Sono passati 5 anni, 11 marzo 2011, dallo sterminio della famiglia Fogel per mano di due ragazzi arabo-palestinisti entrati, armati di coltelli, nella loro casa a Itamar in Samaria (Wikipedia lo colloca nel West Bank, altri in Cisgiordania, denominazioni inventate mai esistite nella storia, il vero nome della regione in cui si trova il villaggio di Itamar si chiama da millenni Samaria).

Fu un massacro, i due genitori e tre dei loro bambini furono sgozzati senza pietà. Desidero ricordarlo perchè nessuno ne parla più, i media veramente ne parlarono poco anche all’epoca, alcuni, nella loro ossessione antisemita, insinuarono addirittura che li avesse uccisi lo Shin Bet per gettare la colpa sui poveri innocenti e puri palestinisti, altri parlarono di “coloni” uccisi, con spregio, come se si trattasse di serpi, di mostri, di “robaccia” da far sparire in ogni modo possibile.

 I parenti dei due assassini, 17 e 19 anni, hanno esaltato le loro gesta, li hanno definiti eroi per aver sgozzato una bimbetta di tre mesi e i suoi fratelli di 4 e 11 anni.

La Televisione ufficiale dell’ANP ha celebrato i due terroristi dando voce alla madre e alla zia di uno dei due: ” saluto la luce dei miei occhi, il mio eroe, il mio mito”, hanno detto le donne alla conduttrice TV, emozionata e commossa.

Purtroppo conosciamo bene la bestialità raggiunta dalla popolazione palestinese educata all’odio da quasi un secolo di propaganda, conosciamo i loro balli, canti e festeggiamenti per le strade ad ogni bambino ebreo ammazzato, ad ogni ebreo massacrato.

 Io considero quasi normale la loro ferocia , il lavaggio del cervello crea sempre dei mostri, quello che invece è spaventoso e che mi lascia impietrita, schifata è l’indifferenza dell’Occidente di fronte a tanta bestialità, un’indifferenza vigliacca e indecente che non vacilla nemmeno di fronte ai massacri più feroci se le vittime sono ebrei, che resta impassibile alla vista delle macellerie commesse dagli arabi contro il nemico sionista, anche se ha solo 3 mesi.

I bambini ebrei assassinati, sia in Israele che in Europa, sono invisibili oggi, come lo sono stati settant’anni fa. Non vedo nessuna differenza tra l’odio antisemita che ha percorso per secoli l’Europa come un’onda nera e perversa culminata nella Shoah e quello che sta accadendo oggi, anche grazie a internet, in tutto il pianeta dove alle parole “ebreo o Israele” buona parte dell’umanità viene letteralmente colta da una rabbia inconsulta come in una crisi epilettica globale.

 Per dimostrare in modo formale e ben organizzato l’odio del mondo per Israele, ecco che durante il mese di marzo, ma alcuni incominciano già in gennaio/febbraio per farne di più, si programmano nelle università di tutto il mondo le “settimane dell’apartheid israeliano” il cui Anche quest’anno l’isteria collettiva ha avuto inizio già in gennaio, le Università fanno a turno, dall’Europa all’America, una settimana a testa, da Oxford in Inghilterra alla Columbia University negli Stati Uniti, passando per Parigi, Vienna, Berlino, Toronto, è tutto un ribollire di iniziative per esprimere al meglio il veleno e la violenza che hanno dentro. Non mancano le Università del Sud Africa, dell’America Latina, tutte sostenute dal movimento antisemita più famoso e più perverso esistente oggi, il BDS, ma non mancano Palestina Rossa, il Movimento per la Pace (!), Assopace Palestina, Roger Waters che continua a minacciare gli artisti che osano venire ad esisbirsi in Israele. obiettivo è diffamare, dileggiare, delegittimare Israele.

In Italia l’isteria antisemita passa da Torino, Bologna, Cagliari, Milano, Napoli, Roma, Trieste. Sono più di 150 Università nel mondo che organizzano manifestazioni, conferenze, pestaggi e pare che quest’anno ben 293 università degli Stati Uniti si uniranno al movimento neonazista globale.

Mi chiedo quando studino se passano il tempo a organizzare spedizioni punitive contro gli ebrei nei campus, conferenze contro Israele, se l’unica cosa che hanno nel cervello è la ricerca del modo migliore per creare confusione, tensione e paura in luoghi che sarebbero preposti alla cultura e all’educazione.

L’università di Cambridge, proprio in questi giorni, ha ricreato nel campus un finto check-point con finti soldati israeliani, naturalmente cattivissimi, che fanno passare uno alla volta dei poveretti travestiti da palestinesi allo scopo di “mostrare una rappresentazione di quello che significa vivere sotto un regime di segregazione razziale”.

Gli studenti ebrei nei campus universitari hanno paura, vengono pestati, insultati, rincorsi da orde di farabutti. Al King’s College di Londra, uno dei più antichi e rinomati college britannici, un’invasione di attivisti filopalestinesi ha impedito a Amy Ayalon, ex capo dello Shin Bet, di tenere una conferenza, hanno rotto porte e finestre, urlando “Fuck Israel”, “Free Palestine”, hanno aggredito e pestato gli studenti ebrei fino all’arrivo dei furgoni della polizia in assetto di guerra che alla fine li ha dispersi.

E’ così che loro vedono la democrazia! Questi violenti e furbi “attivisti” sanno scegliere anche le parole giuste per esaltare l’emotività della gente: “apartheid” ricorda l’immoralità del trattamento dei neri sudafricani; “occupazione” porta alla memoria stivali neri, manganelli, paura; “segregazione razziale” ed ecco l’immagine di schiavi neri chini sui campi di cotone e presi a frustate.

Bastano tre parole e il gioco è fatto, Israele diventa il male del mondo odiato da tutti, meritevole di essere ucciso e perseguitato, sempre. I figli di Israele sono i figli del Male e la violenza contro gli innocenti viene giustificata, peggio, non viene nemmeno menzionata! Il giorno in cui Kobi Mandell e Josef Ishran furono linciati, fatti letteralmente a pezzi da un gruppo di arabi palestinisti, ricordo una frase letta su un social “Se vivono nei territori dei palestinesi ben gli sta”. Kobi aveva 13 anni, Josef 12, stavano giocando in una grotta vicino a casa, a Tekoa.

 

 Per le strade d’Europa ormai è in atto la caccia all’ebreo, non esiste un vero e proprio regista, quello che muove gli antisemiti è dentro di loro, è talmente insito nel loro cervello che non appena vedono una kippà sul capo di qualcuno si scatenano e lo aggrediscono. Sabato scorso a Parigi un gruppo di nordafricani ha preso a bastonate e a insulti un ragazzino ebreo di 13 anni perchè indossava la kippà, per fortuna erano vicino a una sinagoga e i passanti lo hanno salvato.

L’unico popolo cui è impedito, pena la morte, di vivere e abitare dove gli aggrada è il Popolo ebraico. L’unico popolo che non ha mai avuto il diritto di vivere, semplicemente di vivere, è il Popolo ebraico. Gli unici bambini la cui morte violenta non indigna ma viene vista con indifferenza e, spesso, con astio, sono i bambini ebrei e, quando qualcuno li ammazza, li chiamano coloni!

Deborah Fait, Informazione Corretta, 13/o3/2016

 

 

 

 

 

One Response to L’isteria antisemita e la settimana dell’apartheid israeliano

  1. Claudio ha detto:

    Ho quest’impressione:
    è vero che esiste una parte di società che odia Israele e forse anche gli ebrei. È altrettanto vero che anche un solo bambino ucciso (ebreo o meno) è un bambino ucciso di troppo e l’azione degli assassini va condannata da tutti.
    Sono però anche persuaso che il fenomeno, per quanto grave, non abbia la diffusione che sembra avere.
    L’occidente brilla per ipocrisia nei rapporti con Israele, ma resto altrettanto convinto che gli occidentali ostili ad Israele siano una netta minoranza, per lo più gruppuscoli di (estrema) sinistra e qualche intellettuale infarcito di pregiudizi. Il fatto è che fanno sentire forte la loro voce astiosa.
    A mio parere, il contesto in cui l’odio verso gli ebrei (israeliani o meno) è molto diffuso è il mondo islamico, il quale non ha neanche lontanamente idea di cosa sia la convivenza democratica di tante opinioni (salvo proclamarla in Europa, quando fa loro comodo, perché si trovano in paesi stranieri “democratici” – a differenza di gran parte dei loro – che li ospitano).

    Anche tra i musulmani però c’è chi non è così “arrabbiato” verso gli ebrei.
    Anni fa, uscendo da messa la domenica, vedevo sovente un giovane ragazzo musulmano che chiedeva la carità. Poco per volta ho cominciato a parlagli fino a fare amicizia, invitarlo a casa mia, aiutarlo a cercare lavoro. E così abbiamo parlato a lungo insieme, in varie occasioni. Potrei citare nome e cognome, ma non lo faccio ovviamente.
    Mi raccontò che era partito dal Marocco nascondendosi nella sala macchine di una nave diretta a Marsiglia. Dalla Francia si era spostato in Italia. Inizialmente andava a dormire in un vecchio rottame d’auto che aveva trovato abbandonato nei pressi di Moncalieri, vicino a Torino. Col tempo, si era trasferito in un “alloggio più decente” ed era riuscito a regolarizzare la sua posizione in Italia.
    Diceva che il suo mondo ideale era l’Arabia Saudita (e io mi domandavo allora come mai avesse scelto di emigrare in Italia e non in un simile “paradiso”).
    Un giorno mi portò il corano da vedere. Titubò un po’ a farmelo prendere in mano perché ero un cristiano “infedele”. Ma poi cedette. Così io gli feci vedere la mia Bibbia ebraica e in particolare la Torah. Poi il discorso deviò verso aspetti linguistici relativi all’ebraico e all’arabo. Si incuriosì per la scrittura ebraica, direi anche con un certo entusiasmo.
    Non gli dissi mai di essere gay (chissà quale reazione avrebbe avuto da musulmano?), né sottolineai mai con insistenza la mia particolare ammirazione per Israele; tantomeno l’amicizia verso di lui ha avuto secondi fini, se non quello di aiutarlo. Da lui non ho mai sentito una parola contro Israele. Poi gradualmente persi i contatti.

    Intanto, la mia passione per “Israele” si è notevolmente rafforzata. Così giro quasi sempre per Torino con un segno distintivo ebraico/israeliano, di solito una piccola bandiera sulla borsa, una maglietta con la bandiera israeliana o il Maghen David. Non ho mai constatato atteggiamenti particolari di intolleranza. Ho provato persino a passare in una zona periferica della città dove so che di solito ci sono gruppetti di nord-africani. La “peggiore” situazione vissuta è il silenzio totale dei musulmani mentre passavo in mezzo a loro. Qualcuno mi ha guardato un po’ di storto, ma nessuno mi ha mai detto niente.

    Il fatto è che, a mio parere, gli episodi gravissimi raccontati in questo articolo fanno molto clamore proprio per la loro gravità, ed è bene sottolinearne tutta la loro negatività e i rischi ci sono, ma non credo ancora che in Europa ci sia un clima da “notte dei cristalli”… a almeno spero.

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