimentalismi, non da quello pacifista, ovviamente, che si basa sull’evidente negazione dei fatti; ma neanche quello diciamo onnipotentista, che pensa di poter ignorare i vincoli della realtà, pur di realizzare degli obiettivi giusti. Come è spesso accaduto nella sua storia, Israele è solo o quasi, circondato da nemici potenti; se sbaglia politica, se si illude o se non ha coraggio abbastanza, rischia la catastrofe. I suoi governanti lo sanno, si regolano in conseguenza con cautela e lucidità, dobbiamo capirlo anche noi

 

2 Responses to Senza sentimentalismo.

  1. veronica ha detto:

    ECCELLENTE!!!
    MAGARI ANCHE UNA DECINA DI STRISCIONI ALLO STADIO!!!

  2. marcello ha detto:

    QUASI QUASI MI VIENE VOGLIA DI FARMI FARE UNA T-SHIRT CON SCRITTO FREE ISRAEL!!!

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