alfred_hitchcock_presents266Testata: La Repubblica
Data: 09 gennaio 2014
Pagina: 34
Autore: Enrico Franceschini
Titolo: «L’ultimo segreto di Hitchcock: un film mai visto sulla Shoah»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 09/01/2014, a pag. 34, l’articolo di Enrico Franceschini dal titolo “L’ultimo segreto di Hitchcock: un film mai visto sulla Shoah “.


LONDRA –  Era il re dell’orrore, o perlomeno stava per diventarlo, ma le immagini che si trovò davanti nell’estate del 1945 in una saletta dei Pinewood Studios fecero arretrare inorridito anche lui. Alfred Hitchcock aveva ricevuto l’incarico di dirigere un documentario sull’Olocausto: doveva mettere ordine fra ore e ore di immagini girate dai cameraman dell’esercito britannico e sovietico nei campi di concentramento nazisti subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il regista che avrebbe firmato “Psyco”, “Gli uccelli”, “Il delitto perfetto” e tanti altri film entrati nel mito del genere horror, capace di angosciare lo spettatore con un senso di indicibile terrore, non ce la fece: scioccato, in preda allo sgomento, per una settimana non si ripresentò negli studios fuori Londra dove si confezionava la pellicola. E il documentario, che secondo le intenzioni degli Alleati avrebbe dovuto vedere la luce in breve tempo per essere mostrato in Germania e convincere i tedeschi ad accettare la responsabilità collettiva per la mostruosa fabbrica della morte orchestrata da Hitler, prese più del previsto per essere portato a termine. Quando finalmente fu pronto, alla fine del ‘45, la leadership politica a Washington e a Londra aveva cambiato idea, ritenendo che riproporre immediatamente ai tedeschi le loro colpe per la Shoah non avrebbe aiutato l’opera di ricostruzione e i buoni rapporti con il governo di Bonn. Così il filmato finì in un cassetto all’Imperial War Museum di Londra e lì venne dimenticato da tutti. Riscoperto per caso da un ricercatore americano negli anni ‘80, ne fu proiettata una versione incompleta e di bassa qualità al Film Festival di Berlino nel 1984 e l’anno seguente dalla rete televisiva pubblica americana Pbs.Ma soltanto ora la versione originale e completa è stata recuperata, restaurata digitalmente e sta per essere presentata al pubblico, come ha anticipato ieri l’Independent. Con un nuovo titolo (non più Memory of the camps, Ricordo dei campi, quello scelto per il festival di Berlino e per la trasmissione della Pbs), e con un testo letto da un attore contemporaneo (al posto di Trevor Howard, che diede voce all’originale), entro la fine di quest’anno il documentario sarà proiettato inun certo numero di festival, poi distribuito nei cinema e quindi trasmesso dalla televisione britannica, nella primavera 2015, in coincidenza con il 70esimo anniversario della liberazione. Definirlo “l’Olocausto di Hitchcock”, come pure titola il quotidiano londinese, è di cattivo gusto e assurdamente riduttivo, ammette lo stesso giornale. Non solo perché è inesatto descrivere Hitchcock come il «regista»: il suo ruolo fu piuttosto quello di consulente, consigliere ed editor, artefice del montaggio, in collaborazione con altri, sebbene il suo amico Sidney Bernsterin chiese a lui di occuparsi direttamente del film.
Ma soprattutto questo non era un “film dell’orrore” come quelli che Hitchcock aveva e avrebbe diretto: erano immagini reali, che disturbarono profondamente il maestro e forse — ipotizza l’Independent — influenzarono la sua visione di cosa provoca paura, vergogna e ripugnanza nell’animo umano. Nel documentario si vedono pile di cadaveri, prigionieri con ancora addosso l’uniforme a strisce dei lager, internati chefanno la doccia per la prima volta senza il timore di finire in una camera a gas o che lottano ostinatamente per sradicare il tifo. «Rispetto al 1945, oggi ci siamo abituati a vedere immagini provenienti dai campi di concentramento nazisti, eppure in un paio di anteprime per storici ed esperti abbiamo riscontrato che lo shock continua a essere estremamente forte», commenta Toby Haggith, direttore del dipartimento ricerche dell’Imperial War Museum e curatore del restauro del film. Uno dei motivi è che queste immagini furono prese a caldo, nei primissimi giorni dopo la liberazione dei campi, quando i detenuti ancora ci vivevano dentro. E il merito della loro sconvolgente immediatezza, sottolinea Haggith, va «agli anonimi cameraman inglesi e russi, che riuscirono a girare alcune delle scene più sconvolgenti della storia in modo lucido, istruttivo e commovente». Senza immaginare che avrebbero spaventato perfino Hitchcock e che il loro film avrebbe dovuto attendere 70 anni per arrivare nelle sale.

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