Sharon266Testata:La Stampa – Corriere della Sera – La Repubblica
Autore: A. B. Yehoshua – Meir Shalev – Fabio Scuto – Redazione del Corriere della Sera
Titolo: «Il lutto di Israele che ha bisogno di re Davide – Ai funerali Dassù (Boldrini arriva poche ore dopo) – Se Sharon fosse ancora vivo lo Stato palestinese sarebbe realtà»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 13/01/2014, a pag. 1-28, l’articolo di A. B. Yehoshua dal titolo ” Sharon più guerriero che eroe  “. Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l’articolo di Meir Shalev dal titolo ” Il lutto di Israele che ha bisogno di re Davide “, l’articolo dal titolo ” Ai funerali Dassù (Boldrini arriva poche ore dopo) “. DaREPUBBLICA, a pag. 14, l’intervista di Fabio Scuto a Benny Morris dal titolo ” Se Sharon fosse ancora vivo lo Stato palestinese sarebbe realtà “.

Leggendo i commenti degli intellettuali israeliani – giustamente famosi in tutto il mondo per il loro lavoro culturale – restiamo in preda di un forte sgomento quando leggiamo le loro analisi politiche. Se i leader di Israele – criticati e denigrati in vita quando spettava loro decidere delle sorti del Paese, ma rimpianti appena morti – avessero seguito i consigli dei vari Grossman, Yehoshua, Oz, Shalev e i tanti altri che ci esimiamo dal citare, Israele non esisterebbe più, sostituita da una enorme Gaza. Un risultato tragico anche per i palestinisti, che odiano Israele, la vorrebbero distruggere, ma vedono con orrore la possibilità di diventare cittadini di una Palestina che non assomiglierebbe più a Israele ma a Gaza o a Ramallah.
Yehoshua, che per molti versi stimiamo come scrittore, non è bene informato sui commenti usciti dopo la morte di Sharon nel mondo occidentale. Sono stati pochi a ricordare che, se non fosse stato per le sue qualità di leader militare, Israele non avrebbe vinto tutte le guerre che le hanno permesso di sopravvivere. Tutti, senza eccezione alcuna, hanno ricordato la sua presunta corresponsabilità con la strage di Sabra e Shatila quando l’indagine Kahana dello Stato ebraico l’aveva ritenuto soltanto responsabile per non essere intervenire ad impedirla. Una condanna, questa, che può essere compresa solo se si guarda all’altissimo livello di come Israele amministra la giustizia. Una condanna che nessun altro Paese al mondo avrebbe mai emesso nei confronti di un salvatore della Patria.
Sharon, come qualsiasi altro essere umano, avrà commesso errori sia come leader militare che politico. Ma il suo nome, come hanno riconosciuto amici e avversari, brillerà nel firmamento della Storia di Israele.

Ecco i pezzi:

LA STAMPA – A. B. Yehoshua : ” Sharon più guerriero che eroe “


A. B. Yehoshua

I giornali e i mezzi di comunicazione israeliani (e in parte anche stranieri) sono impegnati in resoconti, per lo più elogiativi, della complessa personalità di Ariel Sharon, della sua altalenante carriera militare e politica dai contorni quasi mitici e della sua variopinta figura. Considerato il fatto che Sharon è rimasto in uno stato di coma negli ultimi otto anni e la sua fine era prevista, tutti hanno avuto il tempo di prepararsi alla sua morte, di spulciare negli archivi e di raccogliere aneddoti sulla sua vita.
Nessun leader, dopo le dimissioni da primo ministro di David Ben-Gurion, può vantare una presenza tanto forte e contradditoria nella vita politica israeliana come quella di Ariel Sharon.
I numerosi alti e bassi della sua esistenza lo hanno reso, ancora in vita, protagonista di un dramma quasi hollywoodiano. Da reietto, dopo l’umiliante fallimento della Prima guerra del Libano nel 1982 da lui intrapresa e condotta in veste di Ministro della Difesa, Sharon è arrivato ai massimi vertici dello stato quando è stato eletto Primo Ministro nel 2001. E prima che un ictus lo fermasse ha fondato un nuovo partito, ha evacuato insediamenti e ha ritirato l’esercito dalla Striscia di Gaza.
Siccome sono sempre stato un oppositore di Sharon, sia su un piano ideologico che politico, e non avendo mai subito il fascino della sua personalità, non mi ritengo la persona più adatta a fornire una sintesi completa e obiettiva della sua attività politica. Ma, vista l’ondata di sentimentalismo che sommerge i media israeliani, e in un certo senso anche quelli globali, è d’uopo che anch’io cerchi di dare una valutazione a quest’uomo speciale e affascinante.
La principale e più evidente qualità di Ariel Sharon è stata quella di essere un guerriero e soprattutto un comandante. In campo militare ha dimostrato intraprendenza, determinazione e capacità di leadership. Va comunque precisato che, nonostante i suoi successi, Sharon ha intrapreso di propria iniziativa alcune inutili battaglie (sia nella Campagna di Suez del 1956 che nella guerra dello Yom Kippur del 1973) che hanno aumentato il numero delle vittime. Quando, durante la Campagna di Suez, io ero un giovane soldato della Brigata Paracadutisti sotto il suo comando, ho visto con i miei occhi Sharon inviare una compagnia di paracadutisti a uno scontro al passo Mitla durante il quale 42 paracadutisti persero inutilmente la vita. E questo nonostante il cessate il fuoco fosse ormai imminente. Al termine della guerra il Primo Ministro David Ben- Gurion e il Capo di stato maggiore dell’esercito Moshe Dayan presero in considerazione un anticipato congedo di Sharon dall’esercito ma alla fine decisero per una punizione più leggera, limitandosi a fermare il suo avanzamento e stabilendo che, nonostante il suo talento militare, Sharon non avrebbe potuto essere nominato Capo di stato maggiore dell’esercito.
L’avventurismo militare di Sharon riemerse, su scala infinitamente più grande, nel 1982 quando, in veste di Ministro della Difesa del governo Begin, intraprese la Prima guerra del Libano: un disgraziato conflitto che non portò alcun risultato positivo, causò la morte di soldati israeliani, di palestinesi, di libanesi e nel corso del quale avvenne il terribile massacro di civili palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila, vicino a Beirut. È vero che il massacro fu commesso da falangisti cristiani ma con la completa e criminale indifferenza dell’esercito israeliano che aveva il controllo della zona. Il Primo Ministro Begin, perseguitato dai sensi di colpa, si dimise dal suo incarico e si rinchiuse in casa fino alla morte, mentre Sharon, riconosciuto in parte responsabile della strage da una commissione investigativa governativa e costretto a dare le dimissioni da Ministro della Difesa, non sembrò mostrare alcun senso di colpa per la sciagurata guerra da lui voluta e condotta.
Ariel Sharon non era un ideologo e non gli importava di fare dichiarazioni nazionaliste un giorno e di parlare di dolorose concessioni una settimana dopo. Era cinico, bugiardo, aggressivo e privo di profondità intellettuale. Tuttavia riusciva a compensare questi difetti con il calore umano, la lealtà e la dedizione che mostrava verso i suoi subordinati e con una rara capacità di leadership.
Nel complesso considero Sharon un personaggio che ha fatto più danni a Israele di quanto abbia portato benefici. La parziale legittimità che i sostenitori della pace gli hanno concesso per il disimpegno e il ritiro dalla Striscia di Gaza, avvenuta senza che si scatenasse una guerra civile grazie alla sua autorità nazionalista, non lo esime a mio giudizio dalla responsabilità dell’enorme danno causato a Israele dalle decine di insediamenti da lui voluti nei territori palestinesi, che creano una base (forse irreversibile) per un futuro stato bi-nazionale: una possibilità disastrosa per israeliani e palestinesi.
Io non sono un ammiratore di leader forti e astuti che, dopo aver creato inutili crisi riescono a venirne fuori e per questo vengono elogiati. Io rispetto i leader che vedono in anticipo la strada giusta e morale da seguire e convincono il popolo a unirsi a loro. Ariel Sharon non era uno di questi leader.

CORRIERE della SERA – Meir Shalev : ” Il lutto di Israele che ha bisogno di re Davide “


Meir Shalev

Una cosa deve essere chiara: Ariel Sharon era, ed è tuttora, il leader israeliano più vituperato al mondo eppure qui in Israele sono in molti a provare dolore per la sua morte. È vero che la sinistra non dimenticherà e non gli perdonerà la prima guerra del Libano e la creazione di insediamenti nei territori occupati e che la destra non dimenticherà e non gli perdonerà il disimpegno da Gaza e l’evacuazione di centri abitati, eppure in Israele regna un’atmosfera di lutto per la sua morte. Lo Stato ebraico piange la morte di un grande generale perché purtroppo abbiamo ancora bisogno di militari coraggiosi e abili e di leader con capacità decisionali e pragmatiche. L’avere una visione, il saper prendere una decisione e metterla in atto è infatti una merce rara sugli scaffali della nostra politica, e forse della politica occidentale in generale.
Nella tradizione ebraica c’è una bella storia su re Davide che giace addormentato nella sua tomba con accanto a sé l’arpa e una borraccia d’acqua in attesa che qualcuno lo trovi, gli dia da bere e suoni l’arpa per lui. Allora il re si risveglierà e tornerà a guidare il suo popolo. È questa un’antica versione ebraica della leggenda della bella addormentata. Solo che al posto di una bella principessa noi abbiamo un re e invece dell’amore e di un matrimonio abbiamo potere e politica. Negli ultimi otto anni, durante i quali Sharon è rimasto sprofondato in un sonno simile a quello di re Davide, questa storia mi è venuta in mente spesso. La generazione di Sharon, quella dei figli e dei nipoti dei pionieri immigrati in Israele un secolo fa, incarnava il sogno sionista di un ebreo di nuovo tipo. Non l’ebreo della diaspora senza radici né patria ma uno che vive sulla propria terra, la lavora e combatte per essa. Sharon era un contadino guerriero, era il simbolo israeliano di quegli anni. L’ethos sionista amava anche altri contadini guerrieri: Moshe Dayan, Rafael Eitan, che avevano lasciato la stalla, il campo, l’ovile, per guidare i loro battaglioni.
E in effetti questi uomini hanno seguito la strada dei primi re d’Israele, anch’essi contadini guerrieri. Davide era un pastore che sconfisse Golia e divenne re. Saul un agricoltore che partì per la sua prima battaglia direttamente dal solco arato di un campo. Non erano principi addestrati alla scherma e alla caccia ma contadini pronti a sostituire la falce con la spada qualora se ne fosse presentato il bisogno. Sharon, peraltro, era consapevole di questa immagine e dei benefici che racchiudeva e si faceva spesso fotografare nella stalla o nell’ovile della sua fattoria. È famosa una sua fotografia con un una pecora sulle spalle, come un classico pastore biblico.
Accanto al grande contributo dato alla sicurezza e all’esistenza di Israele, soprattutto durante la guerra dello Yom Kippur, Sharon ha procurato gravi danni allo Stato. È lui l’uomo dietro la guerra del Libano. Ed era lui il più attivo ed efficiente fondatore di insediamenti. Benché li avesse fondati non per motivi religiosi ma a causa delle sue convinzioni politiche e per ragioni di sicurezza, così facendo ha creato una situazione che sarà molto difficile riportare al suo stato precedente. Ma al culmine della sua carriera, quand’era primo ministro, Sharon ha subito una metamorfosi. L’uomo più aggressivo del nostro esercito e della nostra politica ha compreso i limiti dell’uso della forza. È divenuto più riflessivo e pragmatico. Ha capito che l’occupazione e gli insediamenti sono dannosi per Israele e ha intrapreso e attuato il disimpegno dalla Striscia di Gaza.
Quando oggi guardo alla politica israeliana vedo rappresentanti della destra, in parte razzisti, che sbraitano con una retorica arrogante e messianica e rabbini che dicono loro cosa fare. A sinistra vedo gente senza mandato elettorale e, purtroppo, incapace. Nel panorama politico odierno non c’è nessuno che abbia il coraggio, la determinazione e l’abilità pragmatica di Ariel Sharon. Ed è ironico e doloroso che per uscire dal fango in cui Ariel Sharon ci ha fatto sprofondare avremmo bisogno di un leader con le capacità di Ariel Sharon.

La REPUBBLICA – Fabio Scuto : “Se Sharon fosse ancora vivo lo Stato palestinese sarebbe realtà”


Benny Morris

GERUSALEMME — «No, disgraziatamente non si vedono all’orizzonte altri leader naturali comeAriel Sharon. Coloro che hanno oggi in mano le redini del governo non hanno cari sma e mancano soprattutto di altre qualità: determinazione e coraggio». Non fa sconti a nessuno Benny Morris, lo storico della Ben Gurion University, autore di opere fondamentali su Israele e l a Palestina. «È stato certamente il migliore comandante di terra che abbia mai avuto l’esercito israeliano», spiega il professore, «ma se dobbiamo valutare la sua figura di statista dobbiamo dividerla in vari periodi: il suo legato politico in trent’anni va dalla colonizzazione forzata al ritiro da Gaza nel 2005, è un percorso ampio e vasto. Credo che se non fosse stato per la malattia avrebbe attuato la separazione definitiva con i palestinesi. Certo a modo suo, era un “bulldozer” (era il suo soprannome, ndr) in pace e in guerra, ma la gente aveva fiducia in lui». Un uomo che sfugge alle categorie… «Sì, anche nell’esercito era quello che si può definire un “lupo solitario”, spesso indisciplinato, rischiando più volte la corte marziale. sfuggendovi solo perché le operazioni da lui guidate furono coronate da successo ma non riuscì ad arrivare dove avrebbe voluto, cioè alla nomina a Capo di Stato Maggiore. Il suo legato politico è molto più complesso: comprende la direzione l’incoraggiamento della colonizzazione nei Territori Occupati nel 1967 — sia a Gaza che in Cisgiordania — nel corso di decine di anni, e l’invasione del Libano nel 1982, che il centro e la sinistra israeliani considerano gravi colpe. D’altra parte, nella sua veste di statista, ha evacuato gli insediamenti nella striscia di Gaza e nella Cisgiordania settentrionale nel 2005. E probabilmente, se non fosse stato per la sua malattia, avrebbe proseguito nel processo di “separazione dai palestinesi” nel resto della Cisgiordania: la costruzione della “muraglia di difesa”, che lascia il 90% della superficie della Cisgiordania sul lato orientale della barriera, era evidentemente destinata alla creazione di uno Stato Palestinese. Ma poiché non riuscì a completare l’operazione, non può essere chiamato il De Gaulle di Israele, anche se questa “traversata” ha richiesto una quantità non indifferente di coraggio». È indubbio tuttavia, che in Israele sia stato uno dei leader più popolari. «Solo da Primo ministro. Negli anni ’80 non era popolare, perché la Guerra del Libano si rivelò ben presto un fiasco e Sharon fu in certo qual modo boicottato da una gran parte dell’opinione pubblica israeliana». La sua arma vincente: il pragmatismo, il carisma, il coraggio? «Un misto di tutto ciò. Era dotato di determinazione e coraggio: evidentemente era un leader naturale, e questo il popolo lo ha percepito e quindi ha avuto fiducia in lui quando era premier, anche quando ha fatto cose che avrebbero potuto finire male, come la repressione della seconda intifada nel 2002 o il ritiro da Gaza nel 2005. Nonostante il continuo lancio di missili contro ilterritorio israeliano, ‘agente ha continuato a considerarlo mr. Security’, che infondeva un senso di sicurezza nella maggioranza del popolo». Per molti Sharon è stato un eroe, per molti altri è stato un criminale di guerra. Lei come lo giudica? «E una questione di date. E’ stato un criminale di guerra per molta gente nel 1982 (il massacro di Sabra e Shatila, ndr) e probabilmente anche prima, nel periodo in cui è stato primo ministro. Tuttavia, non penso che la maggioranza della gente lo considerasse un criminale di guerra; anche persone che in precedenza lo avevano definito tale, Io hanno poi rispettato in quanto leader degno di questo nome. Forse hanno capito che aveva cambiato idea: se prima era un fautore della “Grande Israele”, negli anni 2000, con la seconda Intifada, probabilmente ha capito che non si poteva continuare a dominare un altro popolo, che questo era un male anche per Israele».

CORRIERE della SERA – ” Ai funerali Dassù (Boldrini arriva poche ore dopo) “


Shimon Peres al funerale di Ariel Sharon

Il titolo non è corretto, perché il viaggio della presidente della camera era già programmato con visita a Gerusalemme e all’Anp. Boldrini non ha ritenuto opportuno anticiparlo, compiendo così un gesto di bassissimo livello. La presenza, poi, della vice-ministro degli Esteri Dassù, era del tutto inadeguata. Comprendiamo l’assenza del ministro Bonino, evidentemente troppo impegnata con i suoi viaggi in Iran per occuparsi di un piccolo Paese mediorientale come Israele.

GERUSALEMME — Gli americani sono guidati dal vicepresidente Joe Biden. L’ex premier britannico Tony Blair è presente (e tiene un discorso) come rappresentante del Quartetto per il Medio Oriente. Ai funerali di Ariel Sharon questa mattina sono previste una ventina di delegazioni, nessun capo di Stato. Non ci sono diplomatici arabi, assente anche la Turchia. L’Italia è rappresentata da Marta Dassù, viceministro degli Esteri. Oggi a Gerusalemme arriva anche Laura Boldrini, presidente della Camera: la sua visita in Israele e nei territori palestinesi era già programmata ma il suo volo atterra in serata e non è stato anticipato. Troppo tardi per partecipare alla cerimonia che si conclude con la sepoltura attorno alle 14.30 nel ranch dell’ex premier israeliano a sud, nel deserto del Negev.

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