Obama ama fare regali ai terroristi immaginando che essi si convertano e diventino democratici pragmatici e realisti. Si tratta dell’eterna allucinazione della sinistra,  l’idea che il male sia sempre e solo un bene riformabile.  Il nostro cominciò al Cairo nel 2009, quando tese il braccio a un chimerico Islam dipinto come luce dell’umanità e araldo del progresso, proseguì poi salutando con entusiasmo l’elezione dei Fratelli Musulmani in Egitto, di cui Hamas rappresenta la costola palestinese, quindi riabilitando Teheran e la sua teocrazia criminale, sollevando le sanzioni e inondandola di dollari. La prima delegazione europea a presentarsi a Teheran fu quella francese in ossequio al filoislamismo intrecciato al fiuto per i buoni affari che ha contraddistinto il Quai d’Orsay dalla decolonizzazione dell’Algeria in avanti.

C’è viva preoccupazione per l’asse Netanyahu-Trump, e dunque si cerca in anticipo di ostacolarlo in tutti i modi con risoluzioni, discorsi, pianificazioni il cui scopo principale è quello, ampiamente riuscito, di continuare a delegittimare Israele internazionalmente.

Lo scenario è fosco, ma alla fine, tutte queste manovre potrebbero rivelarsi inefficaci. La UE è un nano politico incapace di gestire qualsiasi crisi globale, gli stati arabi, soprattutto Egitto e Arabia Saudita sostengono la “causa palestinese” solo d’ufficio ma in realtà è molto tempo che ne sono sazi, e l’amministrazione Obama per quanto nociva come un serpente velenoso, è alle ultime battute.

Cosa aspettarsi dunque? Una azione di deterrenza risoluta da parte di Donald Trump nei confronti prima di tutto dell’ONU (in questo senso al Congresso si preparano le armi per trattenere i fondi americani destinati al Palazzo di vetro), parallela a un taglio drastico di fondi all’UNRWA e all’Autorità Palestinese. A questo andrebbe aggiunto il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, insieme al varo da parte del Congresso di leggi a tutela dei settlers di nazionalità americana in Giudea e Samaria.

Tutto ciò da solo non può bastare. E’ necessario che il governo Netanyahu assuma una nuova posizione lavorando nel senso indicato da Daniel Pipes nel suo ultimo articolo sul tema:

Quando i “martiri” palestinesi causano danni materiali, le riparazioni devono essere pagate prelevando i soldi dai circa 300 milioni di dollari in tasse che il governo di Israele trasferisce ogni anno all’Autorità Palestinese. Alle attività il cui scopo è quello di isolare e indebolire Israele internazionalmente bisogna rispondere limitando l’accesso alla West Bank. Quando un aggressore palestinese viene ucciso, bisogna seppellire il suo corpo silenziosamente e in modo anonimo in un campo di sepoltura. Quando la leadership dell’Autorità Palestinese incita alla violenza, bisogna impedire ai suoi rappresentanti di farvi ritorno dall’estero. Quando vengono assassinati degli israeliani bisogna espandere le cittadine ebraiche nella West Bank. Quando armi riconosciute ufficialmente come appartenenti all’Autorità Palestinese vengono usate contro Israele bisogna requisirle e proibirne di nuove e se ciò si ripete bisogna smantellare l’infrastruttura di sicurezza dell’AP. Se la violenza prosegue, bisogna ridurre e poi bloccare del tutto l’erogazione dell’acqua e dell’elettricità che Israele fornisce. Nel caso di fuoco armato, di bombardamenti e di razzi, bisogna occupare e controllare le aree dalle quali essi originano.

Una politica israeliana-americana così congiunta, incardinata a testuggine, sarebbe in grado in quattro anni di assestare un colpo micidiale alla persistente fiction palestinese contro Israele. Fiction sostenuta abbondantemente dalla sinistra israeliana, il cui obbiettivo principale è quello di destrutturare lo Stato ebraico in nome di una “democratizzazione” la quale, in realtà, ha come unico scopo quello di una sua radicale arabizzazione.

Niram Ferretti, L’Informale, 30/12/2016

 

 

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