Nei giorni scorsi, tra le varie opinioni girate in ambito ebraico, mi ha colpito quella (non isolata) che rivendicava il 29 novembre come “la nostra data”, intendendo con “nostra” due cose: 1) il fatto che fu sancita alle Nazioni Unite la divisione del mandato palestinese e dunque la nascita dello Stato di Israele e 2) che sia stato provocatorio, o meglio, subdolo, oppure meglio ancora, “non carino” aver scelto quella data per votare sulla condizione della Palestina come Stato osservatore A me sembra che i fatti storici siano un po’ diversi e che l’ordine dei fatti sia stato questo. Il 29 novembre 1947 non fu decisa la nascita di Israele, ma la spartizione del territorio corrispondente al mandato inglese in due entità statali legittime: uno “Stato arabo” e uno “Stato ebraico”, come dice letteralmente la soluzione 181 votata quel giorno (leggere per credere). Poi di Stato ne nacque uno solo, non perché quello ebraico nei fatti assorbì il secondo, ma perché quelli che dovevano impegnarsi a costruire lo Stato arabo si dedicarono con passione a tentare di distruggere l’altro Stato, quello ebraico, pensando così di costruire il proprio. Forse non è così banale che di nuovo il 29 novembre di 65 anni dopo qualcuno abbia dato una seconda chance, per provarci per davvero questa volta a farlo, uno Stato e a farsi una ragione dell’esistenza dell’altro Stato. Non a ricominciare daccapo una storia, ma a provare a scriverla, finalmente nelle condizioni date. Che cosa ci sia di provocatorio, subdolo o, meglio, “non carino” in tutto questo mi sfugge.

Di: David Bidussa, storico sociale delle idee.

Da:moked/מוקד

 

 

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